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Stati Generali della Cultura e del Turismo. Roma, 15-17 novembre 2013

Logo+SGculturaturismoL’Italia è al primo posto nel mondo per siti riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità: ad oggi sono 49 i tesori attorno a noi e che devono essere valorizzati. Sapete dove si trova la spiaggia più bella del mondo? In Italia, in Sicilia. E in questi mesi ci sono ben 19 provincie italiane al lavoro per essere candidate a Capitale Europea della Cultura 2019. Il turismo potrebbe rappresentare per l’Italia uno dei driver più potenti di crescita per superare la crisi e invece vive delle bellezze che naturalmente e storicamente possiede tra disattenzione, inefficienze e burocrazia. Si tratta di un patrimonio culturale che tra le sue città d’arte, le coste balneari, i centri di pellegrinaggio religioso, i siti con valenza didattico-educativa e i paesaggi naturali non ha eguali al mondo per diversificazione di modelli turistici offerti. Con gli “Stati Generali della Cultura e del Turismo” cercheremo di rispondere ad un interrogativo in particolare: “Con la cultura si mangia? Quale futuro per i tesori del nostro Paese?”

L’iniziativa organizzata dal Forum Nazionale dei Giovani è volta a promuovere e sostenere il turismo e la cultura nel nostro Paese, si terrà a Roma nei giorni 15, 16 e 17 dicembre 2013 ed ha ricevutola Medagliadel Presidente della Repubblica, oltre che il patrocinio dal Senato della Repubblica, dalla Camera dei Deputati, dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome e dall’Anci.
Si è partiti con le consultazioni online, una grande operazione di ascolto aperta a tutti disponibile sul sito www culturaturismo it online dal 4 ottobre. I risultati delle consultazioni costituiranno la base per i lavori dei panel, l’incontro tra le Organizzazioni giovanili, gli operatori di settore e le Amministrazioni nazionali e locali che avverrà appunto a Roma. A chiusura dell’iniziativa ‘Villaggio Italia’ in primavera 2014.
Cliccando sul seguente link puoi leggere la presentazione e il programmadell’evento.
Per partecipare ai lavori è preferibile accreditarsi indicando nominativo all’indirizzo emailinfo@forumnazionalegiovani.it.
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Trasformazione dei terreni di proprietà pubblica in proprietà collettiva

ortiCi sono diverse iniziative legislative per richiedere l’assegnazione dei terreni pubblici ma nessuna scioglie il nodo fondamentale: la riconduzione di tali beni dalla proprietà pubblica alla proprietà collettiva della generalità dei cittadini abitanti nei territori di riferimento.
Basterebbe un articolo unico:
1. I terreni utilizzabili per la coltivazione agraria o come bosco o come pascolo permanente appartenenti ad enti pubblici sono trasformati in demani civici e costituiscono proprietà collettive della generalità dei cittadini abitanti nel territorio comunale o frazionale in cui i beni sono situati. Tali beni sono indivisibili, inalienabili, inusucapibili, inespropriabili.
2. I terreni di cui al comma precedente sono amministrati separatamente dagli altri beni pubblici con Comitati da eleggersi con le norme di cui alla legge 17 aprile 1957 n. 278; tali amministrazioni sono denominate “Amministrazioni Separate di Beni di Uso Civico” (ASBUC).
Alfonso Pascale




Infrastrutture di Dati Territoriali Innovative per Città Intelligenti

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[Conferenza ASITA 2013] INFRASTRUTTURE DI DATI TERRITORIALI INNOVATIVE PER CITTÀ INTELLIGENTI SPATIALLY ENABLED from Eugenio Minucci

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La guerra sotterranea

vinoSono passati trentasei anni da quando, quindicenne a Parigi, ho cominciato a frequentare il mondo del vino. Eppure qualche tempo fa, in un pomeriggio trascorso nel sud del Piemonte, ho imparato in cinque ore più di quello che avevo imparato nei trentasei anni precedenti. Questo la dice lunga sulla mia ignoranza, ma anche sulla genialità dell’uomo che mi ha accompagnato in giro per la sua azienda agricola nei dintorni di Novi Ligure.
Nei suoi trenta ettari di terreno, Stefano Bellotti a Cascina degli Ulivi, produce vino, alleva bestiame e coltiva cereali, frutta e verdura. All’inizio degli anni ottanta, Bellotti è stato uno dei primi italiani a sposare quella pratica olistica (espressione di una vecchia tradizione del “buonsenso contadino”) che va molto oltre quello che Bruxelles definisce come biologico. Si chiama “biodinamica” ed è ispirata (ma solo ispirata) al fondatore delle scuole Waldorf e della filosofia antroposofica, Rudolph Steiner.
Bellotti è un uomo schietto e carismatico, con una luce – quasi un laser – perenne negli occhi. Ha mani solcate come i terreni collinari che cura scrupolosamente. Inequivocabilmente contadino, non dovremmo però stupirci davanti alla sua stupefacente capacità di articolare i concetti più complessi. E un nuovo contadino. Di quelli che hanno forse rubato agli artisti il ruolo di contestatori dello status quo.
Lo sapevate, per esempio, che il rapporto tra le radici di una pianta e il terreno può aiutarci a capire la vera natura della politica globale? Ecco, nemmeno io, almeno fino a quando non ho seguito il suo improvvisato corso di specializzazione tra le vigne di Filagnotti, nella regione vinicola del Gavi. “Se coltivata naturalmente, secondo i veri metodi biologici, una singola pianta di grano produrrà radici primarie che affondano nel terreno fino a 12 metri con circa cinque chilometri di filamenti radicali”, mi ha spiegato Bellotti. “La stessa pianta, coltivata seguendo le pratiche industriali dell’agrochimica, in un terreno che riceve erbicidi, pesticidi e fungicidi tossici (come accade nel 99 per cento dei casi in tutto il mondo) penetra nel suolo tra i 5 e 10 centimetri e produce poche centinaia di metri di filamenti radicali. Abbiamo una riduzione di cento volte.”
“Perché è importante questa differenza?”, gli ho chiesto. “Diventa una pianta che non ci nutre più. Perché il sapore e le qualità nutritive di un cereale – come di qualsiasi pianta – sono determinate dall’assorbimento di minerali da parte delle sue radici”, mi ha risposto abbandonandosi a una risata. “Una volta, quando una persona mangiava pane, mangiava pane. La gente poteva sopravvivere mangiando quasi soltanto pane, perché conteneva quasi tutto di cui l’uomo ha bisogno. Oggi invece la maggior parte del pane che mangiamo è completamente inutile dal punto di vista alimentare”.
“E le uve da vino?”, ho chiesto. “Di tutte le piante coltivate, la vite è forse la più sensibile all’apporto dei sali minerali. Se coltivata in modo naturale è in grado di penetrare nel terreno per venti metri, mentre una pianta coltivata in modo convenzionale e chimico è già tanto se arriva a cinquanta centimetri di profondità. Se consideri che i sali minerali assorbiti dalle radici determinano l’aroma del vino (attraverso la magia della fermentazione) capirai che il contatto ridotto con i minerali dell’agricoltura industriale ha un effetto devastante. Mancano le caratteristiche più intrinseche dell’uva e del vino, e quindi bisogna ricostruirle artificialmente in laboratorio, aggiungendo altri composti chimici al prodotto e un’altra fase cancerogena al processo”.
Prima di continuare, Bellotti ha osservato il mare di foglie verdi che ci circondava. “Quando tratti le viti con agenti chimici (molti dei quali derivano dall’industria militare, come Roundup di Monsanto, sviluppato anche a partire dall’uso dell’agente arancio nella guerra del Vietnam) la pianta perde la maggior parte delle sue capacità fotosintetiche, che sono alla base del suo dialogo vitale con la luce e l’energia solare”.
Mi ha guardato, e sul suo viso è passato un sorriso ironico. “Anche noi esseri umani abbiamo bisogno dell’energia solare e della luce per sopravvivere, ma per alimentarci non possiamo stare fermi sotto il sole, a meno che non vogliamo essiccarci e morire. Riceviamo l’energia del sole mangiando piante che l’hanno assorbita al posto nostro. Impedendo alle piante di assorbire la luce solare non facciamo altro che impedire a noi stessi di immagazzinare l’energia del sole. Per questo perdiamo vitalità e voglia di agire, e alla fine non siamo più capaci di pensare come dovremmo”.
Improvvisamente Bellotti mi ha piantato addosso uno sguardo penetrante che non dimenticherò per molto tempo. A qualcuno la sua tesi finale potrà sembrare strampalata, ma vi suggerisco di verificarne le basi scientifiche. “Le multinazionali che ogni giorno aumentano il loro controllo sull’approvvigionamento alimentare globale hanno tutto l’interesse a farci mangiare piante che in realtà non sono vere piante, perché così ci rendono più malleabili e sottomessi, esseri umani meno vivi e meno capaci di resistere al potere”.
Correzione: 13 novembre 2013 In un versione precedente di questo articolo c’era scritto che il Roundup è sviluppato anche a partire dall’uso del Napalm, invece è sviluppato anche a partire dall’uso dell’agente arancio, un defoliante prodotto dalla Monsanto e usato dall’esercito statunitense nella guerra del Vietnam. Il Napalm veniva prodotto dalla Dow Chemical, un’altra multinazionale statunitense, che produceva anche l’agente arancio.
Jonathan Nossiter
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Bullitt Center, il primo edificio zero acqua

idro_schemaUn’enorme cisterna filtra l’acqua piovana, mentre pannelli FV di ultima generazione generano l’energia elettrica necessaria all’edificio. L’obiettivo è il Living Building Challenge
Meteorologi, geografi ed esperti di cambiamenti climatici concordano: le risorse idriche in futuro saranno sempre più scarse e preziose.
Non bisogna, però, attendere e indugiare per mettere in pratica metodi e sistemi anti spreco, a partire dai paesi occidentali più sviluppati che, spesso, non si rendono pienamente conto della gravità della questione.
MOLTI COMUNI VIETANO IL TRATTAMENTO IN LOCO DELLE ACQUE GRIGIE. A dichiararlo, fra gli altri, l’associazione americana International Living Future Institute, autrice di una “guida” anti sprechi centrata sui nuovi edifici, dal titolo “Living Building Challenge (LBC)”. “La conservazione e il riuso delle risorse idriche è una priorità da considerare fin dalle prime fasi di progettazione di un edificio”, spiega Amanda Sturgeon, vice presidente del programma LBC, promotrice di sistemi di riutilizzo e infiltrazione in loco. Peccato che spesso, a impedire la riuscita di progetti virtuosi, siano le norme. “Molti comuni regolano pesantemente o addirittura vietano il trattamento in loco delle acque grigie o delle acque nere”, sottolinea la Sturgeon.
BLOCCO “SOCIALE”. Spesso, poi, le aziende di costruzione o gli stessi proprietari si mostrano restii a installare, per esempio, servizi igienici di compostaggio nelle proprio abitazioni (o uffici), quasi fosse qualcosa di cui vergognarsi. “La colpa in questo caso è della scarsa informazione a riguardo: è chiaro che queste persone non sanno quanto conviene usare questi sistemi, per l’ambiente e per le bollette a fine mese”.
L’ESEMPIO DEL BULLITT CENTER DI SEATTLE. Nonostante queste premesse esistono degli edifici che sono riusciti in questa impresa. Su tutti quello che è stato definito “l’edificio a uffici più efficiente del mondo”, il Bullitt Center di Seattle, che ha aperto ufficialmente lo scorso aprile e che prevede di raggiungere il 100 per cento di energia rinnovabile prodotta in loco. Sviluppato su sei piani, l’edificio è stato progettato allo scopo di diventare un modello di efficienza: un enorme cisterna rivestita di calcestruzzo e posta nel seminterrato del centro raccoglie l’acqua piovana, tanto da poter coprire la fornitura idrica dei tre mesi estivi, quando in questa regione piove assai poco (capienza fino a 56 mila litri). Poter trattare in questo modo l’acqua non è stato semplice, spiegano i progettisti e il presidente di Bullitt Foundation, Denis Hayes. “Gli aspetti normativi sono straordinariamente complessi nello Stato del Washington e le strutture commerciali come questa non sono autorizzati a utilizzare l’acqua piovana per uso potabile.”
L’ACQUA PIOVANA PASSA ATTRAVERSO UNA SERIE DI FILTRI PER RIMUOVERE LE IMPURITÀ. Ma alla fine la perseveranza ha pagato e al progetto è stato concesso un permesso normativo per la fornitura di acqua potabile sul posto. Il sito recupera anche le acque grigie dei lavandini e delle docce del fabbricato. Le acque reflue vengono raccolte in un serbatoio interrato collegato a un sistema di depurazione naturale dove avviene il trattamento microbico. Poi, l’acqua depurata viene filtrata all’esterno, irrigando un’ampia zona verde circostante. “Abbiamo dovuto negoziare per mesi con la città e l agenzie statali, perché non c’era alcun precedente”, dice Court.
“Speriamo di poter convincere i gestori di edifici, in particolare nelle città, ad utilizzare i sistemi di trattamento o infiltrazione delle acque grigie. L’acqua è una risorsa troppo importante”.
AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA. Risorse idriche, ma non soltanto. La strategia di efficienza e autosufficienza del Bullitt Center è pensata anche da un punto di vista dei consumi energetici: il 100% dell’energia elettrica necessaria all’edificio e ai suoi occupanti viene prodotto in loco grazie all’impianto fotovoltaico che rivestono tutto il tetto oversize, mentre l’isolamento termico ottimale della struttura abbatte i costi per riscaldamento e aria condizionata. L’obiettivo del Bullitt Center è ambizioso: raggiungere gli elevati standard fissati dal Living Building Challenge, che impone agli edifici in gara per la certificazione l’autosufficienza energetica ed idrica per almeno un anno dall’inaugurazione ufficiale.
Appuntamento, quindi, alla prossima primavera.
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Internet delle cose è la nuova industria

internet coseNon solo pc e smartphone; l’IoT consentirà di gestire meglio i rifiuti, i consumi e il traffico. Ricerca BI Intelligence
Avete mai sentito parlare di “IoT”?
Si tratta di una sigla inglese che sta per Internet of Things, più propriamente Internet degli oggetti. Con questo neologismo ci si riferisce all’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti, un fenomeno oggi in piena esplosione, se si considera che “le connessioni” si muovono già ben al di là di là dei dispositivi informatici, investendo sempre più oggetti, a partire da termostati, parchimetri e sistemi di sorveglianza.
ENTRO IL 2018 SARANNO 9 MILIARDI I DISPOSITIVI DELLA CATEGORIA IOT. Le stime per questa fetta di mercato IoT appaiono rilevantissime; un recente studio di BI Intelligence ha infatti previsto che l’internet degli oggetti crescerà in maniera esponenziale nel corso dei prossimi anni. Se oggi sono stati calcolati 1,9 miliardi di dispositivi rientranti in questa categoria, essi diventeranno 9 miliardi entro il 2018 tra smartphone sempre più polifunzionali, televisori intelligenti, tablet, computer da indossare e PC combinati. E, altra caratteristica sottolineata dallo studio, sempre più questi dispositivi saranno in grado di “comunicare” tra loro.
DOVE L’IOT SI FARÀ SENTIRE. Ma vediamo, dal rapporto, quali saranno le principali applicazioni dell’ “internettizzazione” degli oggetti:
SISTEMI DI GESTIONE INTELLIGENTE DEL TRAFFICO. Una ricerca recentemente condotta dal gruppo di telecomunicazione GSM Association (GSMA) ha previsto che entro il 2020 ammonterà a 100 miliardi di dollari il fatturato derivante da applicazioni “smart” di gestioni del traffico automobilistico e dei parcheggi.
SISTEMI DI GESTIONE DEI RIFIUTI. Un settore che sarà sempre più automatizzato, come dimostra il caso di Cincinnati, nell’Ohio, Stati Uniti, dove il volume dei rifiuti residenziali è sceso del 17% e il volume di riciclaggio è cresciuto del 49% attraverso l’utilizzo di un programma di “pay as you throw” (paga in base a quanto butti), che ha utilizzato la tecnologia IoT per monitorare coloro che eccedevano i limiti stabiliti per i rifiuti.
RETI ELETTRICHE INTELLIGENTI CHE REGOLANO LE TARIFFE PER IL CONSUMO D’ENERGIA. Questo settore, calcola il McKinsey Global Institute, permetterà di conseguire un risparmio stimato tra i 200 e i 500 miliardi di dollari all’anno entro il 2025, solo negli Stati Uniti.
SISTEMI IDRICI E CONTATORI INTELLIGENTI (SMART METERS). Le città di Doha, San Paolo e Pechino hanno ridotto le perdite d’acqua dal 40 al 50% posizionando sensori collegati a Internet sulle pompe e su altre infrastrutture idriche, in grado di mandare segnali immediati in caso di guasto e, quelli più sofisticati, già in grado di prevederlo con l’anticipo necessario per intervenire.




Green economy, accordo tra ENEA e Regione Lazio

grattacieli greenNuovo piano energetico regionale, centri per l’innovazione e filiere verdi, Scuola per le Energie, edifici pubblici a emissioni zero
Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, e il commissario dell’Enea, Giovanni Lelli, hanno firmato un protocollo d’intesa per l’individuazione e la messa a punto di strumenti tecnologici e normativi che favoriscano la creazione di nuovi posti di lavoro e lo sviluppo economico nel settore della green economy.
Attraverso questa collaborazione con l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, la Regione Lazio entra ufficialmente nella sfera della strategia “Europa 2020” che mira ad una crescita intelligente, grazie ad investimenti più efficaci nell’istruzione, nella ricerca e nell’innovazione sostenibile.
NUOVO PIANO ENERGETICO, CENTRI PER L’INNOVAZIONE E FILIERE. Salvaguardia dell’ambiente, efficienza energetica e gestione dei rifiuti saranno il volano della ripresa e una nuova opportunità per i giovani in cerca di occupazione. Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi, gli sforzi di Regione ed Enea si concentreranno su iniziative formative a favore dello sviluppo sostenibile, con particolare riguardo all’energia e all’ambiente: redazione del nuovo Piano Energetico Regionale, creazione di una rete regionale di centri per le innovazioni tecnologiche, con laboratori di incubazione, dimostrazione e collaudo e l’individuazione di filiere produttive “green” per creare un nuova occupazione.
SCUOLA DELLE ENERGIE. In particolare, con l’obiettivo di favorire la formazione professionale in campo energetico e facilitare l’accesso lavorativo in questo settore, il protocollo punta allo sviluppo della Scuola delle Energie, presso il Centro Ricerche “Casaccia” dell’Enea, che funzionerà anche come polo formativo per le strutture amministrative regionali e locali.
FORMAZIONE DEI DIPENDENTI PUBBLICI. Oltre al polo formativo della Scuola delle Energie, l’Enea provvederà all’affiancamento tecnico formativo per il recepimento della normativa nazionale e comunitaria in materia di ambiente e sviluppo sostenibile, in modo da creare una nuova classe di dipendenti pubblici capaci di rispondere tempestivamente ai bandi dell’Unione europea e quindi di intercettarne i finanziamenti.
EDIFICI PUBBLICI A EMISSIONI ZERO. L’Agenzia supporterà inoltre la Regione nei progetti pilota “Zero Emission”, volti a rendere i centri pubblici del Lazio ed i relativi edifici a emissioni zero, attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili, l’incremento dell’efficienza energetica e la gestione sostenibile dell’acqua e dei rifiuti.

http://www.casaeclima.com/index.php?option=com_content&view=article&id=17461:green-economy-accordo-tra-enea-e-regione-lazio&catid=1:latest-news&Itemid=50




Le aziende agrituristiche in Italia

agriturismoNel 2012 il numero di aziende agrituristiche si conferma superiore alle 20 mila unità: le aziende agricole autorizzate all’esercizio dell’agriturismo sono 20.474, 61 in più (+0,3%) rispetto all’anno precedente.
Nel corso del 2012, le nuove aziende autorizzate all’attività agrituristica sono 1.286, quelle cessate 1.225; rispetto al 2011, aumentano sia le nuove autorizzazioni (+97 unità) sia le cessazioni (+476 unità).
Le aziende agrituristiche si caratterizzano per la diversificazione dei servizi offerti. Persiste, infatti, l’offerta di pacchetti turistici integrati con servizi differenziati, diretti a meglio qualificare l’attività agrituristica rispetto al territorio in cui viene esercitata .
Rispetto al 2011, gli agriturismi aumentano soprattutto nel Nord-ovest (+5,8%) e nel Centro (+2%), mentre calano nel Sud (-13,2%).
Il 40,9% degli alloggi, il 46,1% dei ristori e il 42,1% degli agriturismi con degustazione è localizzato nel Nord, mentre il 40,8% delle aziende con altre attività agrituristiche è ubicato nel Centro .
Toscana e Alto Adige, con 4.185 e 2.996 aziende, si confermano i territori in cui l’agriturismo risulta storicamente più consistente e radicato.
Più di un’azienda agrituristica su tre è a conduzione femminile; la maggiore concentrazione si rileva in Toscana, con 1.707 aziende, pari al 40,8% del totale regionale e al 23,5% del totale nazionale.

http://www.istat.it/it/archivio/103202




Cinema abbandonati: nuovi “fantasmi urbani” di Roma

cinemaL’indifferenza distrugge le sale storiche della capitale
“Fantasmi urbani”. Così 120 studenti della facoltà di Architettura della Sapienza hanno definito 13 dei tanti cinema abbandonati di Roma, in questi mesi oggetto di una serie di video-inchieste in cui vengono esaminate le varie problematiche che hanno portato sale storiche, veri e proprio presidi culturali, alla chiusura.
“Si mira soprattutto a sensibilizzare gli enti preposti alla salvaguardia di veri e propri monumenti di architettura moderna”
In giugno la facoltà di Architettura della Sapienza di Roma ha affidato agli studenti del corso di laurea in gestione del processo edilizio, guidato dal professor Silvano Curcio, il compito di organizzare un censimento sui cinema abbandonati della capitale. I 120 studenti del primo anno, suddivisi in 13 gruppi di lavoro, hanno scavato nella storia di questi motori culturali ormai caduti nel dimenticatoio, raccogliendo informazioni dagli archivi pubblici e privati, diffuse sul web o contenute nelle biblioteche, arricchendole con delle testimonianze video dei cittadini. Delle 50 sale abbandonate individuate ne sono state scelte 13: Sala Troisi, Cinema Paris, Metropolitan, Volturno, Cinema Airone, Puccini, Augustus, Africa, Apollo, Avorio, Missouri, Impero, Quirinale.
Come spiega il professor Silvano Curcio si tratta di “veri e propri monumenti di architettura moderna”, per cui “con questa video inchiesta si intende portare alla conoscenza di tutti la triste situazione in cui riversano questi edifici, che hanno segnato la storia dei quartieri in cui si trovano, ma soprattutto si mira a sensibilizzare gli enti preposti alla loro salvaguardia sperando che facciano qualcosa al più presto per impedire la loro estinzione e conversione in sale scommesse o bingo, distruggendo tutta la loro importanza storica, architettonica e socio-culturale”.
Che fine fanno i cinema a Roma?
Indignazione, nostalgia, voglia di ritrovare un luogo di aggregazione sociale sono i sentimenti che emergono dalle interviste che gli studenti della Sapienza hanno svolto sul territorio. Dai cinema più noti, come il Metropolitan, a pochi passi da piazza del Popolo, a quelli “di quartiere”, come il Puccini, il problema che emerge è lo stesso: la scarsa volontà di enti privati o pubblici di investire per riqualificare pezzi storici della capitale. Molti dei cinema abbandonati hanno origine nel periodo mussoliniano, quando la proiezione di un film rappresentava in tutto il mondo un momento culminante di aggregazione sociale. Lo era il Puccini, unico divertimento del quartiere di Casalbertone che, nato tra gli anni Quaranta e Cinquanta, chiuse negli anni ’60 per diventare uno dei tanti fantasmi urbani di Roma, raggiungendo il culmine del suo degrado nel 2001 quando le forze dell’ordine vi scoprirono un deposito di motorini urbani. Nonostante l’edificio sia di architettura anonima, esercitava una grande capacità attrattiva e le tante associazioni del territorio ne chiedono quanto meno la sua messa in sicurezza.
E che dire dell’ex cinema Induno, nel 1997 rinominato in onore dell’attore Sala Troisi? Chiuso lo scorso anno, mantiene vivi i ricordi di chi lo definisce il cinema “dei bambini e dei cartoni animati”, pieno di ragazzi soprattutto a Natale, un cinema popolare accessibile a tutti. O ancora del cinema Metropolitan, sito in via del Corso, di cui gli abitanti intervistati ricordano con piacere quando la sala proiettava molti film in lingua originale e il cinema si riempiva di stranieri che vivono a Roma. Auspicando per questo spazio una ridestinazione d’uso sempre in ambito artistico, come potrebbe essere un laboratorio teatrale, oggi devono tuttavia rassegnarsi a vivere in un centro storico pieno di negozi, ma senza un punto di ritrovo, di cultura.
Contro tale prospettiva c’è chi si è opposto, ha reagito. Si tratta degli occupanti del Cinema America che l’autunno scorso hanno manifestato tutto il loro diniego per il progetto di trasformazione del locale in una palazzina residenziale, trasformando il cinema in un vivace centro culturale, ricco di iniziative. Tramite offerta libera, per esempio, chiunque può entrare per vedere uno spettacolo, principalmente cineforum. Così come l’idea della biblioteca-sala studio: un aperitivo che si tiene ogni giovedi il cui ingresso si paga con un libro, di modo tale da permettere la creazione di una lista di volumi che possano permettere, soprattutto agli studenti della zona, di usufruire di questi spazi per studiare e leggere.
Un esempio dalla Francia
Tra gli intervistati, chiamati a raccontare i loro ricordi sul Cinema Paris, un ambiente culturale in tutti i sensi, un luogo, a detta del proprietario Alberto Francesconi, “dove c’erano beni culturali e si faceva attività culturale”, uno studente francese in Erasmus spiega come la Francia ha cercato di sviluppare un approccio alla cultura nel quale gli interessi economici vengono messi in secondo piano rispetto a quelli culturali. Gli enti locali hanno la possibilità di finanziare i centri culturali, in particolare i cinema, che altrimenti non riuscirebbero ad essere autosufficienti. Ad esempio pratico, nel 2003 il comune di Parigi ha deciso di acquistare il cinema Le Luxor, conservandone il ruolo di cinema di quartiere, sotto la spinta della mobilitazione da parte delle associazioni del quartiere, iniziata due anni prima. Perchè il comune di Roma non potrebbe fare altrimenti con i suoi cinema storici, invece di lasciarli al degrado ed aggiungere alle sue tante rovine altri “fantasmi urbani”?
Sabrina Valentini
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Facebook, dal virtuale al reale: così in via Fondazza ci si dà una mano tra vicini di casa

il portico di destra di via Fondazza, direzione via Santo Stefano

il portico di destra di via Fondazza, direzione via Santo Stefano

Un progetto singolare, nato dall’idea di un residente: si tratta di un gruppo che, sfruttando il più noto social network, mette in contatto i cittadini della zona, che qui si trovano a condividere problematiche comuni e informazioni utili. Ma soprattutto socializzano
In città, si sa, il ritmo di vita convulso fa sì che spesso neppure conosciamo il nostro dirimpettaio. Fare gruppo, invece, con chi condivide il nostro stesso quotidiano, con i suoi problemi annessi ed esigenze comuni, puo’ rendere la vita più semplice e piacevole. Puo’ farci sentire meno solo. D’altra parte, l’unione, si sa, fa la forza.
Così, spontaneamente, in via Fondazza, ha preso il via un singolare progetto, nato dall’idea di un suo residente. Si tratta di un gruppo che, sfruttando il più noto social network, ovvero Facebook, mette in contatto i cittadini della zona, che qui si trovano appunto a condividere le problematiche legate al loro quartiere e tante informazioni utili. Ma soprattutto socializzano, dando il via a rapporti di buon vicinato.
BolognaToday ha intervistato Federico Bastiani, la “mente” del progetto, che nel giro di pochi giorni sta prendendo il volo.
Come è nata l’idea di fondare questo gruppo?
L’idea mi è venuta questa estate passeggiando per Via Fondazza da dove abito da 4 anni…vedevo facce conosciute ma non le conoscevo, con qualcuno al massimo scambiavo un “buongiorno” e niente di più. Passeggiavo per la strada e sentivo qualcuno suonare il piano e mi domandavo chi fosse…ho trovato questa “indifferenza” fra vicini triste ed ho pensato a come poter risolvere il problema. Lo spunto quindi l’ho preso dal sito americano “meet the neighbors” un sito che ti geolocalizza ed individua chi vive nella tua strada o nel tuo condominio solo che io non volevo investire fondi per un progetto simile e cosi ho pensato di usare lo strumento che tutti usano, Facebook. Ho creato cosi un gruppo chiuso “residenti in via fondazza”. L’unico problema era farlo conoscere cosi ho stampato 50 volantini A4 con la mia stampante ed li ho appesi alle colonne dei portici di Via Fondazza, risultato, in un mese siamo arrivati quasi a quota 200..(anche grazie alla stampa nazionale che si è occupata di noi..). Quando una persona si iscrive dice che civico è, del tipo “ciao dal 10” ciao dal 5 etc…cosi abbiamo la strada mappata.
Che scopo ha il gruppo e in che modo gli iscritti si danno una mano?
Ci tengo a precisare che l’obiettivo di questo gruppo e della mia idea non era quella di “cambiare il mondo” o avere traguardi per fare chissà che cosa..l’obiettivo era uno solo, socializzare. Socializzare poi può avere tante ripercussioni, anche a livello economico nel senso che si possono trarre vantaggi. Faccio un esempio, in via Fondazza vivono tanti studenti che si sono appena trasferiti qua e non conoscono la zona o persone con le quali interagire, hanno necessità tipo sapere dov’è una lavanderia a gettoni economica, un’estetista che faccia prezzi accessibili…tutte necessità che vengono postate nel gruppo ed il gruppo (non io) trova le soluzioni dove possibile.
Quali sono le problematiche maggiori segnalate dai residenti nella zona?
Le problematiche più rilevanti sono quelle connesse alla microcriminalità in zona, mi riferisco ai notevoli furti in casa, grazie a questo strumento, informiamo in tempo reale i vicini della presenza di furti e stiamo in allerta, e poi la pulizia dei portici. A questo proposito ci sono già alcune proposte che verranno poi discusse (di persona) con gli altri membri del gruppo. Questa domenica (13 ottobre) organizzeremo il secondo meeting dei “fondazziani” per conoscerci ovviamente ma anche per esporre queste problematiche. La parte interessante di questo progetto è che si può passare dal virtuale di facebook al reale semplicemente affacciandosi alla finestra se si vuole. Facebook ci aiuta solo nella comunicazione che è istantanea e non impegnativa.
Quali invece le iniziative/interazioni più curiose?
Guarda, un ragazzo aveva da dar via un frigorifero, ha messo il post nel gruppo e dopo poco una persona del civico di fronte (che non si conoscevano) ne aveva giusto bisogno e con il minimo sforzo massimo risultato la transazione è andata a buon fine. Poi ovviamente ci sono anche le iniziative proposte dalle attività commerciali della strada. In Via Fondazza ad esempio c’è lo storico Cinema Roma che ha proposto per i fondazziani sconti particolari, cosi come l’Osteria francese e così via, devo dire che il tutto è nato spontaneamente, io sono solo il coordinatore, il tutto si alimenta dal basso e trovo questo molto bello!
Il gruppo è nato da pochissimo, ma si sta allargando velocemente e diversi progetti ‘bollono in pentola’. Tra gli iscritti anche nomi noti.
Sì è vero. Come dicevo siamo quasi 200, adesso funziona molto il passaparola, anche Andrea Mingardi si è appena aggiunto, gli avevo chiesto di diventare “fondazziano onorario” visto che è un vero bolognese doc ed ha accettato. Visto che abbiamo scoperto che in questa strada risiedono vari musicisti, stiamo pensando di organizzare un “concertino di via Fondazza” e molte altre idee in cantiere.
Facebook, dal virtuale al reale: così in via Fondazza ci si dà una mano tra vicini di casa
anna matino
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