1

Venere in pelliccia

pellicciaRegia : Roman Polanski;  attori : Emannuelle Seigner , Mathieu Amalric

Thomas ( Amalric)  sta uscendo da un teatro un po’ scalcagnato dove, tra gli scenari western di un precedente lavoro ( un musical belga tratto da “Ombre rosse”) , ha terminato i deludenti provini per il ruolo di Wanda nella versione teatrale di “Venere in pelliccia” di Von Sacher Masoch che lui ha curato. Bagnata di pioggia ed in ritardo entra Vanda(Seigner) , un’attrice cialtrona e volgarotta che insiste per fare il suo provino . Il  pur recalcitrante Thomas non riesce ad opporsi ma dalle prime letture appare affascinato dalla capacità dell’attrice a essere il personaggio. I due cominciano a provare, lui nel ruolo di Severin e lei in quello di Wanda (i due protagonisti del romanzo) e , mano a mano che la recita va avanti, lei lo coinvolge fino a  fargli perdere il senso del tempo e a costringerlo a lasciare per telefono la sua fidanzata ( una ragazza ricca, colta e salottiera, apprendiamo). Vanda/Wanda spinge il gioco fino a legarlo sul palcoscenico e , dopo aver improvvisato , nuda e con indosso la pelliccia di scena, una danza bacchica, a lasciarlo lì , allontanandosi nella notte.

Dopo “ Carnage”, Polanski dirige un altro film tratto da un dramma teatrale ( questo è la versione scenica di David Iles ) e ,soprattutto grazie alla chimica che si avverte tra i due protagonisti ( che erano già stati insieme ne “Lo scafandro e la farfalla” di Schnabel) , il racconto è avvincente . Amalric , truccato e pettinato come il regista, è bravissimo e la Seigner è sguaiatamente carnale . Quello che funziona meno è proprio il romanzo di partenza : sappiamo che Masoch vi aveva raccontato , con poche variazioni – Venezia anziché Firenze, l’amante un ufficiale greco anziché un attore italiano – , la propria personale esperienza con la scrittrice Fanny Pistor ; il romanzo ha avuto una gran fortuna extra-letteraria , tanto da far definire masochismo il piacere, descritto nel libro, della sofferenza ma qui finiscono i suo pregi : il racconto è mal scritto e pervaso di  lagnose lamentazioni che , oltre ad essere noiose, ne annullano il potenziale erotico ( un discorso simile, peraltro, si può fare per De Sade). Polanski ha sculacciato e frustato sullo schermo i sederi di Francoise Dorleac (“Cul de sac”), di Sharon Tate (“Per favore non mordermi sul collo”) e di Sydne Rome (“Che? “) ; ora prova a mettersi d’all’altra parte;  tecnicamente il risultato è ineccepibile ma la dolente ed irridente anima polanskiana si intravede appena.

altre letture: http://www.psychiatryonline.it/node/4665




La bonifica, sessione plenaria del forum Corviale (22 novembre 2013)

Alfonso Pascale scrittore romano

Alfonso Pascale scrittore romano

Il Progetto Corviale 2020 si fonda sull’idea che la coesione sociale è una premessa, non l’esito dello sviluppo.

A Roma – ma anche in altre parti del Paese – questa idea si può considerare come una tradizione innovativa. Oggi la stiamo riscoprendo, ma è antica almeno quanto Roma Capitale d’Italia.

Se andiamo a vedere i progetti di bonifica integrale elaborati nei primi decenni del secolo scorso nell’Agro romano e poi, successivamente, quelli riguardanti la riforma agraria del secondo dopoguerra – che hanno interessato anche una porzione importante del Comune di Roma – notiamo che alla base dello sviluppo della nostra città, per un lungo periodo, c’è stata una visione sistemica del territorio. Una visione in cui  i legami comunitari, le relazioni umane, le forme dell’abitare, l’istruzione, la cultura, l’arte, i servizi socio-sanitari precedono e condizionano le iniziative per la crescita economica.

E’ una tipicità della cultura tecnica, economica e sociale della prima metà del Novecento quando si produssero significativi esperimenti di bonifica integrale con interventi idraulici, civili, urbanistici, socio-educativi e igienico-sanitari di grande spessore. Un filone utopico che è stato colpevolmente rimosso dalla memoria storica.

I guai seri per la nostra città sono iniziati quando si è abbandonata la visione sistemica dello sviluppo territoriale e si è imposta quella urbanocentrica, caratterizzata dalla separazione e frammentazione delle funzioni urbane e dalla riduzione delle aree agricole, di fatto, ad un ruolo di mera riserva in attesa di essere edificate.

E così da una visione integrata del paesaggio agrario – nel senso che ad esso dava Emilio Sereni come “forma impressa dall’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, al paesaggio naturale” – si è passati ad una visione meramente naturalistica del paesaggio. E tale cambio di ottica ha prodotto una sorta di “divisione del lavoro”  (un perenne e infruttuoso armistizio!) tra chi pianifica e realizza i quartieri e i servizi a questi connessi e chi gestisce le aree agricole sempre più residuali, a partire dalle aree protette.

Più che all’idea di rigenerazione – che richiama la falsa mitizzazione nostalgica dei bei tempi di una volta – dovremmo rifarci all’idea di bonifica integrale come processo perenne di trasformazione territoriale – abbandonando ovviamente ogni risvolto dirigistico e utopico del passato – da declinare, mediante l’utilizzo diffuso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, come bonifica della crosta urbana.

Europa 2020 è una grande opportunità per impostare con siffatta visione la crescita dei territori della nostra città. Una grande opportunità se il Comune di Roma e la Regione Lazio sapranno coglierla scegliendo di adottare l’approccio integrato nell’utilizzo dei Fondi europei.

Sei anni fa, quando si negoziò con Bruxelles la Programmazione 2007-2013, l’Amministrazione capitolina si disinteressò di questi aspetti e non pose al centro della propria iniziativa il ruolo che avrebbe potuto svolgere l’agricoltura urbana al servizio della città e l’esigenza di una strumentazione specifica plurifondo.

Subimmo così l’esclusione dagli incentivi destinati dalla politica di sviluppo rurale alle attività multifunzionali e di diversificazione che avrebbero offerto una qualche prospettiva alle aziende agricole della Campagna romana e, al contempo, una risposta concreta alle nuove sensibilità per lo sviluppo sostenibile manifestate in modo crescente dall’insieme dei cittadini.

Questa volta, è augurabile che Roma non perda di nuovo il treno.

Spetta alla Regione Lazio decidere se estendere l’approccio Leader, finora utilizzato solo nelle aree rurali, anche alle città e se i Partenariati pubblico-privati che nasceranno potranno utilizzare contestualmente i diversi Fondi comunitari. Il Comune di Roma farebbe bene a sollecitare la Regione a compiere questa scelta se vuole creare nei territori cittadini delle vere e proprie comunità.

E’ ormai sempre più palese che le trasformazioni territoriali non si possono più né programmare né pianificare con gli strumenti che abbiamo utilizzato finora. Si possono solo accompagnare con percorsi partecipativi condivisi, da progettare “ad alta risoluzione”. Ma questa modalità richiede una rigenerazione – qui è proprio il caso di usare questo termine! – della funzione pubblica che deve acquisire la cultura partecipativa e quella della sussidiarietà e la capacità di riconoscere alla società civile la funzione di autorganizzarsi sulla base di valori comunitari per gestire i beni collettivi.

In sostanza, ci vogliono nuovi occhi perché gli spazi aperti, quelli edificati, le attività non vanno più visti come entità rigide, separate e monofunzionali, ma vanno scomposti e ricostruiti in modo polivalente. I singoli soggetti e i gruppi che li compongono non vanno più separati per categorie e ingabbiati in determinati interessi specifici. Si tratta, invece, di cogliere la molteplicità e, al contempo, l’unitarietà dei bisogni degli individui, ricomponendone i frammenti.

Oggi l’agricoltura non è più soltanto un settore produttivo – come lo abbiamo immaginato quando eravamo pervasi di cultura fordista – ma è anche un’attività che fornisce alla città servizi sociali, culturali, ricreativi e ambientali e che ha pertanto bisogno di spazi edificabili.

Oggi il Welfare in trasformazione non è soltanto il vecchio Stato sociale redistributivo ma è anche un Welfare produttivo.  Altro che fine del sociale! Siamo ad un suo rilancio ma su nuove basi: un Welfare che dismette le forme assistenzialistiche del passato per produrre esso stesso – in forme imprenditoriali – ricchezza, occupazione, benessere collettivo.

Dobbiamo, dunque, progettare gli spazi e le attività come insediamento nell’antispazio delle reti informatiche, come nodi delle reti, polivalenti, interscambiabili. Senza rigidità e separatezze. Dobbiamo costruirli come sensori, quasi interfacce di computer.

Per costruire le interconnessioni bisogna praticare senso di comunità e fraternità civile e avere sotto gli occhi le mappe del territorio. Più un territorio autorappresenta le sue funzioni sotto forma di mappatura in continuo divenire, più il suo destino evolve in un processo di ri-appropriazione collettiva dell’identità. Un’identità perennemente mutevole perché aperta al diverso.

Il Progetto Corviale 2020 non ha più nulla di utopico perché la sua realizzazione avviene nella concretezza quotidiana della pratica relazionale generativa di fiducia e dell’utilizzo diffuso delle tecnologie di nuova generazione. E’ questo il significato dello slogan “Il territorio è la sua mappa”. E qui si colloca anche un’evoluzione della logica distrettuale, che diventa capacità di una comunità in movimento di autodefinirsi, modificando continuamente – con l’innovazione sociale – la mappa delle sue funzioni.

 

 




Andiamo al cinema

fuga di cervelliFuga di cervelli

Regia : Paolo Ruffini ;  attori: Paolo Ruffini, Luca Peracino, Andrea Pisani, Guglielmo Scilla, Frank Matano , Olga Kent.

 Emilio è un nerd, è da sempre innamorato di Nadia ( Kent) ma non ha il coraggio di dichiararsi ed ha una comitiva di amici più sfigati di lui : il cieco Alfredo (Ruffini), l’handicappato Alonso (Pisani), il tossico Lebowsky (Scilla), il ritardato Franco (Matano). Nadia va a studiare medicina ad Oxford e i cinque amici decidono – dopo aver fatto falsificare i propri pessimi risultati universitari da Pino La Lavatrice (Michele Manca) – di raggiungerla nel prestigioso ateneo. Qui Lebowski mette fuori uso con le sue pillole il pericoloso corteggiatore di Nadia ,Chamberlain (Nicolò Senni)  ma Nadia vede Emilio , finito per un equivoco nella sala delle autopsie, divincolarsi su di un cadavere femminile e lo crede necrofilo. Anche Alfredo e Alonso si innamorano – uno della voce di Karen ( Giulia Ottonello) e l’altro di Claudia (Gaia Masserklenger) . Nadia invita Emilio ad una cena con i suoi parenti  che sono andati a trovarla e , nello stesso ristorante, gli altri due portano le loro fiamme ma la serata sarà un disastro : Alfredo e Alonso , tentando di mascherare il proprio handicap, combinano disastri e il padre e il nonno di Nadia , luminari della psichiatria, tentano di diagnosticare la presunta necrofilia di Emilio. Tutto sembra crollare ma…

Ruffini per la  sua prima prova di regia ha scelto di riadattare un successo spagnolo con lo stesso titolo del 2009 ; il risultato è un mix di college comedy all’americana, di umorismo un po’ sulfureo alla spagnola e di goliardia all’italiana non proprio riuscitissimo. Per cercare il consenso dei ragazzi  ha poi  arruolato due veterani del web : Guglielmo Scilla , in arte Wilwoosh (qui più in palla rispetto alle precedenti apparizioni cinematografiche : “Una canzone per te”, “Matrimonio a Parigi” e “10 regole per farla innamorare” ) e Frank Matano ; con loro la coppia comica rivelazione di “Colorado “ : Peracino e Pisani e , nel ruolo di genitori , alcuni comici noti : Biagio Izzo, Andrea Buscemi, Marco Messeri, Michela Andreozzi . Insomma, gli ingredienti ci sono tutti , è la ricetta che stenta a funzionare.

 

 




VIDEO > Corviale 2020, una tre giorni culturale per rilanciare il Serpentone

L’assessore ai Lavori pubblici Masini: “Entro i prossimi sei mesi si potranno avviare i lavori per il recupero e la messa a norma della scuola di via Mazzacurati”.

(MeridianaNotizia) Roma, 19 novembre 2013 – Roma riparte dalle periferie e più precisamente daCorviale.  Con una tre giorni di incontri, mostre, attività e  laboratori artistici si svolgerà dal 21 al 23 novembre la manifestazione “Corviale 2020 – Intelligente, Sostenibile, Inclusivo“.  Per ilpresidente del Minicipio XI Veloccia “la vittoria è quella di far diventare Corviale un marchio che attiri menti, cultura e operatori economici. Corviale – ha aggiunto Veloccia – deve passare dall’essere sinonimo di degrado, come era un tempo, ad esempio di sviluppo e rigenerazione urbana”. Obiettivo del forum sarà dunque quello di trovare il punto di avvio di nuove iniziative, anche attraverso l’avvio di un Tavolo di concertazione istituzionale, che diano risposte concrete ai bisogni collettivi della comunità con la realizzazione di modelli da replicare in altri ambiti nazionali.

Durante la presentazione dell’evento, tenutasi presso la sala delle Bandiere in Campidoglio, l’assessore ai Lavori pubbliciPaolo Masini ha annunciato i prossimi interventi sul quartiere. “Entro i prossimi sei mesi si potranno avviare i lavori per il recupero e la messa a norma della scuola di via Mazzacurati, per la riqualificazione dello spazio pubblico vicino le entrare del palazzone di Corviale e per la nuova illuminazione, per la realizzazione di una ludoteca in via Mazzacurati e per la riqualificazione del parco in via dei Sampieri per un totale di circa 3,4 milioni di euro”.”Stiamo pensando – ha aggiunto Masini – di lanciare una novità: la realizzazione nella parte cieca del serpentone di una arrampicata che sarà la più alta del mondo”. “Infine – ha concluso l’assessore – nella Giunta della settimana scorsa è stata finalizzata la proposta per partecipare al premio internazionale Bloomberg Philantropies con il progetto ‘un sole sulle periferie’ basato sul Calciosociale e che nasce, come iniziativa, proprio da Corviale”




Video >”Corviale un chilometro di città” un programma di Paola Orlandini e Patrizia Colaci – Rai storia 2013




RETE SCUOLE ALFAMEDIALI. La scuola nell’era dell’audiovisivo. La proposta alfamediale di Erice

I Maestri alfamediali di Erice

I Maestri alfamediali di Erice

La Scuola Alfamediale considera l’Audiovisivo come un “secondo alfabeto”.

Il primo, quello fonico, è il più importante linguaggio monomediale della carta, Il secondo,

quello audiovisivo, il più importante linguaggio multimediale dello schermo. Il primo

traghetta l’umanità dalla civiltà del rito e del mito alla civiltà del logos o della “ragione

chiusa del testo scritto”, lineare e formale, letteraria e disciplinare; il secondo dalla

civiltà del logos a quella dell’olos o della “ragione aperta del testo spettacolare”, dinamica

e complessa, organica e simulativa. La Scuola Alfamediale sviluppa ed integra

entrambe le forme di pensiero.

Il secolo audiovisivo

Il ‘900 è stato chiamato in tanti modi, ma mai “il secolo dell’audiovisivo o dello

schermo”. Dopo circa un secolo d’incubazione e di riproduzione tecnica dei linguaggi

analogici – immagine , suono, movimento (cinema muto1895) – nel 1927 con la proiezione del primo film sonoro nasce l’audiovisivo.

Passa meno di un decennio e l’audiovisivo-cinema diventa audiovisivo-televisione in

bianco e nero nel 1936 e a colori negli anni ‘60. L’audiovisivo TV entra direttamente

nelle case offrendo alle masse spettacoli di ogni tipo e producendo effetti inediti nel

paesaggio interiore ed esteriore: un profondo rispecchiamento culturale e sociale, la

contestazione studentesca nel 1968, la forte spinta consumistica, la liberalizzazione dei

costumi. I primi personal computer del 1975 sembrano bloccare l’invasione della televisione

e sviluppare un diverso uso dello schermo, ma solo apparentemente, perché

appena dieci anni dopo, nel 1985, il linguaggio audiovisivo ricompare nella forma digitale

di multimedialità. Pochi anni ancora e nel 1989, mentre cade il muro di Berlino per

effetto, appunto, delle armi improprie della televisione e del computer, si diffonde nel

mondo internet. Il web impiega un altro decennio per veicolare video on line e già nel

2000 con il videofonino e nel 2005 con Youtube anche internet diventa audiovisivo. Ora

il video dilaga sulla rete e teoricamente tutti possono mandare messaggi video a tutto

il mondo. Il futuro sarà sicuramente audiovisivo: sequenziale, interattivo, interpersonale,

HD, 3D, da occhiali, da polso…

Intanto, in meno di cento anni, l’audiovisivo sconvolge il sistema simbolico-culturale

dell’alfabeto e della stampa, l’ingloba nel suo sistema multimediale di spettacolo,

moltiplica la stessa produzione letteraria e scientifica. Collateralmente, mette in crisi

famiglia, chiesa, scuola, politica, mondo della produzione, del lavoro ed impone un

nuovo ordine storico e geografico, chiamato, con una parola ormai conclamata, “globalizzazione”.

L’emergenza rifondativa della scuola

L’avvento e l’affermazione dell’audiovisivo cambia l’ambiente fisico e mentale

degli uomini dopo circa tre millenni di egemonia culturale dell’alfabeto, stampa compresa.

Ecco le nuove emergenze culturali.

1. Tutti gli alfabetizzati, circa 6 miliardi (altri 800 milioni non conoscono la scuola),

senza accorgersene, diventano semianalfabeti audiovisivi: sanno stare con il corpo

e la mente davanti allo schermo, ma non sono capaci di starci dentro.

2. Il pensiero umanistico delle lettere e dei numeri e il pensiero scientifico delle conoscenze

disciplinari, anche se rimangano gli strumenti basilari dello sviluppo civile,

culturale e sociale dei popoli, non sono più sufficienti a vivere e governare gli imprevedibili

e complessi processi del mondo globalizzato.

3. Il pensiero multimediale dell’audiovisivo, proprio perché causa-effetto della nuova

storia e del nuovo mondo, si rivela, invece, adatto ad interpretare e capire la molteplicità,

la complessità, la flessibilità, l’ordine sistemico, organico, comunicativo,

creativo della civiltà dello spettacolo.

4. La formazione del nuovo pensiero può essere davvero efficace solo se passa dalla

mediazione della scuola. La Cultura Multimediale dell’audiovisivo, la Terza Cultura,

deve, pertanto, entrare correttamente nel curricolo ed operare la mirata riconversione

istituzionale della Scuola Alfabetica o delle Due Culture (Umanistica e Scientifica)

in Scuola Alfamediale o delle Tre Culture (Umanistica, Scientifica, Multimediale).

5. Ma che cos’é la Cultura Multimediale? E’ tutto ciò che ruota attorno al sistema telecamera

– schermo (penna e carta multimediali): strumenti analogici e digitali, tecniche

d’uso, reti multimediali on line e off line, informazioni veicolate, linguaggi integrati,

forme testuali, sistemi simbolici, ambienti antropologici di vita e di lavoro.

La disattenzione verso queste cinque emergenze, indotte dall’audiovisivo, ha già

prodotto profondi effetti discriminatori sulla popolazione mondiale, suddivisa di fatto in

tre grandi categorie antropologiche: gli inclusi, i reclusi, gli esclusi.

Gli inclusi, stimabili attorno a un miliardo e distribuiti nei Paesi più avanzati,

hanno la padronanza del pensiero alfabetico-numerico (umanistico-scientifico) della

carta e del pensiero audiovisivo-multimediale dello schermo; i reclusi, variamente graduati,

sono circa 5 miliardi ed hanno la padronanza solo del pensiero alfabetico; gli

esclusi, circa 800 milioni di analfabeti, sono totalmente privi dell’uno e dell’altro.

In questo contesto tripartito va considerata la strana posizione dei reclusi. Per gli

inclusi essi rappresentano un inesauribile mercato di consumatori, a cui vendere i loro

beni immateriali (il sistema dello spettacolo, innanzitutto); per gli esclusi il territorio da

invadere e occupare, perché là si producono e si consumano i beni materiali.

La strategia di Lisbona

In questo contesto di rivoluzione culturale, silente e non intenzionale, indotta dall’azione

riambientativa dell’audiovisivo, l’Europa si vive come “reclusa”. Vede svanire il

suo primato storico, culturale e produttivo conquistato secoli fa con la stampa e la cultura

del libro e sente di non controllare le strane forze della globalizzazione, che tenta di

spiegare solo dal punto di vista economico, ma non pedagogico ed antropologico.

Reagisce nel 2000 con la strategia di Lisbona, fissando nel 2006 le 8 competenze chiave

che ogni cittadino europeo deve possedere per vivere nell’Unione e demanda agli Stati

nazionali la messa a punto degli strumenti formativi necessari. Ecco le 8 competenze:

1) Comunicazione nella madrelingua; 2) Comunicazione nelle lingue straniere; 3)

Comunicazione matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4) Competenza

digitale; 5) Imparare a imparare; 6) Competenze sociali e civiche; 7) Spirito d’iniziativa

e d’imprenditorialità; 8) Consapevolezza ed espressione culturale.

Le prime tre competenze sono storicamente presenti nel curricolo della Scuola

Alfabetica o delle Due Culture e richiedono solo nuove messa a punto formative. La

quarta è appena entrata e va sicuramente consolidata. La quinta, la sesta e la settima

sono, invece, totalmente nuove nella forma e nella sostanza ed appaiono come inse3

gnamenti trasversali che non rimandano a precise materie di studio. L’ottava spazia tra

formazione artistica e letteraria e riflessione critica e scientifica.

Come è facile notare, le 8 competenze chiave della strategia di Lisbona non indicano

né una chiara pedagogia, né un preciso curricolo, né specifiche materie, né una

metodologia. Non rimandano neanche a precisi linguaggi e a precisi contenuti. Per questo

motivo non si sa bene cosa fare. Finora si é fatto davvero poco per attuare il programma

UE. Intanto, il clima d’avvento millenario di Lisbona sembra del tutto scomparso

per effetto della improvvisa recessione e della imprevedibilità storica. Manca la

visione satellitare e la visionarietà profetica. La scuola sembra affondare nelle sue stesse

innovazioni di sopravvivenza. Le 8 competenze chiave UE possono aspettare.

La strategia alfamediale

Diversamente dalla strategia di Lisbona la Scuola Alfamediale o delle Tre Culture,

Umanistica, Scientifica, Multimediale ha già un corpo organico – antropologico-linguistico,

pedagogico-curricolare, organizzativo-metodologico – sufficientemente sperimentato

ed istituzionalizzato.

La strategia alfamediale poggia su quattro principi pedagogici tra loro in stretta

relazione: La spettacolarità audiovisiva, l’integrazione linguistica, la sintesi culturale, la

presentazione video.

1. L’audiovisivo é il più completo linguaggio dello spettacolo su schermo (cinema, televisione,

computer, internet, videofonino…), evoluzione storica dello spettacolo diretto

su scena e dello spettacolo illustrato su carta.

2. Il valore culturale e formativo dell’audiovisivo non sta soltanto nella quantità e qualità

degli spettacoli trasmessi, ma principalmente nell’integrazione linguistica di testi

audio (suono, parola parlata) e testi video (movimento, immagine, scrittura, stampa)

ovvero di tutti i linguaggi del Corpo (movimento, suono, immagine) e della

Parola (parlata, scritta, stampata), finalmente riunificati.

3. Il curricolo porta a sintesi cultura alfabetica (monomedialità su carta) e cultura

audiovisiva (multimedialità su schermo) ovvero i due momenti si pongono in continuità,

ampliamento ed alternativa.

4. La presentazione video è il principale esercizio didattico attraverso cui lo studente

impara a stare davanti e dietro alla telecamera (e dunque dentro lo schermo) e a

pensare e a comunicare in modo spettacolare con il Corpo e la Parola.

La presentazione video

Nella Scuola Alfamediale o delle Tre Culture tutti gli studenti fanno periodicamente

la presentazione video. Si tratta di un esercizio di scrittura del Corpo – Parola fatta

davanti e dietro alla telecamera e dunque “dentro lo schermo” per il pubblico di telespettatori

della classe. Essa produce tre grandi effetti innovativi:

si aggiunge, rafforza ed integra, nell’unità semantica dello spettacolo, tutti gli

esercizi tradizionali di scrittura monomediale: disegno, tema, riassunto, problema,

ricerca, interrogazione.

Aggiunge al tradizionale lavoro testuale di lettura, scrittura e traduzione monomediali,

tre nuove forme di testualità multimediale: l’integrazione di testi di linguaggi

diversi, la loro trasposizione dalla carta alla scena e poi allo schermo e la redazioneedizione

di materiali didattico-culturali in stampa illustrata e in video.

Rinnova l’ordine curricolare della scuola, dell’insegnamento e della professionalità

docente, centrandolo, decisamente, non più su un solo linguaggio universale, ma su

due: quello monomediale dell’alfabeto e quello multimediale dell’audiovisivo.

Tecnicamente, la presentazione video si fa nello studio televisivo della scuola o, in

mancanza, direttamente in classe, come si vede nelle due immagini.

In questa prima foto si vede un’alunna seduta davanti ad una telecamera pronta

a fare la lettura comunicativa di una pagina illustrata (titolo, disegno colorato e testo

scritto) da lei elaborata per trasposizione da un tema, da una ricerca o da qualche altro

compito. La trasposizione è di fatto una riscrittura comunicativa del testo con l’aggiunta

di un disegno in bianco e nero o colorato, che arricchisce semanticamente l’intera

composizione. Alle sue spalle c’è un telo monocromatico (azzurro) che permette di

decontestualizzare o contestualizzare la lettura con un’immagine in chromakey.

Dalla parte opposta alla telecamera c’è un compagno che ascolta dalla maestra le

indicazioni di funzionamento tecnico e linguistico della telecamera, lo strumento di registrazione

che “scrive” tutto quello che succede nel campo di ripresa: suoni, parole,

forme, gesti, colori, movimenti, errori, emozioni, incertezze, disinvoltura, padronanza,

convinzione di quello che si legge per offrirlo come servizio culturale ad un pubblico di

telespettatori. Sullo sfondo si vede lateralmente un televisore (potrebbe essere la LIM)

poggiato su un carrello e rivolto alla classe. L’intera apparecchiatura (televisore-telecamera)

é chiamata “unità mobile TV”. Ce n’é una per tutte le classi che si affacciano sullo

stesso corridoio della scuola. In fondo c’è la lavagna che dal suo posto fisso trasmette

alla classe i suoi messaggi scritti col gesso. L’alunna lettrice, al segnale convenuto,

legge la pagina scandendo bene le parole, dando espressività alla voce, ma soprattutto

guardando, ad ogni passaggio significativo della lettura, nell’obiettivo della telecamera.

Guardare nella telecamera è molto importante perché rafforza il contatto comunicativo

con il pubblico di telespettatori, in cui il lettore deve immedesimarsi.

La prova è seguita in diretta dalla classe e ripetuta più volte sulla base delle valutazioni

di resa comunicativa fatte da tutti: insegnante, compagni, compagno operatore,

a cui vanno naturalmente addebitati gli errori di ripresa (inquadratura, zoom,

tempi). Il più critico di tutti è sempre lo stesso lettore, sempre pronto a rifare la lettura

comunicativa. Questa é il primo e determinante passaggio mediatico dalla carta allo

schermo e risolve alla base i drammatici e più volte denunciati problemi dell’abbassamento

di competenza nella lettura strumentale a voce alta e nella lettura semantica

fatta con gli occhi. È questo di per sé un ottimo risultato scolastico.

In questa seconda foto si vedono, invece, i due compagni che hanno scambiato i

ruoli. Il compagno della ripresa è in piedi davanti alla telecamera e la compagna dietro

al mezzo di ripresa. Dopo avere inquadrato il compagno presentatore a mezzo busto gli

dà il tempo per iniziare la presentazione. L’alunno ha già fatto la lettura comunicativa

ed ora deve trasporla a parole proprie in base ad una scaletta mentale individuata

segnando le parole calde della pagina illustrata, precedentemente letta. Si tratta di un

lavoro facile e difficile al tempo stesso. È facile perché l’argomento o il sottoargomento

è già stato trattato e concordato con l’insegnante; perché su di esso è stata costruita la

pagina illustrata, prima manualmente e poi al computer; perché sullo stesso argomento

è stata fatta l’esperienza della presentazione su scena cioè una “minilezione” di pochi

minuti ai compagni della classe, utilizzando altri disegni colorati formato A3 ed oggetti

utili alla spiegazione. È difficile, invece, perché lo studente, grande o piccolo che sia, è

totalmente solo davanti alla telecamera, mentre l’insegnante e i compagni lo guardano

e lo giudicano; perché deve trovare solo in se stesso la forza per controllare l’emozione

e la concentrazione; perché deve fare tutto con naturalezza e disinvoltura, con espressività

comunicativa del corpo e della parola. Quasi sempre, dopo qualche prova meccanica

e mnemonica, si scopre il segreto di questo potente, spettacolare e “naturale” esercizio

di scrittura, impegnativo per tutti e molto amato da giovani e bambini.

La riscoperta dei linguaggi

Dopo circa quarant’anni di curricula ispirati alla scientificizzazione dei metodi e dei

contenuti (psicologie dell’apprendimento – insegnamento, teorie dell’informazione e

della comunicazione, semiologia e linguistica, studio di nuovi saperi, anticipazioni ed

approfondimenti disciplinari, analisi testuali e mappe concettuali), finalmente si cambia

registro e si torna ai linguaggi, gli incorruttibili strumenti del pensiero, della cultura

e della comunicazione. E’ già qualcosa. Ma per andare avanti nella strada della riscoperta

di tutti i linguaggi, bisogna fare ancora diversi passi avanti. Eccone alcuni.

1. Dare priorità allo studio dei linguaggi sui contenuti, sapendo che i linguaggi

educano e i contenuti istruiscono, i linguaggi restano e i contenuti cambiano, che lo studio

dei linguaggi sottintende sempre lo studio dei contenuti, ma non viceversa.

2. Ritornare a parlare di lettura e scrittura, piuttosto che delle famose tre “C”:

Conoscenze, Capacità, Competenze, riconducibili, alla fine, alle attività di lettura e di

scrittura.

3. Distinguere tra materie (insegnamenti linguistici) e discipline (insegnamenti

contenutistici) sia nei campi di esperienza della Scuola dell’Infanzia, nelle aree disciplinari

(un tempo ambiti) della Scuola Primaria e Secondaria di 1° grado, negli assi culturali

della Scuola Secondaria di 2° grado, uniformando, se possibile, la terminologia.

4. Indicare e specificare meglio la differenza tra lingue e linguaggi ed in particolare

tra Lingue (parlate, scritte, stampate) e Linguaggi Non Verbali e Multimediali, indicati

in sigla LNVMM.

5. Evitare di indicare i Linguaggi Non Verbali del Movimento, Suono, Immagine in

negativo e chiamarli in positivo “linguaggi dell’azione o dell’agire comunicativo del

corpo o della corporeità o più semplicemente del Corpo”.

6. Specificare quali sono i Linguaggi Multimediali: se solo quelli integrati dello

schermo come il cinema, la televisione, l’ipermedia o anche quelli della scena come, ad

esempio, i giochi, la cerimonia, il teatro e della carta come il manifesto, il fumetto e la

pagina illustrata.

7. Insegnare l’integrazione di testi di linguaggi diversi, la trasposizione da un

sistema d’integrazione testuale ad un altro (scena, carta, schermo), la redazione-edizione

di un prodotto culturale destinato ad un pubblico, interno od esterno alla scuola.

8. Riconoscere che il lavoro testuale, in tutte le sue forme, ha un altissimo potere

di transfert e che dipende da esso la formazione delle competenze specifiche di qualsiasi

altra attività umana. il testo fa la testa e la testa fa il testo e qualunque altro lavoro

materiale e immateriale.

La Scuola Alfamediale ha compiuto questi passi nella riscoperta e valorizzazione

dello studio di tutti i linguaggi del Corpo e della Parola, ridefinendo e centrando il curricolo

sul linguaggio monomediale su carta dell’alfabeto e sul linguaggio multimediale

su schermo dell’audiovisivo. Analizziamo più da vicino questa possibile, necessaria,

organica e semplificata strategia di rifondazione della scuola.

Il lavoro testuale con la telecamera

La presentazione video o televisiva è la fase finale di un lungo lavoro testuale programmato

dall’insegnante alfamediale o dal team di insegnanti alfamediali della classe

e che ogni alunno è chiamato a fare periodicamente. Essa gli insegna operativamente

e in forma graduale a passare dalla scrittura alfabetico-monomediale della carta alla

scrittura audiovisivo-multimediale dello schermo. La presentazione video è una pratica

didattica forte ed innovativa per la scuola, impegnativa e automotivante per gli studenti.

Essa prende di peso i ragazzi seduti “davanti allo schermo” della televisione, della

playstation e del computer, come succede per tante ore a casa, e li mette con il corpo

e la mente davanti e dietro alla telecamera, una volta per fare l’operatore di ripresa e

un’altra per fare il presentatore che comunica da “dentro lo schermo” ad un pubblico

invisibile. Quest’esperienza formativa, difficilmente può essere programmata dalla

famiglia ed è tuttora inesistente nella vita della scuola. I giovani, dalla Scuola

dell’Infanzia all’Università, la vogliono senza saperlo dire. Alcuni, pur di farla, inventano

spettacoli inguardabili con il videofonino, che poi scaricano su Youtube. La scuola

non riesce ancora a capire, a fare proprio e proporre il lavoro testuale della presentazione

video. Sa pensare solo al computer e alla LIM. Quando la telecamera entra in

classe, come avviene in modo ordinario nelle scuole della Rete Scuole Alfamediali

(RSA), gli studenti avvertono un profondo senso di liberazione e di rigenerazione. Fare

la presentazione video é come imparare a leggere e scrivere una seconda volta, ma in

forma più naturale ed efficace, con tutti i linguaggi del Corpo e della Parola. “Fare spettacolo”

per loro è rispondere ad un’originaria ed eterna esigenza umana di cultura, pensiero,

comunicazione. Perché lo spettacolo riesca bene essi devono però lavorare molto

ed imparare a correggere i tanti errori di grammatica, sintassi e punteggiatura che

fanno quando stanno davanti e dietro alla telecamera: esitazioni, parole non dette,

vuoti di memoria, passaggi sbagliati, ripetizioni inutili, sguardi fuori campo, tono piatto

della voce, inespressività del volto, gestualità assente o rigida, errori di postura e

d’inquadratura, insignificanza delle zoommate, scenografie non curate, luminosità sbagliata,

sobbalzi della telecamera ed altro ancora. Quando, infine, diventano bravi a controllare

ed armonizzare il Corpo e la Parola, sentono di stare bene e di pensare in modo

“leggero, rapido, esatto, visibile, molteplice”, per usare le categorie letterarie teorizzate

da Calvino, scrittore davvero alfamediale. Con questo nuovo ed immenso patrimonio

intellettuale di docenti e discenti ora è possibile trasformare le scuole anche in centri

di redazione-edizione di materiali didattico-culturali a stampa e in video per uso

interno o esterno alla scuola.

Diecimila scuole, di ogni ordine e grado, che fanno servizi a stampa e in video a

getto continuo per diffonderli dentro e fuori la scuola a fini informativo-formativi, costituiscono

sicuramente la più bella e potente rivoluzione culturale che possiamo augurare

alle giovani generazioni ed indirettamente a noi stessi, visto che devono essere i giovani

a pagare la nostra pensione e che la qualità di vita dell’intero sistema sociale

dipende alla fine dal capitale umano che abbiamo saputo creare.

Le competenze alfamediali

Ed ecco ora le 10 competenze attivate dalla Scuola Alfamediale con lo studio sistematico

dell’audiovisivo e la metodologia della presentazione video.

Per stare davanti e dietro alla telecamera ogni alunno:

1) deve saper usare bene il codice parlato, alfabetico, grafico, sonoro, motorio; 2) deve

saper integrare testi di linguaggi diversi: del Corpo (movimento, suono, immagine) e

della Parola (parlata, scritta, stampata); 3) deve saper usare le tecnologie analogiche

e digitali della scena, della carta e dello schermo; 4) deve saper trasporre lo spettacolo

illustrato su carta in spettacolo scenico e poi audiovisivo; 5) deve saper ricercare e

riportare ad unità tematica conoscenze scolastiche, personali e sociali; 6) deve saper

comunicare in modo diretto e indiretto con un pubblico; 7) deve saper valutare la performace

spettacolare sua e dei compagni; 8) deve saper collaborare con gli insegnanti

e con i compagni per la realizzazione della prova e del progetto; 9) deve saper rapportarsi

ai problemi reali della società, della cultura, del territorio, del passato, dell’attualità;

10) deve saper fare redazione-edizione di materiali a stampa e in video.

La prima differenza che salta agli occhi, confrontando le 8 competenze chiave

della proposta di Lisbona e le 10 competenze alfamediali, sta nel fatto che le prime

mirano a fronteggiare nel breve periodo i problemi dello sviluppo economico globalizzato,

mentre le seconde rispondono ad esigenze culturali e formative di lungo periodo

da curricolarizzare in un sistema istituzionale di facile comprensione e gestione.

L’insegnante alfamediale

L’insegnante alfamediale, prima di essere un insegnante di una particolare materia

o disciplina é un’intelligenza alfabetica ed audiovisiva, monomediale e multimediale,

della carta e dello schermo, della lettura e della scrittura con entrambi i linguaggi.

Egli sa dire e sa far dire ai suoi studenti la stessa cosa sia con il codice alfabetico sia

con quello audiovisivo. Tutti gli insegnanti devono avere, nel tempo, questa doppia

Coordinatore pedagogico della RSA • P.za S. Agostino, 2 – 91100 Trapani • tel. 0923.21500 cell. 338.9137150 • E-mail: tulliosirchia@virgilio.it

competenza professionale, riconducibile ad una competenza unica e generale, quella

alfamediale. Da questo punto di vista l’insegnante alfamediale non è un “docente dei

media” in aggiunta agli altri docenti, né un esperto esterno od interno che lavora in

compresenza con l’insegnante di classe, ma una nuova figura docente, più evoluta e

polivalente, la cellula rigenerativa della nuova scuola. Egli orchestra le attività di studio

scegliendo autonomamente l’approccio monomediale o multimediale. Fa fare periodicamente

(ad esempio, ogni quadrimestre) a tutti i suoi studenti la presentazione

spettacolare su scena, su carta, su schermo e la redazione-edizione di spettacoli scenici,

illustrati, audiovisivi, operando da solo o in team con gli altri docenti. Egli si sente

più maestro di lavoro testuale di lettura, scrittura, traduzione, integrazione, trasposizione

e redazione-edizione, che professore di contenuti disciplinari; più animatore e

comunicatore culturale che esperto di saperi specifici, comunque necessari.

La Scuola di Alta Formazione di Erice

La figura dell’insegnante alfamediale non esiste ancora nell’attuale ordinamento

scolastico, nazionale ed internazionale. La sua formazione professionale cammina di

pari passo con l’affermazione del modello alfamediale e con un convinto ed allargato

processo di riconversione istituzionale del sistema scolastico complessivo.

Ad Erice per una felice coincidenza di fattori positivi esistono tutte e tre le condizioni.

Innanzitutto, vi è nata la Scuola Alfamediale, un modello di scuola ad alto potere

formativo, che non sconvolge le strutture esistenti ed é a basso costo di gestione;

c’é la sede della Scuola Polo della Rete Scuole Alfamediale (22 scuole in tre regioni) in

fase di espansione nazionale; c’é un nucleo storico di insegnanti alfamediali capaci di

fare i formatori dei propri colleghi; c’é uniformità d’indirizzo alfamediale in tutte le

scuole del Comune di Erice; c’è nel circondario provinciale una corona di scuole alfamediali

che tende ad infittirsi; c’é la disponibilità dichiarata di diversi Sindaci a farsi

carico di questa sorta di riforma dal basso, uniformando l’indirizzo pedagogico di tutte

le scuole del territorio; c’è una lunga esperienza di convegni e corsi di formazione interni

ed esterni alle singole scuole; ad Erice Vetta c’è la struttura polivalente ed attrezzata

dove fare formazione ed incontri seminariali e convegnistici; c’è il progetto politico

del Comune di Erice di avviare un programma di alta formazione in vista anche dell’allargamento

del mercato europeo ai Paesi del Magrheb. Appena tutto andrà in sinergia

si può, a ragione, parlare di proposta alfamediale di Erice in risonanza storica con la

strategia di Lisbona e dei processi di riassetto curricolare dello studio e della pratica di

tutti i linguaggi, integrati o meno, in atto in Italia e nel mondo.

A questo punto é possibile fare entrare “dentro le schermo”, a fini formativi, tutti

i ragazzi del mondo perché possano scoprire ed abitare, appunto, il loro mondo. Come

l’Alice di Lewis Carroll, essi non devono più accontentarsi di quello che riflette lo specchio

elettronico dello schermo, davanti a cui si mettono ogni giorno, ma possono agevolmente

attraversarlo per conquistare l’infinito spazio di segni audiovisivi che nasconde.

“Oh, Kitty, come sarebbe bello potere entrare nella Casa dello Specchio!” disse

Alice alla gattina, “Sono sicura che ci sono delle cose meravigliose! Facciamo finta che

ci sia un modo per entrare… Ecco, guarda: sta diventando una specie di brina, proprio

in questo momento, te lo dico io! Andare di là sarà facilissimo…”

Tullio Sirchia

 




Corviale 2020: intelligente, sostenibile, inclusivo




Vaccinazioni: luci, ombre e nuove politiche sanitarie

vaccinazioni_obbligatorie_bigI vaccini sono entrati nella nostra quotidianità da molti anni e negli ultimi tempi sono sorte diverse polemiche sul loro uso così esteso. Ma facciamo un passo indietro: la loro struttura si basa su frazioni proteiche di cellule estranee al nostro organismo costituite da microorganismi (o parti di essi) inattivati che, iniettati ,stimolano la produzione di anticorpi. In Italia esistono vaccini obbligatori e raccomandati. Quelli obbligatori sono quattro: antiepatite B, antipolio, antidifterica, antitetanica, mentre i raccomandati sono pertosse, morbillo, parotite, rosolia, meningite, papilloma virus e influenza. Le campagne vaccinali operate in tutto il mondo per debellare queste gravi malattie hanno dato risultati straordinari,anche se non si può parlare della loro completa eliminazione. Attualmente con l’arrivo incontrollato di popolazioni non vaccinate è ancora più importante il rispetto delle normative soprattutto nei bambini. Tuttavia stanno sorgendo da alcuni anni comitati di genitori che si oppongono al trattamento sui loro figli. Il tutto è partito da un caso sollevato da un medico inglese che aveva correlato l’insorgere di una grave patologia come l’autismo, in un bambino, dopo la vaccinazione ,per la presenza di mercurio nel prodotto. Da quel momento sono scoppiate polemiche e prese di posizione da parte di molti genitori sul far vaccinare o meno i propri figli. Alcune cause dove è stata dimostrato il danno vaccinale hanno avuto forti risarcimenti dalle case farmaceutiche. E’ anche vero che se un figlio contrae la malattia perché non è stato vaccinato, l’asl di riferimento può far causa ai genitori. Quindi la decisione non è così immediata. La comunità scientifica è molto divisa sia sui risultati che sulla necessità di operare in modo così esteso. Alcuni farmacologi sostengono che la riduzione di queste epidemie sia dovuta anche ad una maggiore igiene e ad un’alimentazione più ricca.

La vaccinazione antinfluenzale è stata largamente consigliata da diversi anni a tutte quelle categorie a rischio come gli anziani, gli immunodepressi, gli asmatici, gli operatori sanitari e gli insegnanti.Grazie a questa sensibilizzazione sono diminuiti i ricoveri da complicanze broncopolmonari che negli anziani sono una causa frequente di morte. Altro fattore importante è la conseguente riduzione del contagio.L’aspetto più spiacevole che si può riscontrare è la contrazione di un’influenza legata ad una variante del virus,anche se più attenuata. Qui il rapporto rischio-beneficio è a tutto vantaggio del secondo.

E’ di questi giorni la notizia che la Regione Friuli Venezia Giulia eliminerà le vaccinazioni obbligatorie: antipolio, epatite B, tetano e difterite in linea con le indicazioni europee.

Gloria Bedocchi, farmacista

Gloria Bedocchi, farmacista

Molti medici di famiglia si stanno rifiutando di fare l’antinfluenzale per eventuali reazioni allergiche gravi.

Il 5 ottobre 2013 si è svolto il primo congresso nazionale sulle vaccinazioni di massa a Padova. L’organizzatore è il dott. Roberto Gava cardiologo e farmacologo clinico, da questo primo importante incontro è emerso che ogni vaccinazione deve essere sempre valutata dopo un’accurata visita medica considerando il rapporto rischio-beneficio. Per i bambini ,soprattutto quelli a rischio, sarebbe opportuno prima della vaccinazione. un esame ematochimico. La medicina naturale può aiutare l’organismo ad affrontare meglio il rischio influenza con preparati che aumentano notevolmente le difese immunitarie e sono pressoché privi di effetti collaterali. Le piante più utilizzate sono: echinacea, acerola, rodiola, rosa canina ,da sole o unite ad oligoelementi come rame e zinco. Esiste da anni anche un vaccino omeopatico che da buoni risultati. Oggi possiamo essere attivi protagonisti della nostra salute insieme al medico o al naturopata di fiducia percorrendo così una nuova strada della medicina.

parodia dei vaccini di Beppe Grillo

 




Andiamo al cinema, rubrica di Antonio Ferraro (coppialife.it)

Checco Zalone sul set del film "Sole a Catinelle" a Padova

SOLE A CATINELLE.

Un film di Gennaro Nunziante. Con Checco ZaloneAurore Erguy,Miriam DalmazioRobert DancsRuben Aprea

Checco ( Zalone ) è pieno di fantasie  : ha lasciato il lavoro di cameriere per fare il rappresentante di aspirapolveri ma sogna di essere un genio della finanza ; il nuovo lavoro, grazie però alle numerosissime zie che gli comprano gli elettrodomestici, sembra andare bene e Checco  riempie la casa di costosissimi aggeggi, contro il parere della moglie Daniela (Dalmazio) , operaia di una fabbrica in crisi ; esaurito il parentado, le vendite vanno in crisi , la Finanziaria con la quale aveva contratto debiti mostruosi gli pignora tutto e Daniela lo lascia; lui, non domo, continua a sognare e promette al figlio Nicolò  ( Dancs) che, se verrà promosso con tutti 10 ,lo porterà a fare una vacanza favolosa ; Nicolò si applica e, nonostante le suppliche di Checco alla maestra (Lyda Biondi) , avrà la pagella desiderata; padre e figlio si ritrovano così nella casetta della campagna molisana della tirchissima zia Ritella ( Matilde Caterina) ; un giorno ( il povero Nicolò non ce la fa già più) incontrano il bambino Lorenzo (Aprea) che ha gravi problemi di affettività e soffre di mutismo selettivo , la spontanea ( e, in fondo, affettuosa ) rozzezza di Checco lo induce a parlare e la  sua ricchissima madre , Zoe ( Erguy) , li prega di passare le vacanze con loro – convinta dalla psicologa ( Orsetta De Rossi ) che la loro compagnia sia salutare per Lorenzo. Checco si trova così gomito a gomito con gli agognati squali della finanza e due di loro , Marin ( Marco Paolini) ,patrigno di Zoe e Bollini ( Augusto Zucchi ) , convinti che sia il compagno dell’ereditiera , cercano di coinvolgerlo nei loro affari. Inutile dire che l’ingenuo Checco avrà la felicità e salverà la fabbrica dove lavora Daniela .

Il film è uscito in un numero spropositato di copie (1187 quando il massimo , rarissimamente raggiunto, e di 8/900 copie) ma si capisce . il suo primo film aveva incassato 20 milioni di euro e il secondo aveva toccato il record per un film italiano di 41 milioni . Queste cose non sono mai casuali : nel cinema vale il principio che il pubblico ha ragione e , infatti, Zalone è bravissimo e  nei primi due lavori aveva raccolto l’eredità del primo Sordi : i suoi personaggi sono rozzi, spontanei , amorali ma veri ed umanissimi e la loro lettura è molto più complessa e sfaccettata  di quanto non appaia lì per lì . Qui . forse, più che a Sordi, viene da pensare – sempre tenendo, come per Albertone, le debite distanze – a Totò : il personaggio si fa maschera (  e, non a caso, mantiene il nome d’arte dell’attore ) e la realtà  nella quale agisce viene affrontata con fiabesca clownerie . Lui ( che è molto intelligente ) intanto sta pensando, prima che si esaurisca il filone d’oro,  ad uno sbocco più imprevedibile ed attoriale .

 

 




Anniversari: 22 ottobre 1964 Jean Paul Sartre rifiuta il Nobel per la letteratura

Lo scrittore alla Sorbona con il famoso giubbotto sciarpa e pipa

Lo scrittore alla Sorbona con il famoso giubbotto sciarpa e pipa

Nel 1964 Jean Paul Sartre pubblica Les mots (Le parole, Net, 2002) e nello stesso tempo cominciano a circolare voci sull’attribuzione, proprio a lui, del Premio Nobel. Scrive una prima lettera all’Accademia svedese dove, benchè assicuri la sua stima all’istituzione del Nobel, chiede che non gli venga assegnata l’onoreficenza: “Signor Segretario, dopo alcune informazioni di cui ora sono venuto a conoscenza, avrei qualche possibilità, quest’anno, di ottenere il Premio Nobel. Benchè sia presuntuoso discutere di una premiazione prima ancora che abbia avuto luogo, mi prendo la libertà di scriverle per dissipare o evitare un malinteso. Intanto, Signor Segretario, le attesto subito la mia stima profonda per l’Accademia Svedese e per il premio con cui ha onorato tanti scrittori. Tuttavia, per ragioni del tutto personali e per ragioni più obiettive, io non desidero essere nella lista dei possibili candidati e non posso nè voglio accettare questa onoreficenza, nè nel 1964 nè dopo. La prego, Signor Segretario di accettare le mie scuse e di credere alla mia altissima considerazione.”

 

Il 22 ottobre 1964  scrive nuovamente all’Accademia svedese motivando il suo rifiuto ufficiale:

Le ragioni personali sono le seguenti: il mio rifiuto non è un atto di improvvisazione. Ho sempre declinato gli onori ufficiali. Quando nel dopoguerra, nel 1945, mi è stata proposta la Legione d’Onore, ho rifiutato malgrado avessi degli amici al governo. Ugualmente non ho mai desiderato entrare al Collège de France come mi è stato suggerito da qualche amico. […] Non è la stessa cosa se mi firmo Jean Paul Sartre o Jean Paul Sartre Premio Nobel. […] Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli, come in questo caso.”

Intervistato da Le Nouvel Observateur dopo il suo scandaloso rifiuto, dice: «Se avessi accettato il Nobel – anche se a Stoccolma avessi fatto un discorso insolente, il che sarebbe assurdo – sarei stato recuperato.» Sartre non vuole essere parte di una logica che rifiuta, vuole restare «il filosofo contro», lo scrittore che non vuole compromessi né false mediazioni, non accetta che si possa dire di lui: «è uno dei nostri, finalmente l’abbiamo recuperato». Per Sartre conoscere è agire; il ruolo dell’intellettuale deve necessariamente andare oltre la scrittura di libri:«La funzione dello scrittore – ha scritto – è di far sì che nessuno possa ignorare il mondo o possa dirsi innocente». L’intellettuale deve sempre scegliere se mantenere in vita un mondo ingiusto o impegnarsi per cambiarlo.

In Le Parolel’autoritratto che l’autore offre di sè stesso, racconta della sua necessità di scrivere come una predestinazione nata all’età di otto anni. Scrive infatti: nulla dies sine lineanon un giorno senza una riga. Nello stesso periodo in cui annota queste pagine autobiografiche porta avanti lo studio su Gustave Flaubert, l’Idiota della famiglia. Saggio su Gustave Flaubert (dal 1821 al 1857), 2 voll., il Saggiatore, 1977 Flaubert e Sartre,  non a caso, sono accomunati riguardo la necessità di scrivere, entrambi hanno scelto le parole come missione e hanno tentato di giustificare il proprio spazio nel mondo attraverso di esse.

Sartre è stato uno dei massimi esponenti dell’esistenzialismo, nacque a Parigi nel 1905 e sempre a Parigi morì nel 1980.

Fabio Del Croce redattore di Inform@corte blog della biblioteca della Corte dei Conti

http://www.raistoria.rai.it/articoli/sartre-rifiuta-il-nobel/11117/default.aspx