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Dunkirk

di Christopher Nolan. Con Fionn WhiteheadTom Glynn-CarneyJack LowdenHarry StylesAneurin Barnard USA, Gran Bretagna, Francia 2017

Dunkerque, 1940. Dopo la disfatta, il soldato inglese Tommy (Whitehead), unico superstite della sua compagnia va alla spiaggia per cercare di imbarcarsi per l’Inghilterra, qui incontra il silenzioso Gibson (Barnard) che sta spogliando un cadavere; vicino al molo si sono migliaia di militari in fila, in attesa di una nave inglese. I due mettono su di una barella un altro soldato morto e, con quel carico, attraversano il molo sotto continui attacchi aerei e riescono ad imbarcarsi nell’unica nave in partenza ma, appena depositano la barella, vengono rimandati a terra. Si rifugiano nei tralicci del molo nella speranza di riuscire a salire su di un’altra imbarcazione. La nave sulla quale avevano tentato di partire viene bombardata ed affonda e loro tirano su il soldato Alex (Styles). L’ammiraglio Bolton (Kenneth Branagh), intanto, da al colonnello Winnant (James D’Arcy), con il quale segue le operazioni dal molo, poco rassicuranti notizie sull’arrivo di navi militari: ne arriveranno pochissime, supportate da imbarcazioni civili che sono state reclutate allo scopo. I tre ragazzi salgono su di un’altra nave e vengono rifocillati con tè e coperte ma Gibson si allontana per starsene da solo sulla tolda; per i suoi due compagni è una fortuna, perché, di lì a poco, un siluro affonda la nave e lui, aprendo un oblò, li fa uscire dalla trappola. Dopo una lunga nuotata i tre ed altri commilitoni di Alex decidono di rifugiarsi in un peschereccio spiaggiato, in attesa che l’alta marea lo metta in mare. Arriva il proprietario della barca, un olandese (Jochum ten Haaf), che li avverte che i tedeschi sono lì vicino. Infatti, poco dopo, la barca è crivellata di colpi dei nemici che la usano come bersaglio. Arriva la marea ma lo scafo, pieno di buchi dei proiettili, imbarca acqua. L’olandese dice che bisogna diminuire il carico e Alex propone di gettare a mare Gibson, sospettando che non parli mai perché è una spia tedesca, Tommy lo difende e Gibson rivela di essere un soldato francese e che aveva preso la divisa al morto per fuggire dall’inferno di Dunkerque; mentre sale la tensione (Alex e gli altri lo vogliono sacrificare lo stesso, non essendo inglese) la barca affonda, Tommy ed Alex si salvano e Gibson non ce la fa.

In Inghilterra, mr. Dawson, proprietario di un piccolo yacht requisito per il salvataggio, parte per Dunkerque con il figlio Peter (Glynn-Carney) e con un amico di questi, George (Barry Keoghan), senza aspettare l’arrivo dei marinai della Royal Navy. In mare recuperano un soldato sotto shock (Cilian Murphy) su di un relitto e, questi, quando apprende che loro sono diretti a Dunkerque dà fuori da matto e nell’agitazione colpisce George che cade nella stiva e, per effetto della caduta, perde la vista. Poco più in là, Dawson e il figlio raccolgono altri superstiti di un siluramento e quando questi scendono in cabina si accorgono che il ragazzo è morto; Peter, che ha capito il dramma del soldato spaventato, alla sua domanda risponde che George sta bene.

Intanto dall’Inghilterra, si alzano in volo tre Spitfire, per contrastare l’attacco aereo tedesco ai soldati inglesi. Al primo scontro, il loro caposquadra (Luke Thompson) viene abbattuto e i piloti Farrier (Tom Hardy) e Collins (Lowden) proseguono la missione, anche se l’aereo del primo ha la spia del carburante rotta. Anche l’apparecchio di Collins viene colpito, lui riesce ad ammarare ma lo sportello non si apre e, mentre sta affondando, un colpo di remo lo spalanca: è Peter che lo trae in salvo. La loro barca è presa di mira da un aereo tedesco ma Farrier, con l’ultima riserva di carburante, lo raggiunge e lo abbatte; per poi atterrare sulla spiaggia e distruggere lo Spitfire, prima di essere preso prigioniero dai tedeschi. Ora che più di trecentomila soldati inglesi sono tratti in salvo (e tra questi Tommy ed Alex), il colonnello Winnant si imbarca a sua volta, mentre l’ammiraglio decide di rimanere a combattere con i francesi. Alex è sempre più torvo (si sente colpevole per la sconfitta) e quando, al porto di Dover, un vecchio cieco (John Nolan) si congratula con i soldati, si schermisce irritato. All’arrivo a Londra, però, i festeggiamenti dei connazionali ed un giornale che riporta il discorso di Churchill che, rigettando la proposta di resa da parte del Fuhrer, proclama – anche grazie allo spirito di patriottismo, dimostrato nel duro momento della sconfitta – la volontà del popolo inglese di combattere strenuamente sino alla vittoria finale, danno a lui e agli altri reduci la forza di guardare avanti. Peter, di lì a poco, riesce a far riconoscere George quale Eroe di Guerra.

Da ragazzi i film di guerra li classificavano in due categorie: con le donne e senza donne; i primi erano da evitare perché le scena d’azione sarebbero state rallentate da noiosi intermezzi sentimentali; i secondi – il cui prototipo era Obiettivo Burma di Raoul Walsh (peraltro grandioso e meglio noto a Roma come “Tana p’er cinese!” dall’esclamazione con cui i ragazzini accoglievano il primo piano del giapponese in agguato) – erano perfetti! Al di là delle nostre scelte adolescenziali, Dunkirk (in cui le scarsissime presenze femminili, sono sporadiche apparizioni di crocerossine) è un vero, grande, film di guerra, che rimanda con grande potenza narrativa l’eroismo del popolo inglese. L’episodio di mr. Dawson (il film è scandito da tre capitoli: Il molo – Una settimana, Il mare- Un giorno e Il cielo – Un’ora), ad esempio, richiama la parte centrale de La signora Miniver di William Wyler (altro grande affresco dello spirito nazionale inglese) con Clem Miniver che parte, con la sua barca da pesca per Dunkerque. Qui forse sta il limite, non del film in sè ma di quanto gli estimatori di Nolan si aspettano da lui: che l’autore dei meravigliosamente labirintici Memento, Inception ed Intersetellar si accontenti di una, sia pur perfetta, operazione di montaggio di storie non esattamente contemporanee per poi ricondurle ad unità per un nolaniano puro è quasi una delusione. A ben vedere però c’è un robusto filo conduttore che unisce Dunkirk, i tre titoli citati e la trilogia Batman- Il cavaliere oscuro: tutti disegnano un diverso ma altrettanto complesso labirinto, quello del costante senso di colpa e di inadeguatezza che accompagna ogni azione umana. In questo film (come d’altronde nel ciclo Batman) non ci sono buoni e cattivi (come nei più agiografici film precedenti che raccontavano lo stesso episodio: Dunkirk di Leslie Norman del 1958 e Weekend a Zuydcoote di Henri Verneuil del 1964) ma esseri umani che seguono il proprio destino, talora spaventati dalla potenza degli eventi e consapevoli della propria fragilità ma forti di un invincibile – e spesso doloroso- senso di appartenenza. Non è forse il miglior Nolan ma è certamente un gran film.

 




Il tema dei temi: gli immigrati – una riflessione di parte

Quello che avviene quotidianamente intorno a noi racconta di una tristezza disperante, una esigenza di chiudere il cerchio intorno a noi, alzare muri, ostacoli, costruire filtri, distacchi, elencare differenze, qualche volta essenziali qualche volta sottili, allertare sentinelle, selezionare chi entra e chi no.

La mistica del confine che si tramuta in confino. La ruota della fortuna tra chi nasce da una parte e chi no. Come la spieghiamo a noi stessi questa girandola fortunata o sfortunata?

Certo il dibattito si accende tra chi si trova tra i presunti fortunati. Gli altri, i dolenti, hanno negli occhi la disperata solitudine di chi si abbandona alla corrente. Così il mondo sta andando verso un medioevo futuro, c’è poco da fare, c’è poco da sperare, ciò che è rassicurante è la porta della città che si chiude alle spalle. ” E poi dietro la porta per sempre chiusa sarà la notte intera, la frescura, il silenzio “ ci dice la poetessa lombarda Antonia Pozzi (la porta che si chiude – 1931).

Già il silenzio ,che viene da silere, tacere, una forma di rispetto collettivo a raccoglimento delle persone defunte, quelle rimaste fuori. Quindi non disciplina spirituale ma, scelta politica di separazione.

Il noi e il voi affermato e vissuto quale motore del limite.

Gli aforismi presenti nel borgo di San Giulio sul Lago d’Orta ad opera della Madre Anna Maria Canopi, badessa del locale monastero benedettino, l’Abbazia Mater Ecclesiae, avevano lo scopo di separare il mondano dallo spirituale. Noi oggi lo attuiamo separandoci dai corpi e dalle anime dei consimili.

Ci teniamo stretta la povera ricchezza accumulata, il surplus energetico produttore di lipidi e i gadget comunicativi energivori a cui dedichiamo continue attenzioni: c’è campo? Il cavo di ricarica c’è? La presa c’è? La batteria di supporto è pronta all’uso?

Poca attenzione a chi fuori aspetta la conclusione di un destino. Una conclusione svogliata e convogliata dentro il grande contenitore dell’emergenza. Una emergenza che dura da dieci anni, un ordine pubblico e una prevenzione di sicurezza latente che informa scelte, affari e carriere politiche.

Ed invece è semplice ri – conoscere ciò che si vede. Chi ad esempio è uguale a noi e attende sulla porta, spesso neanche bussa, stesse mani stessi occhi. Aspetta qualcosa, forse qualsiasi cosa, stremato da quel che è vissuto alle sue spalle.

Orrori e tradimenti, perdite e disperazioni, testimoniano la mancanza di un futuro possibile, vivibile, attivo.

Dobbiamo scegliere? Come scegliere e chi? E’ chiaro che se scegliamo noi stessi perdiamo noi stessi, non rimane che scegliere di accogliere.

Tutti? Si tutti.

Senza se e senza ma.

Non esiste altra via che vivere pericolosamente. Per Nietzsche il segreto della felicità è nelle difficoltà. E’ la vita stessa instabile ed insicura, la nostra come quella degli immigrati. E’ la natura umana che si definisce limite all’esistenza.

Non possiamo vivere la vita senza attraversarla.

Quindi non c’è alternativa per l’Europa, se vuole vivere la vita, non può non accogliere.

Lo spazio non manca e con – vivere è una avventura, una sfida al destino di primaria forza.

Chi vuole annoiarsi fuggendo?




Lavoro di Cittadinanza – Staffetta intergenerazionale

CONVEGNO

IL BES * NEL DEF *

LOCANDINA

PROGRAMMA

COMUNICATO STAMPA

Idee per un programma di investimenti per l’innovazione.

Siamo un raggruppamento di Associazioni impegnate sui temi della cittadinanza attiva e dello sviluppo locale, che nutrono l’ambizioso sogno di mettere insieme “giovani” e “anziani” in un grande progetto di staffetta intergenerazionale capace di creare lavoro di cittadinanza. Un antidoto formidabile per combattere efficacemente l’inoccupazione giovanile, la disoccupazione di lungo periodo, la povertà.

Tali fenomeni devastanti non si contrastano con le mance di Stato. Queste oggi, nel dibattito pubblico, hanno denominazioni diverse: sostegno o reddito di inclusione, reddito di cittadinanza, reddito minimo, reddito di partecipazione, sussidio di disoccupazione. Ma sono tutte legate da un’impostazione assistenzialistica, la quale – come ha detto Papa Francesco – mina la dignità delle persone a cui sono destinate.

Le nostre Associazioni hanno lavorato e studiato a fondo temi come l’inquadramento del welfare negli assi di innovazione economica e sociale del paese, la misurazione del valore prodotto dall’auto-organizzazione della società civile nei bilanci degli enti pubblici, la trasformazione delle periferie in comunità-territori che ambiscono a diventare centri, le sfide e le opportunità dei flussi migratori negli interscambi tra paesi e nello sviluppo locale. Temi che formano la cornice entro cui collochiamo il progetto di staffetta intergenerazionale, intesa come dialogo tra la generazione fordista, che sta uscendo di scena, e la generazione digitale, che stenta ad alzare il sipario. Entrambe profondamente provate dalla grande recessione e dalla carestia di speranza.

Si tratta di realizzare progetti per la durata di 12-24 mesi in cui impegnare giovani di età compresa tra 18-29 anni e occupati e disoccupati over 55 che intendono scambiare saperi, competenze e abilità, avvicendandosi nel ruolo di “apprendisti” e “maestri”. Un modo per imparare insieme il “mestiere” di affrontare i momenti nodali della vita. Un’esperienza che le comunità umane tradizionali coltivavano con cura e che nella modernità si è dispersa. Ma essa è essenziale per tornare a produrre beni relazionali e creare le condizioni per l’innovazione.

Tali progetti, promossi da imprese private e mondo del terzo settore, vanno pensati non come un costo a carico dello Stato, ma come investimenti pubblici e privati in una grande innovazione di servizi che riguardano la governance, la produzione e la manutenzione dei beni di comunità. Un’innovazione sociale volta a trasformare i beni di comunità da fattore di conservazione, freno alla crescita, in una delle leve strategiche per la produzione di nuovo valore, luogo di uno scambio positivo tra l’individuo e il suo contesto sociale. Un’innovazione sociale tesa a moltiplicare alleanze generative tra pubblico, privato e civile (terzo settore ed oltre), in grado di produrre “figli” nuovi, non di spartirsi il bottino tra “genitori” vecchi. Un’innovazione che può realizzarsi solo se si consente alla staffetta di consegnare finalmente il testimone.

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COME ARRIVARE

Confindustria
– Auditorium della Tecnica –
sala A Viale dell’Astronomia, 30 – 00144 Roma

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MAPPA

CON I MEZZI PUBBLICI

  • Metropolitana. Linea B, fermata Eur Magliana (distanza 650 metri)
  • Autobus. Linea 709 (fermata Astronomia-Gandhi); linee 31, 771, 780 (fermata Tupini-Astronomia)
  • Taxi. La stazione più vicina è in viale Europa (distanza 400 metri)



“Gang Bank”: perchè i nostri soldi sono i loro. Uno spettacolo di Gianluigi Paragone.

Gianluigi Paragone, giornalista, conduttore televisivo e radiofonico, denuncia i legami tra politica e finanza che svuotano la democrazia ed il nostro portafoglio… se credi che tutto ciò non ti riguardi, sbagli!

Monica Melani, creatrice del metodo MelAjna e direttrice del Mitreo, da oltre 30 anni fa ricerca sulle dinamiche fisiche e metafisiche del processo creativo. L’artista effettuerà il ritratto foto-energetico di Gianluigi Paragone, che entrerà a far parte di un progetto di arte sociale e partecipativa chiamato “L’energia trasformatrice di Corviale”.

Per Gianluigi Paragone questa è la sua “prima” a Roma.

Posti limitati.

Info e prenotazioni: 334 2276717 – gangbankevento@gmail.com

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Due uomini, quattro donne e una mucca depressa

Anna Di Francisca, dal suo film d’esordio (La bruttina stagionata) era apparsa come una delle autrici più interessanti del nostro cinema: era chiara la sua capacità di regia ma, soprattutto, appariva come uno dei pochi registi in grado di uscire dallo spazio chiuso del cinema nazionale: i suoi gusti da spettatrice – ma soprattutto il suo talento – sono chiaramente rivolti verso una platea più ampia, almeno europea. Questa vocazione appare non solo dalle scelte estetiche e di contenuto ma dalla capacità di organizzare il film e di governarne appieno il set. Due uomini, quattro donne e una mucca depressa sono la perfetta esemplificazione di questo assunto: il racconto di fondo non è la solita storia di cortile che continua a caratterizzare il cinema italiano (anche il migliore); l’ambientazione spagnola è un naturale portato del racconto e non un furbo espediente per rimediare soldi da un coproduttore; la sua capacità di coinvolgimento, le ha consentito di poter contare su di un cast di grandi nomi internazionali: il serbo-francese Manolovich (attore-simbolo del cinema di Kusturica), i divi spagnoli Verdù, Fernandez, Marull e, in un piccolo ruolo accettato per ammirazione per la regista, Antonio Resines. Anche il cast italiano segnala scelte non banali: da Marcorè che recita in perfetto spagnolo, all’affettuoso ed ironico recupero della Grandi, sino alla coraggiosa e vincente scelta di usare in un ruolo centrale Manuela Mandracchia, bravissima attrice teatrale, pochissimo usata dal nostro ambrangiolinicentrico cinema. Vale lo stesso discorso per il cast tecnico: la fotografia di Duccio Cimatti rende magico il paesino di Boicarent e il montaggio di Simona Paggi tiene il non facile tono di musical/non musical del film, che le belle musiche (in particolare la canzone della finale del coro, allegramente riassuntiva) e le orchestrazioni di Paolo Perna avevano sapientemente preparato. Il film, dopo un ottima accoglienza al Festival di Torino, esce solo ora, a causa di complesse vicende produttive e sarebbe un peccato perderlo.

di Anna Di Francisca. Con Predrag ‘Miki’ ManojlovicMaribel VerdúEduard FernándezLaia MarullAna Caterina Morariu Italia 2015

Il musicista Edoardo (Manojlovic) è in crisi: è stato lasciato dalla moglie, vede poco la figlia Alice (Marzia Bordi) e non ce la fa più – lui laicissimo ed anticlericale – a comporre musiche per fiction sulle vite dei santi. Dopo lo scontro con l’ennesimo produttore (A.F.) e un incontro con un vigile urbano/counselor psicologico (Massimo De Lorenzo) che lo blocca per una processione, decide di lasciare Roma e passare un periodo sabbatico dall’amico Emilio (Fernandez), ex-marito di una sua cugina ed ex-compagno di lotte sessantottine che ora vive in un grande podere a Boicarent, paesino della Valencia. Quando arriva alla villa trova solo la cameriera muta Irma (Serena Grandi) e la triste mucca Luisa. Lo trova in chiesa mentre sta provando con il coro della parrocchia, lo porta al bar e si stupisce del fatto che lui, mangiapreti e stonatissimo, canti in quel gruppo; Emilio gli confessa di andarvi perché è innamorato di una delle coriste, Victoria (Marull) che – oltre ad essere figlia del Generale (Hector Alterio), vecchio militare franchista e gran cacciatore (a dispetto dell’impegno animalista della figlia) – gestisce un’agenzia di viaggi, frequentata attivamente dal giovane Pablo (Hector Juezas), che spera di poter perdere la verginità in una crociera piena di milf. Mentre parlano, lei arriva e siede in un tavolo con altre tre coriste: Julia (Verdù), operaia con buone possibilità musicali, separata dal barbiere Carlos (Neri Marcorè), Manuela (Gloria Munoz), patronessa di tutte le attività sociali del paese e Sara (Manuela Mandracchia), fisioterapista gay, che tutte le sere va a guardare le stelle al telescopio della sua amica Marta (Morariu). Durante una prova il parroco (Ferran Gadea) cade e si rompe il femore ed Emilio ha una grande idea: sarà il famoso musicista Edoardo a dirigerli (spera così di farsi apprezzare dall’amata Victoria), al suo fermo diniego Emilio propone un patto: se dirigerà il coro, lui organizzerà una grande festa per il proprio cinquantesimo compleanno, alla quale inviterà Alice, della quale Edoardo ha una gran nostalgia. Questi accetta e comincia stravolgendo tutto il programma precedente, dando ai coristi, anziché noiose litanie di chiesa brani divertenti come Ragliabà (versione ritmatissima del vecchio Quando canta Rabagliati). Julia, intanto è presa tra due fuochi: la madre Aida (Luisa Gavasa), che la spinge a lasciare la fabbrica e tornare con Carlos – che per amore sarebbe disposto a trasferirsi a Madrid, dove lei potrebbe frequentare una scuola di canto – e le amiche, che la inducono a manifestare i sentimenti che comincia a provare per Edoardo. Lei lo invita a cena e lui la incoraggia a studiare musica ma quando lei gli chiede di darle qualche lezione, lui rifiuta: ha sempre odiato insegnare. Risultato: lei diserta il coro e lui è sempre più triste. La sera della festa diventa l’occasione di varie svolte: il grasso e timido Alvaro (Jorge Calvo), complice qualche bicchiere, chiede a tutte le donne presenti di fare un figlio con lui (nessuna però accetta); Manuela annuncia che il festival nazionale dei cori si svolgerà proprio nel loro paese; Alice e Pablo simpatizzano subito e sarà con lei che il ragazzo perderà la verginità; Julia balla con Edoardo e gli dice che tornerà a cantare se lui comporrà la canzone che il coro canterà al concorso; il gelosissimo Carlos – che tiene in pugno il Generale, avendo scoperto che ha un’amante nera, Ngari (Carmen Mangue)  – costringe il militare a tendere con lui un agguato ad Edoardo e a sparargli nel sedere con un fucile ad aria compressa (inutile dire che il Generale sarà fiero della prodezza come se avesse espugnato un fortezza in guerra); Sara, che non era stata invitata alla festa, decide di chiarirsi con Emilio e gli spiega che lei e la sua ex-moglie erano da sempre innamorate e che questa lo aveva sposato temendo le malelingue del paese, per poi fuggire in Italia da sola; Irma, infine, si mette a parlare: non è affatto muta ma la perdita di un amato torero le aveva tolto la voglia di comunicare. Arriva il giorno del concorso e per tutti – compresa la mucca Luisa, alla quale la nascita di un vitellino farà da rimedio alla depressione – arriva il lieto fine.




Modì in concerto

In occasione della fine dell’anno scolastico, l’I.C. Regina Margherita sarà coinvolto con la partecipazione delle classi VB, IIIA, IIIB ad un concerto musicale dove gli alunni delle suddette classi si esibiranno nel coro per accompagnare l’artista Giuseppe Chimenti, in arte Modì.

Il cantautore presenterà in anteprima il nuovo disco, ispirato ad alcune opere d’arte del Surrealismo, raccontate come fossero storie di tutti i giorni. Il messaggio insito nella manifestazione è “non bisogna educare all’arte, ma è l’arte che deve educare”, in quanto l’arte di per se’ ha un suo messaggio educativo a prescindere da significati e interpretazioni.

Il progetto prevede altresì l’approfondimento delle opere pittoriche trattate dal cantautore e lo studio degli artisti surrealisti citati nelle canzoni.

locandina definitiva




Usi di pubblica utilità sociali e culturali: il testo della sentenza della Corte

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO

composta dai Sigg.ri Magistrati

dott.ssa Piera Maggi Presidente

dott.ssa Anna Bombino Consigliere

dott. Eugenio Musumeci Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio n.74720 proposto dal P.R. nei confronti dei sig.ri Mirella di Giovine, rappresentata e difesa degli avvocati Gennaro Terracciano e Amelia Cuomo, Cinzia Marani, rappresentata e difesa dall’avvocato Stefano Rossi, Lucia Funari, rappresentata e difesa degli avvocati Alessandro Fusillo e Jacopo Varalli, Francesca Saveria Bedoni, rappresentata e difesa dall’avvocato Maria Vertucci, Clorinda Aceti rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Lo Mastro;

Visti gli atti di causa;

Uditi, nella pubblica udienza del 6 aprile 2017, con l’assistenza della Segretaria Francesca Pelosi, il relatore, Presidente Piera Maggi, il Procuratore Regionale nella persona del Vice procuratore Generale dott. Guido Patti e, per le convenute, gli Avv.ti Giacomo Terracciano e Amelia Cuomo per Di Giovine, Giuseppe Lo Mastro per Aceti, Maria Vertucci per Bedoni, Alessandro Fusillo per Funari, Stefano Rossi per Marani;

FATTO:

Con atto di citazione depositato in data 26 maggio 2016, il Procuratore Regionale, ha evidenziato una fattispecie ritenuta dannosa che concerne:

l’assegnazione provvisoria in concessione, con ordinanza sindacale n. 3483/1997, di un immobile di proprietà del Comune di Roma Capitale, sito in Roma, via della Penitenza 33, alla Associazione Agorà 80 (in seguito: l’Associazione), che ivi gestisce l’omonimo teatro, ad un canone originariamente determinato in poco più di euro 500 mensili (conseguente all’abbattimento dell’80% dell’importo del canone di mercato determinato nel 1997).

L’Associazione avrebbe sempre goduto del bene immobile in modo illecito, atteso che essa non ha mai concluso un valido ed efficace atto di concessione.

Nonostante sia stata emanata una determinazione dirigenziale di riacquisizione del bene, non risulta che l’immobile sia stato restituito al Comune di Roma.

L’occupazione dell’immobile in questione da parte dell’Associazione risale al 1983, ma l’assegnazione provvisoria è stata disposta con ordinanza sindacale n. 3483 del 3 gennaio 1997, emanata ai sensi dell’art. 4, comma 11, della delibera del Consiglio comunale 3 ottobre 1996, n. 202, che prevede la possibilità di emanare un provvedimento provvisorio ed urgente nel caso in cui l’attività svolta dal concessionario non possa essere interrotta senza nocumento per la collettività (nel caso di specie il P.R. è dell’avviso che tale urgenza non ricorresse atteso che l’Associazione aveva per lungo tempo occupato, ed occupava ancora nel 1997, abusivamente l’immobile. Tale considerazione porrebbe in evidenza che la situazione illecita in cui versa l’immobile, sito in via della Penitenza, risale nel tempo e che, da decenni, sino ai giorni d’oggi, il Dipartimento del patrimonio del Comune sarebbe stato assolutamente incapace di gestire correttamente i beni immobili comunali ed in particolare il bene immobile in questione. Quello che si discute in questa sede, peraltro, è riferibile a tempi più recenti).

Nella ordinanza sindacale n. 3483/1997 è stabilito che la procedura istruttoria per la verifica dei requisiti richiesti avrebbe dovuto essere conclusa con l’emanazione del provvedimento formale di concessione da parte della G.C. entro il termine perentorio di 120 giorni, in conformità del disposto dell’art. 4, commi 12 e 13, della citata delibera del Consiglio comunale 3 ottobre 1996, n. 202.

Il predetto termine non è stato rispettato, con la conseguenza che il provvedimento provvisorio di assegnazione sarebbe divenuto inefficace, “valendo l’inosservanza del termine quale condizione risolutiva” della ordinanza adottata.

In considerazione della sopravvenuta inefficacia dell’ordinanza, l’immobile in questione avrebbe dovuto, quanto prima, rientrare nel possesso del Comune di Roma Capitale e,000000000000 per tutto il periodo di possesso del bene (possesso non giustificato da un idoneo titolo valido ed efficace), l’Associazione avrebbe dovuto (e tuttora dovrebbe, essendo essa inadempiente) corrispondere il canone di mercato. In tal modo sarebbe stato possibile evitare il perpetuarsi di una situazione illecita produttiva di danno erariale di cui sarebbero in perpetuo chiamati a rispondere i dirigenti dell’Ufficio competente, abilitati a richiedere il canone di mercato fino alla restituzione dell’immobile (ovvero alla legittima emanazione di un provvedimento di concessione e alla stipula del relativo contratto: ma, secondo il P.R., deve tenersi presente, al riguardo, l’attuale difficoltà di garantire la concessione di un immobile a favore di un (pre)determinato soggetto poiché la costante giurisprudenza richiederebbe, al fine di attuare una giustificabile par conditio, anche per la scelta del concessionario lo svolgimento di una apposita gara).

Successivamente, in data 5.8.1997, la G.C. ha emanato la deliberazione n. 3170 con cui è stato stabilito che l’immobile sito in Roma, via della Penitenza 33, fosse concesso alla Associazione. L’efficacia di tale deliberazione era espressamente subordinata al (preventivo) parere favorevole della Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici essendo l’immobile un bene sottoposto ai vincoli di cui alla legge n. 1089 del 1939 (fatto questo ben conosciuto dall’amministrazione comunale: v. nota in data 15 luglio 1997, prot. 22150, con cui è stato richiesto il parere alla Soprintendenza). Tale organo, con nota in data 28.7.1997, prot. 29357, espresse netto parere contrario, essendo l’immobile oggetto di un programmato intervento di restauro. A seguito di molteplici riunioni, peraltro, in data 18.1.2001, prot. RIS. 1280, la Soprintendenza comunicò di avere rilasciato il proprio nulla osta, modificando in tal modo il precedente parere contrario.

Peraltro, così come risulta dagli atti trasmessi dall’amministrazione, il relativo contratto di concessione, che dovrebbe sempre seguire il provvedimento amministrativo, non fu concluso e l’Associazione continuò tranquillamente ad avere il possesso del bene.

Nonostante il mancato perfezionamento del procedimento di concessione (mancanza del contratto di concessione), l’amministrazione ha richiesto all’Associazione, peraltro, in virtù dell’abbattimento dell’80% previsto per lo svolgimento di attività anche culturali, lire 12.815.057 (il canone a prezzi di mercato in precedenza era stato quantificato dalla Commissione stima in lire 64.075.286 annue).

Tale richiesta, secondo parte attrice, sarebbe illecita poiché il termine di 120 giorni era ed è già da tempo scaduto e, precisamente, in data 3.5.1997. Alla data del 31.7.1997, considerando anche il credito derivante dal pregresso illecito possesso, l’amministrazione risultava creditrice, secondo il P.R., di lire 270.365.100 (324.165.100 — 53.800.000) (v. nota in data 2.6A 997, prot. 17124).

Soltanto in data 10.6.2002, il Comune di Roma (v. nota prot. 9664) comunicò all’Associazione che essa — a quel momento, secondo parte attrice, illecitamente in possesso del bene – sarebbe stata abilitata al lecito possesso soltanto dopo che fosse stato completato il restauro ed in base ad un formale atto di concessione. Tale provvedimento avrebbe considerato e legittimato anche l’accertata occupazione illecita da parte dell’Associazione di aree ulteriori rispetto a quelle oggetto della precedente deliberazione G.C. n. 3170 ed avrebbe determinato il nuovo canone concessorio dovuto (v. nota del 18.11.2003, prot. 19896).

Tale nuova concessione non è stata mai deliberata (ed il conseguente necessario contratto mai concluso) e, pertanto, il possesso del bene, nel quale l’Associazione fu illecitamente reintegrata (v. verbale di consegna del 19.1.2004), dovrebbe essere sin dal 1983 ritenuto illecito ed illegittimo (per l’individuazione dell’estensione dell’immobile occupato v. nota della Polizia municipale in data 10 febbraio 2014 prot. 26184).

Il Comune, dopo un lasso di tempo di otto anni, ha:

1) in data 18.1.2012 effettuato un sopralluogo in via della Penitenza 33;

2) alla fine del 2012, con nota del 27.12.2012, prot. 28491, a firma dell’arch. Bedoni (direttore della U.O. Gestione amministrativa), si è di nuovo interessato alla vicenda in questione richiedendo alla Polizia municipale di effettuare un ulteriore sopralluogo al fine di accertare quali porzioni del bene fossero possedute dall’Associazione;

3) identica richiesta è stata formulata con nota in data 1.10.2013, prot. 21399, a firma dell’arch. Di Giovine (direttore del Dipartimento patrimonio). Tale sopralluogo è stato effettuato in data 21.11.2013 (v. nota della Polizia municipale del 10.2.2014, prot. 26184), ma esso non ha prodotto alcun risultato;

4) successivamente, la dott.ssa Aceti (direttore della U.O. Gestione amministrativa), in data 31.3.2014, 25 agosto 2014 e 24 marzo 2015 ha redatto alcune note indirizzate all’Associazione. Altresì, in data 6.11.2014 essa ha rivolto alla U.O. Direzione commissione stime la richiesta di effettuare la determinazione di una nuova indennità d’uso.

Tutte le note sopra indicate non apparirebbero corrette poiché esse non considererebbero che il possesso del bene da parte dell’associazione era illecito mancando un provvedimento di concessione valido ed efficace. Le suindicate dirigenti avrebbero dovuto richiedere immediatamente la restituzione dell’immobile ed ottenere il pagamento del canone di mercato da tempo dovuto.

L’amministrazione non avrebbe saputo quantificare esattamente le somme pagate nel corso del tempo dall’Associazione, sia per i locali originari sia per quelli occupati successivamente, né avrebbe provveduto a determinare il nuovo canone concessorio (v. le richieste formulate con la nota istruttoria in data 13.11.2015, rimasta senza risposta nonostante il successivo sollecito).

In base alla documentazione trasmessa risulterebbe che l’Associazione, per quel che vale, avrebbe risposto ai quesiti posti dall’amministrazione in merito al possesso dei locali diversi da quelli originari occupati abusivamente, ma non che abbia pagato, per il bene occupato, il dovuto canone di mercato.

Alla luce di quanto accertato il P.R. ritiene che:

  1. a) l’illecito produttivo di danno imputabile nel corso del tempo ai soggetti destinatari dell’atto di citazione, nella loro qualità di dirigenti dell’Ufficio V.U.O. — II Servizio amministrativo Spazi Sociali (adesso Gestione patrimoniale amministrativa) consisterebbe nel non avere richiesto il pagamento del canone di mercato e la restituzione dell’immobile a decorrere dalla data di scadenza dei 120 giorni a seguito della intervenuta inefficacia automatica della deliberazione sindacale n. 3483 del 1997 determinata dal mancato rispetto del termine perentorio di 120 giorni fissato per la conclusione del procedimento (nel caso di specie mai concluso) dall’art. 4 della delibera del Consiglio comunale n. 202 del 1996 e dalla stessa deliberazione sindacale sopra citata;
  2. b) responsabili del danno sarebbero anche tutti coloro che, indipendente dal ruolo da essi rivestito nell’ambito del Dipartimento del patrimonio, nel corso del tempo hanno esaminato il fascicolo riguardante la concessione disposta in favore dell’Associazione e che, con grave colpa, avrebbero omesso di dare la dovuta rilevanza al fatto che il termine di 120 giorni dalla data di emanazione dell’ordinanza provvisoria di assegnazione era da tempo scaduto e che l’Associazione risultava possedere sine titulo il bene immobile.

Se essi, sicuramente consapevoli dell’intervenuta inefficacia dell’ordinanza sindacale, avessero da tale fatto tratto le dovute conseguenze ed avessero immediatamente posto in evidenza la necessità della repentina riacquisizione del bene e l’applicabilità del canone di mercato al posto di quello ridotto dell’80% sino ad allora applicato, il considerevole danno cagionato all’erario comunale non si sarebbe prodotto.

Il P.R. osserva che, per il periodo successivo al 5.8.1997, data di emanazione della deliberazione G.C. n. 3170, l’Amministrazione comunale non avrebbe correttamente valutato che il possesso del bene (quello concesso originariamente in base all’ordinanza sindacale) non sarebbe stato mai legittimato dal menzionato provvedimento deliberato dalla Giunta comunale poiché il provvedimento concessorio era espressamente condizionato al parere favorevole — non intervenuto — della Soprintendenza (probabilmente, per tale motivo, non sarebbe stato stipulato il successivo atto di concessione). Successivamente, il bene, dapprima è stato riacquisito dal Comune, e poi — nel 2004 – è stato illecitamente restituito all’Associazione pur in mancanza di un idoneo provvedimento concessorio (la inefficace deliberazione n. 3170 nel frattempo aveva perso significato).

In base agli accertamenti istruttori espletati, l’ufficio competente a richiedere il canone di mercato e la restituzione dell’immobile è stato individuato nel Dipartimento patrimonio del Comune di Roma patrimonio (diretto dall’arch. Mirella Di Giovine dal 16.9.2013 all’1.5.2015), Direzione generale gestione amministrativa, V U.O. — II Servizio amministrativo Spazi Sociali, nel corso del tempo, per quel che interessa in questa sede, diretta dalle dott.sse Funari, Bedoni ed Aceti.

Tutte le menzionate dirigenti sarebbero responsabili del danno cagionato al Comune di Roma:

  1. a) l’arch. Di Giovine poiché essa, quale capo del Dipartimento patrimonio, per lungo tempo avrebbe omesso di impartire chiare e semplici direttive alla VU.O. — II Servizio amministrativo Spazi Sociali di agire nei confronti di tutti coloro (la quasi totalità dei ‘concessionari’) che illecitamente godevano del possesso di immobili comunali a seguito dell’inutile decorso dei 120 giorni, decorrenti dall’emanazione dell’ordinanza sindacale, fissati per l’emanazione del definitivo provvedimento concessorio;
  2. b) le altre perché, quali soggetti competenti ad agire, avrebbero omesso di richiedere l’aumento del canone e la restituzione dell’immobile. Esse, ad avviso del P.M., sarebbero responsabili del danno subito dall’erario comunale in base alla condotta omissiva posta in essere nell’ambito del procedimento che avrebbe permesso all’Associazione di godere ingiustificatamente dell’immobile ad un canone ridotto pur non esistendo un valido ed efficace titolo concessorio giustificativo del suo possesso.

Inoltre, il P.R. ritiene, come detto, che responsabili del danno siano anche tutti coloro che, indipendentemente dal ruolo da essi rivestito nell’ambito del Dipartimento del patrimonio, nel corso del tempo hanno esaminato il fascicolo riguardante la concessione disposta in favore dell’Associazione e che, con grave colpa, hanno omesso di dare la dovuta rilevanza al fatto che il termine di 120 giorni dalla data di emanazione dell’ordinanza provvisoria di assegnazione era da tempo scaduto e che l’Associazione risultava possessore sine titulo del bene immobile. Tali soggetti sono i sigg. Colalillo (nota del 24.5.2011, prot. 18), Bedoni (nota del 27.12.2012, prot. 28491), Di Giovine (nota dell’1.10.2013, prot. 21399), Aceti (note del 31.3,2014, prot. 7820, 25.8.2014, prot. 18893, 6.11,2014, prot. 24626, 24.3.2015, prot. 7293, quest’ultima di messa in mora per meri euro 5.328,00). Secondo il P.R. essi erano sicuramente consapevoli dell’intervenuta inefficacia dell’ordinanza sindacale e dell’illiceità del possesso dell’immobile da parte dell’Associazione (ad es. la dott.ssa Di Giovine con la menzionata nota dell’1.10.2013 ha richiesto alla Polizia Municipale di effettuare un sopralluogo e tanto dimostrerebbe che era consapevole della illiceità del godimento del bene), e, quindi, da tale fatto avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze ed avrebbero dovuto porre immediatamente in evidenza la necessità della repentina riacquisizione del bene e l’applicabilità del canone di mercato al posto di quello ridotto dell’80% sino ad allora applicato; in tal modo il considerevole danno cagionato all’erario comunale non si sarebbe prodotto.

Il P.R. ritiene, pertanto, che la condotta di tutti i soggetti sopra indicati (tranne quella del dott. Colalillo, mero responsabile del procedimento) sia illecita, connotata da colpa grave ed abbia concorso alla produzione del danno subito dal Comune atteso che essi, quali dirigenti e soggetti redigenti gli atti del procedimento, avrebbero dovuto provvedere in modo adeguato ed omettere di redigere inutili atti istruttori. Essi avrebbero dovuto rispettivamente emanare o predisporre tutti gli atti necessari per garantire immediatamente la corresponsione del canone di mercato e la restituzione dell’immobile.

Oltre alle suindicate dott.sse Di Giovine, Funari, Bedoni, ed Aceti, responsabili per avere omesso, pur avendo esaminato concretamente il fascicolo relativo alla vicenda in questione, di redigere atti idonei a tutelare la posizione creditoria del Comune, il P.R. ritiene responsabile del danno erariale anche la dott.ssa Marani, dirigente della menzionata U.O. dal 14.8.2008 al 14.1.2010. La responsabilità della dott.ssa Marani, come delle sue colleghe, andrebbe riconosciuta in conseguenza della sua titolarità dell’ufficio protrattasi per un lungo periodo di tempo e della sua completa condotta omissiva, così come stabilito nella recente sentenza della Sezione Lazio n. 486 del 2015, che ha condannato la predetta dirigente per motivi analoghi a quelli di cui si discute in questa sede.

Il danno subito dal Comune di Roma Capitale sarebbe difficilmente quantificabile non essendo stata trasmessa — nonostante apposita richiesta – idonea documentazione da parte dell’amministrazione. La somma dovuta, tuttavia, viene ritenuta dal P.R. quantomeno pari ad euro 357.283,76.

Il canone, determinato nel 1997, era pari a lire 64.075.286 = euro 32.037,64. Tale somma rivalutata — coefficiente 1,394 — risulta pari ad euro 44.660,47. Tale canone annuale dovuto, moltiplicato quantomeno per 8 (dal marzo 2008 al marzo 2016) ammonterebbe ad euro 357.283,76. Tale somma è stata calcolata sino al 31.3.2016. Sarebbe risarcibile anche il danno di euro 3.721,70, relativo a ciascuno dei mesi successivi a tale data, da calcolare fino all’emanazione del provvedimento che applichi il canone di mercato, alla sua successiva accettazione da parte dell’associazione ed al conseguente pagamento fino al rilascio dell’immobile.

Tale quantificazione si riferisce al canone di mercato. La relativa richiesta si basa su una corretta ripartizione dell’onere della prova a carico delle parti processuali. Il P.R. ritiene, infatti, che non sia onere della Procura regionale provare che il concessionario non ha pagato il canone, bensì che sia a carico di quest’ultimo provare l’avvenuto pagamento.

Da un punto di vista giuridico, secondo l’attore, si tratterebbe di accertare:

  1. a) se spetti alla pubblica amministrazione provare non soltanto l’esistenza del titolo che obbliga il debitore ad effettuare una determinata prestazione ma anche l’inadempimento del debitore, ovvero,
  2. b) se sull’amministrazione gravi soltanto l’onere della prova relativo al fatto costitutivo dell’obbligo e l’obbligo di allegazione dell’inadempimento, restando a carico del debitore (le varie organizzazioni incaricate) l’onere di fornire la prova del corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali.

In materia, al fine di risolvere l’annosa questione sarebbero intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione con la fondamentale sentenza n. 13533 del 30 ottobre 2001, che ha accolto la seconda opzione sopra descritta.

Ciò determinerebbe l’obbligo del rappresentante della pubblica amministrazione (così come di colui che agisce per un’impresa privata) di richiedere al debitore complete ed esaustive prove dell’adempimento del contratto, specialmente qualora venga sottoposta al suo esame documentazione assolutamente insufficiente ed inidonea in quanto predisposta dallo stesso debitore.

Ritiene il P.M. che, sulla Procura regionale attrice, in fattispecie del tipo di quella oggi all’esame, graverebbe unicamente l’onere di provare che il soggetto convenuto in giudizio non ha effettuato le necessarie verifiche dirette ad accertare che il debitore ha eseguito correttamente il contratto e che egli, conseguentemente, ha supinamente ed ingiustificatamente pagato il prezzo richiesto, non potendo ritenersi soddisfatto l’obbligo a carico del pubblico amministratore, in conseguenza della mera ricezione delle fattura, di brevi ed inconcludenti relazioni e di fotografie descrittive dell’attività che il debitore afferma essere stata svolta.

Secondo l’attore, quindi:

– tutti gli oneri ingiustificati in precedenza indicati (euro 357.283,76 + interessi) costituirebbero un danno per l’amministrazione ed inoltre i danni non ancora prodottisi alla data del 31.3.2016 dovrebbero essere determinati dalla Sezione giurisdizionale e dovrebbero essere oggetto della eventuale sentenza di condanna, in base alle regole che disciplinano la risarcibilità del danno futuro per i danni non ancora verificatisi al momento del deposito della sentenza di condanna;

– di tutti i danni subiti dall’amministrazione dovrebbero rispondere i destinatari dell’atto di citazione nella loro qualità di dirigenti dell’ufficio competente ad attivare la procedura finalizzata alla quantificazione del canone di mercato e ad ottenere il pagamento del dovuto, ovvero al rilascio dell’immobile, nonché coloro che hanno posto in essere atti del procedimento finalizzato all’emanazione della concessione definitiva, salva la responsabilità dell’attuale (dott. Gherardi) e dei futuri dirigenti della V U.O. — II Servizio amministrativo Spazi Sociali i quali, nel corso del tempo (successivamente al 30.11.2015), ometteranno con colpa grave di richiedere ed ottenere il pagamento del canone di mercato fino al rilascio dell’immobile, sicuramente da richiedere ed ottenere immediatamente;

– nella condotta dei soggetti destinatari del presente atto di citazione sarebbe rinvenibile, quantomeno, l’elemento soggettivo della colpa grave; tale colpa grave consisterebbe nella concreta ed ingiustificata applicazione della deliberazione della Giunta comunale n. 3170/1997, provvedimento inefficace per mancanza del parere favorevole della Soprintendenza (al rilascio di tale parere favorevole era espressamente condizionata la menzionata deliberazione), nel non aver tenuto in considerazione il fatto che, a seguito di tale deliberazione, non era stato concluso il necessario contratto di concessione, e nell’aver consentito il possesso dell’immobile senza che fosse stato preventivamente emanato un idoneo atto giustificativo del possesso in capo all’Associazione; in aggiunta all’aver consentito l’illecito possesso del bene, i dirigenti avrebbero omesso di richiedere ed ottenere il pagamento del canone di mercato (per quel che concerne il dott. Gherardi, al quale l’invito a dedurre, rivolto alle convenute, è stato inviato per mera ed opportuna conoscenza, il P.R. pone in evidenza che egli, nominato dirigente della Direzione generale gestione amministrativa in sostituzione della dott.ssa Aceti, è stato personalmente reso edotto della grave situazione in cui versava la Direzione generale da lui diretta. Sinora egli si è attivato con diligenza a sanare la situazione dell’Ufficio);

– sussisterebbe il richiesto nesso di causalità tra la condotta ascrivibile ai soggetti destinatari del presente atto e gli oneri finanziari ingiustificatamente sostenuti dalla amministrazione;

– in termini generali, non sarebbe condivisibile una condanna della Sezione giudicante ad una somma “comprensiva di rivalutazione e/o di interessi” poiché il giudice deve esaurientemente motivare in merito al calcolo di rivalutazione ed interessi, chiarendo quale sia il metodo seguito (es. indici Istat) e l’importo esatto di tali elementi, da distinguere nettamente rispetto alla somma capitale.

Le deduzioni contrapposte all’invito a dedurre sono state ritenute insufficienti dal P.R. ad escludere le contestate responsabilità e, pertanto, è stata emessa citazione nei confronti delle convenute citate in epigrafe per ivi sentirle condannare, in parti eguali, in favore del Comune di Roma Capitale al pagamento di curo 357.283,76 calcolati sino al marzo 2016, oltre ad euro 3.721,70 per ogni mese successivo al marzo 2016, salva diversa ripartizione; in ogni caso con condanna al pagamento degli interessi dalla data di emanazione della sentenza fino al saldo e alle spese di giudizio.

E’ presente in atti appunto del P.R. in cui si svolgono talune considerazioni:

  • la prescrizione si ritiene non maturata in quanto, ove nell’ultimo giorno del quinquennio si fosse attivata una azione di recupero, il danno si sarebbe potuto evitare;
  • la chiamata in giudizio è stata estesa anche ai soggetti che, dopo i 120 giorni, non si sono attivati per ottenere la restituzione dell’immobile ed il pagamento dell’intero canone concessorio;
  • è stata chiamata in giudizio la dott.ssa Aceti e non i suoi successori in quanto i successori si sono trovati in una situazione ormai compromessa;
  • la chiamata in giudizio ha riguardato coloro che sono stati in servizio per almeno un anno;
  • in caso di occupazione abusiva sine titulo sono stati chiamati in giudizio i dirigenti degli ultimi dieci anni dell’ufficio competente;
  • in ipotesi di doppia concessione dopo i 120 giorni, entrambe sono state ritenute illecite anche perché assentite senza i prescritti pareri;
  • il canone richiesto era sempre del 20% e ciò configurerebbe dolo e motivo per non far luogo al potere riduttivo;
  • non si provvedeva ad eseguire gli sgomberi e tutte le concessioni, a maggio del 2016, risultavano scadute;
  • nel termine di 120 giorni doveva essere intervenuto il provvedimento di concessione;
  • la concessione doveva essere risolta per il mancato pagamento di tre annualità, ma non vi sono state conseguenze,
  • in alcuni casi il concessionario svolgeva attività commerciali senza rispetto delle norme di sicurezza;
  • si sono verificati casi di rinuncia alla concessione e di subentro di altro soggetto non previsto dall’ordinamento;
  • mancato rispetto del termine di 90 giorni fissato per la presentazione della domanda prevista dall’art. 3 comma 3 della del. n. 26/1995;
  • l’istruttoria non è stata quasi mai completata nei 120 giorni previsti e l’ordinanza è stata solo un mezzo per attribuire gli immobili;
  • il danno è stato determinato nella differenza tra il canone di mercato e quello del 20% corrisposto in quanto la finalità non era colpire la morosità del concessionario, ma censurare la mancata pretesa del canone intero in mancanza di regolare concessione.

L’architetto Francesca Saveria Bedoni si è costituita in giudizio con il patrocinio dell’avvocato Maria Vertucci e il difensore, con memoria, ha precisato che la sua assistita ha ricoperto l’incarico di dirigente presso la U.O. concessioni per soli 199 giorni in modo frammentario per le plurime competenze del suo ufficio e, nel 2005, aveva fatto contratto di servizi con la Romeo gestioni per monitoraggio e censimento del patrimonio comunale ed iniziative al riguardo, ma tanto non è stato considerato. Inoltre la Bedoni chiese, ai sensi della delibera di Giunta n. 670 del 19 novembre 2002, di poter assegnare gli immobili a canone di mercato, ma il dott. Palumbo non dava seguito né provvedeva a dar seguito alle richieste di personale. Non sono stati chiamati in giudizio né il Colalillo, responsabile dei procedimento, né la società Romeo. Ripercorre la parte l’iter già descritto di assegnazione dei locali e ricorda gli atti normativi che regolavano le concessioni e rileva che esisteva il responsabile del procedimento non citato in giudizio. Né sarebbe stato possibile chiedere la restituzione degli immobili in quanto tale obbligo non era contenuto in alcuna disposizione e la Bedoni presumeva la liceità dell’occupazione e risultava che il canone fosse pagato. Mancano poi, nell’atto di citazione, le singole e specifiche imputazioni nei confronti di ciascun chiamato. La mancanza di colpa grave deriverebbe anche dalla sentenza n. 486/2015 di questa Sezione che ha trattato analoga fattispecie. Le norme non prevedono la richiesta di restituzione e il danno non è provato né attuale non essendo certa la attribuibilità del bene, con sue peculiari caratteristiche, ad altro soggetto, ma, comunque, mai a prezzo di mercato. Si contesta poi l’’asserita inversione dell’onere della prova e si sostiene che la Bedoni agì in conformità alla legge. Il personale dell’ufficio è passato da 22 ad 8 persone e risulta che, nel periodo della gestione Bedoni, sono state smistate 55 pratiche al giorno e molto lavoro è stato svolto. Alla luce di quanto sopra mancherebbe la colpa grave ed il nesso causale in quanto, allo spirare del termine, vi era altro dirigente non chiamato. Sussisterebbe, infine, il concorso di colpa dell’Ente per la disorganizzazione. La parte eccepisce anche, ferma la mancanza di responsabilità, la prescrizione.

Concludendo la parte chiede, in via principale, di dichiarare inammissibili e/o infondate in fatto e in diritto le domande del P.R., con conseguente rigetto di esse, nei confronti dell’arch. Bedoni; in via subordinata, accertare e, per l’effetto, dichiarare infondate e/o inammissibili le azioni incardinate e, dunque, rigettare le domande per carenza dei presupposti legittimanti l’azione in mancanza di danno, colpa grave, nesso di causalità, per mancanza della specificità delle condotte omissive e di qualsivoglia portata; in ogni caso assolvere da ogni responsabilità l’arch. Bedoni; in via subordinata chiede l’applicazione della prescrizione quinquennale; in via subordinata, nella denegata ipotesi di non accoglimento delle eccezioni sollevate, chiede la riduzione dell’addebito con vittoria di spese, competenze ed onorari.

La dott.ssa Aceti si è costituita in giudizio con il patrocinio dell’avvocato Giuseppe Lo Mastro il quale, nella memoria, ha lamentato l’enorme numero di inviti a dedurre e di citazioni di cui è stata destinataria la sua assistita ed ha illustrato la situazione del patrimonio immobiliare del Comune e degli Spazi speciali. Ha citato il giudicato di cui alla sentenza n. 486/1985 ed ha escluso che, nelle condizioni in cui si svolgeva il lavoro, potesse riscontrarsi la colpa grave. Comunque non sussisteva possibilità di applicare un canone di mercato all’immobile di cui trattasi. Rileva che i comportamenti che il P.R. ritiene che si sarebbero dovuti tenere non erano previsti nei regolamenti comunali che vengono esaminati. Evidenzia la mole di lavoro svolta dalla dott.ssa Aceti nelle sue competenze di ufficio, anche con carattere di urgenza, pur in carenza di organico. A seguito dell’azione della Procura sono state poi avviate numerose azioni per migliorare la gestione dei beni. Ritiene persecutorio il comportamento della Procura e singolare la ritenuta sufficienza di uno scadenzario per evitare il problema che si è verificato. Ha illustrato il lavoro svolto per migliorare la gestione dei beni. Conclusivamente ha chiesto il rigetto dell’azione.

L’avvocato Lo Mastro ha anche prodotto, per l’odierna udienza, ulteriore memoria in cui, oltre a ribadire le precedenti argomentazioni, ha criticato il modus operandi del P.R. che si sarebbe ingerito nelle competenze dell’amministrazione forzando l’emissione di provvedimenti di sfratto posti in essere da taluno onde evitare la chiamata in giudizio. L’avvocato ha poi ancora analizzato le delibere regolamentari del Comune e le procedure adottate per le concessioni escludendo la configurabilità di un danno discendente da esse.

La dott.ssa Mirella Di Giovine si è costituita in giudizio, con il patrocino degli avvocati Gennaro Terracciano e Amelia Cuomo, i quali hanno sostenuto l’insussistenza del nesso causale e di qualsiasi profilo di responsabilità della loro assistita che è stata direttore Apicale del Dipartimento Patrimonio e di responsabile ad interim U.O. Concessioni dal 16.9.2013 al 30.10.2013 e direttore Apicale dal 16.9.2013 al 15.5.2015 e, quindi, lontano dal periodo di genesi del danno. L’interim è durato 45 giorni e, nel periodo, erano molte altre le incombenze affidate né esisteva un servizio informatizzato affidabile per la gestione di 860 beni. Ciononostante la Di Giovine ha agito con discontinuità rispetto al passato intraprendendo iniziative per migliorare la gestione del patrimonio chiedendo anche un potenziamento degli uffici e provvedendo a sgomberi e diffide. Mancherebbe, comunque, l’elemento soggettivo del dolo e/o della colpa grave in quanto, nel caso di specie, si registrano interventi specifici, ma anche precise disposizioni della Sovrintendenza dei beni culturali e dell’assessore alle Politiche del Patrimonio del Comune di Roma sull’utilizzo del bene. Comunque sono state anche inviate diffide all’Agorà per la corresponsione del canone di mercato, degli arretrati e per il rilascio del bene. La Di Giovine è stata già assolta nel giudizio di questa Sezione che è stato esitato con la sentenza n. 486/2015. Mancherebbe, comunque, il danno erariale in quanto la natura del bene ne impediva la locazione a canone di mercato (del n. 26/1995 e n. 202/1996 del Comune di Roma) e l’eventuale riattribuzione dell’immobile presupponeva, comunque, lo sgombero di esso e tanto esulava dalle competenze del dipartimento Patrimonio. Infine, a tutto voler concedere, sussistendo il credito, non sarebbe da ritenere maturato il danno.

Conclusivamente la parte chiede che sia dichiarata la nullità/inammissibilità delle domande ed il rigetto di esse come infondate in fatto e in diritto per mancanza di danno e dell’elemento soggettivo e, in via subordinata, che venga considerata l’assoluta marginalità dell’attività della Di Giovine ai fini della quantificazione del danno con uso anche del potere riduttivo e vittoria di spese, competenze ed onorari.

L’arch. Lucia Funari si è costituita in giudizio con il patrocinio degli avvocati Alessandro Fusillo e Jacopo Vavalli e, nella memoria, i difensori hanno eccepito l’intervenuta prescrizione sostenendo l’inammissibilità della tesi proposta dal P.R. in appunto diverso dalla domanda e ritenendo, comunque, maturata la prescrizione dai 5 anni antecedenti l’invito a dedurre (12.2.2011) e non oltre la cessazione dalle funzioni del 17.5.2011. Da tanto conseguirebbe anche che, essendo il relativo periodo di svolgimento delle funzioni inferiore all’anno (dal 17 novembre 2010 al 17 maggio 2011) la stessa non avrebbe dovuto essere chiamata in giudizio alla stregua dei principi di cui alla sentenza n. 486/2015. Inoltre la gestione degli immobili comunali non era affidata al Dipartimento Patrimonio, cui spettava solo l’alta sorveglianza ed attività amministrativa connessa alle comunicazioni del gestore, ma alla Romeo Gestioni s.p.a. che deteneva anche i fascicoli, come dimostrato dalle notizie di stampa relative al cattivo stato di riconsegna dei fascicoli stessi. Sostengono ancora i difensori la mancanza del danno erariale per la destinazione del bene da utilizzarsi per finalità sociali e ciò sarebbe dimostrato anche dalla sentenza del TAR n. 3764/2016 che ha annullato l’ordinanza di riacquisizione. Viene poi descritta l’organizzazione del Dipartimento, la carenza dell’organico disponibile e la individuazione, comunque, di un responsabile del procedimento. In ogni caso, sussisterebbe una incertezza e scarsa chiarezza sul procedimento di assegnazione dei beni in concessione e il termine di 120 giorni per la concessione definitiva contrasterebbe con l’art. 20 della legge n. 241/1990 che qualifica il silenzio dell’amministrazione come assenso ed ancora, non era prevedibile un termine perentorio per provvedere al riguardo. Il danno mancherebbe anche in relazione al fatto che non vi è prova della riallocabilità del bene alle condizioni ipotizzate dal P.R. e, comunque, ove ciò fosse ipotizzabile, non sarebbe ancora maturata la prescrizione per chiedere il surplus ipotizzato, non senza considerare che l’art. 3 del Regolamento comunale n. 5625 del 1983 prevede che, alla scadenza della concessione, si debba provvedere al suo rinnovo a meno che non sussistano fondate ragioni per rientrare nel possesso del bene, fermo restando che, per il periodo di occupazione senza titolo, il concessionario è tenuto a pagare il medesimo canone pagato vigente il titolo concessorio.

Conclusivamente la parte chiede la declaratoria di prescrizione, la disapplicazione, ove occorra, del regolamento 201/1996 del Consiglio Comunale e il rigetto delle domande della Procura e, in via subordinata, ai sensi dell’art. 83, 2° comma n.c.g.c., ridurre a zero la percentuale di responsabilità nei confronti della convenuta per totale responsabilità della Romeo Gestioni s.p.a, con vittoria di spese, competenze ed onorari.

La dott.ssa Cinzia Marani si è costituita in giudizio con il patrocinio dell’avvocato Stefano Rossi e il difensore, ripercorsa la cronistoria dei fatti, ha sostenuto la mancanza degli elementi di cui all’art. 86 n.c.g.c. e la nullità della citazione, l’inammissibilità dell’appunto presentato dal P.R. con argomentazioni aggiunte, la prescrizione dell’azione, la manifesta infondatezza, in fatto e in diritto di tutti gli addebiti. Si sostiene poi l’abuso della potestà punitiva per l’esagerato numero di citazioni e, ricostruita la normativa in materia di concessioni, si rileva che non sussisterebbe alcun automatismo tra la scadenza della concessione e l’affitto a prezzi di mercato per beni destinati ad utilità sociale tant’è che la richiesta di ottenere il canone a prezzi di mercato è stata impugnata davanti al TAR. Inoltre la gestione dei beni era affidata alla Romeo gestioni s.p.a. e, comunque, sussisteva una preesistente disorganizzazione degli uffici e carenza di personale di cui non si è tenuto minimamente conto. La scadenza del termine di 120 giorni non esauriva il potere del Comune di provvedere al riguardo e non sono state indicate le condotte riferibili a colpa grave della Marani, che non aveva ricevuto alcuna consegna all’atto del suo insediamento, mentre è stata esclusa la chiamata del responsabile del procedimento dott. Colalillo.

Si insiste, poi, per l’inesistenza di un danno erariale certo, attuale e concreto e per la erronea quantificazione di esso. Mancherebbe, inoltre, l’elemento soggettivo non essendo definiti i comportamenti riferibili a colpa grave della Marani, che era al suo primo incarico in un Dipartimento che era stato senza dirigente per 8 mesi. La difesa eccepisce anche la prescrizione dell’azione e chiede la compensatio lucri cum damno, poiché l’Agorà ha fatto lavori nell’immobile, nonché l’uso del potere riduttivo.

Conclusivamente la parte chiede, previa riunione del procedimento con gli altri, di assolvere la dott.ssa Cinzia Marani e, comunque, di rigettare l’azione risarcitoria per le ragioni esposte ivi inclusa la prescrizione. In via subordinata chiede la riduzione dell’addebito e la compensazione del danno con i vantaggi avuti da Comune.

Alla precedente udienza del 21 febbraio 2017, su istanza del P.R. e per consentire una trattazione unitaria almeno di un rilevante numero di ricorsi e la loro eventuale riunione, si è disposto il rinvio alla presente udienza.

All’odierna pubblica udienza il P.R. ed i difensori delle parti presenti hanno ribadito ed ampiamente illustrato le proprie tesi degli scritti e confermato le rispettive conclusioni.

DIRITTO:

Il P.R., nel presente giudizio, ha chiesto la condanna delle parti citate in epigrafe che, nelle rispettive qualità di dirigenti del Comune di Roma, egli ha ritenuto responsabili del danno, a suo avviso derivante dalla differenza tra il prezzo agevolato della concessione (20% del prezzo di mercato) del bene immobile descritto in fatto e detto prezzo di mercato in quanto, allo scadere dei 120 giorni previsti dall’ordinanza provvisoria per l’emanazione del provvedimento concessorio definitivo, o, comunque, alla scadenza della concessione, si sarebbe dovuto procedere alla riacquisizione del bene e provvedere alla sua locazione a prezzo corrente di mercato o pretendere tale importo dall’assegnatario, ma ciò non è stato fatto.

L’ipotesi oggi all’esame, pertanto, non riguarda casi di morosità per canoni di locazione di appartamenti o altri beni del patrimonio disponibile gestibili secondo le regole del mercato (questione che, più propriamente, potrebbe inquadrarsi nel fenomeno della c.d. “affittopoli”) ma riguarda, unicamente, la tesi, che sostiene il P.R., secondo cui il canone concessorio di beni demaniali o del patrimonio indisponibile, avrebbe dovuto essere incrementato fino al prezzo di mercato in caso di mancata formalizzazione dei provvedimenti concessori, o di tardività degli stessi, o di mancato loro rinnovo, sia pure assentiti con provvedimenti provvisori.

Le parti convenute hanno sollevato plurime eccezioni pregiudiziali e preliminari, non immediatamente risolvibili anche per la fondata previsione di necessità istruttorie sui relativi punti, ma si ritiene, considerato anche il primario interesse delle parti stesse ad ottenere una pronuncia di merito favorevole, che, per economia processuale, possa affrontarsi subito la questione di merito dirimente. Tanto è consentito in applicazione della giurisprudenza della Cassazione che, con sent. n. 17/03/2015 n. 5264, ha ribadito il suo precedente orientamento secondo cui una domanda può essere respinta sulla base di una questione assorbente, pur se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare tutte le altre, essendo ciò suggerito dal principio di economia processuale e da esigenze di celerità anche costituzionalmente protette dall’art. 111 Cost. (v. Cass. 16/05/2006 n° 11356 ma anche Cass. 27/12/2013 n° 28663). In particolare la Cass. (sent. 28/05/2014 n. 12002), ha affermato che “il principio della ragione più liquida, imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico-sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre” (così v. anche Cass. 22/01/2015 n° 1113)”.

Ciò posto, si osserva che la tesi del P.R. non convince.

L’ordinanza del Sindaco n. 3483/1997 di provvisoria concessione è stata, infatti, emessa ai sensi delle deliberazioni regolamentari comunali n. 5625/1983, n. 26/1995 e n. 202/1996 che prevedevano la assegnazione di beni demaniali o patrimoniali indisponibili per le utilità sociali ivi previste (anche culturali) con pagamento di canone ridotto al 20% del prezzo di mercato.

Nulla eccepisce parte attrice su tale ordinanza i cui firmatari e proponenti non sono stati citati o, comunque, sul fatto che i beni e i destinatari di essi non fossero stati, originariamente, correttamente individuati a fini concessori per le finalità socio-culturali.

Non viene contestato, pertanto, che detti beni potessero essere dati in concessione al prezzo ridotto indicato e ai destinatari individuati per le finalità da essi perseguite, ma il P.R. ritiene che l’assegnazione a dette condizioni potesse valere solo fino allo scadere del termine di provvisorietà entro il quale doveva emettersi il provvedimento definitivo, invece non intervenuto, o, comunque, valesse solo fino alla scadenza del termine concessorio ove intervenuto.

Ritiene parte attrice che, dopo detti termini, il bene avrebbe dovuto essere riacquisito e locato, a mezzo gara, a prezzi di mercato, cosa che non è avvenuta ed il danno consisterebbe in tale mancata entrata differenziale.

Deve al riguardo osservarsi che la particolarità dei locali individuati, destinati, comunque, a usi di pubblica utilità sociali e culturali, non li rendeva utilizzabili e sfruttabili alla stregua di locali da affittare e, quindi, tale peculiarità rafforzava la natura di beni non fruibili sul libero mercato e rientranti tra quelli per i quali era prevista, dai regolamenti comunali 5625/1983, 26/1995 e 202/1996, una utilizzazione a prezzo ridotto e agevolato per finalità sociali e culturali.

In disparte ogni altra considerazione, pertanto, la scadenza del termine senza che fosse intervenuta la concessione definitiva o senza che la stessa fosse stata rinnovata, non cambiava la natura del bene e la sua utilizzabilità alle stesse condizioni agevolate attuate con il provvedimento originario con conseguente impossibilità di praticare, per esso, un prezzo di mercato.

D’altro canto, come è stato rilevato, sarebbe singolare che l’inosservanza, da parte del Comune, del rispetto del termine per la conclusione o per il rinnovo del procedimento concessorio, si possa risolvere in un pregiudizio per la parte che lo subisce e che dal silenzio dell’amministrazione possa derivare la risoluzione del rapporto in quanto ciò contrasterebbe con l’art. 20 della legge n. 241/1990, di rango superiore rispetto ai regolamenti, che qualifica il silenzio dell’Amministrazione come silenzio assenso.

Non si esclude che una diversa e più accorta gestione del patrimonio avrebbe consigliato modalità di regolamentazione più ponderate e più attente al pubblico interesse, ma tanto non è oggetto del presente giudizio, né, nel caso, riguarda le parti convenute che non possono essere chiamate a rispondere per la diversa causa petendi più volte indicata.

Non si ravvisa, pertanto, l’esistenza del danno e manca, quindi, l’elemento presupposto per poter riconoscere responsabilità delle parti chiamate nella presente fattispecie ed esse devono, conseguentemente, mandarsi assolte dalla domanda attrice.

Né l’esistenza di precedente sentenza, peraltro appellata, su fattispecie analoga, limita questo Collegio ad una diversa valutazione stante la non vincolatività della giurisprudenza.

Lamentano talune parti le modalità con cui il P.R. ha sviluppato l’azione, instaurando, nei confronti di almeno alcune di esse, un numero di giudizi che viene ritenuto persecutorio, e concretizzante abuso del processo e, pertanto, chiedono la applicazione dell’art 96, 3° comma c.p.c. per la responsabilità aggravata.

Al riguardo si osserva che, di per sé, la scelta attorea di non operare ab origine con un unico atto di citazione o con pochi atti cumulativi, ha comportato l’effetto positivo di una maggiore attenzione su ogni singolo caso e ha reso più gestibile la trattazione dei giudizi che, comunque, si riferiscono a chiamati o gruppi di chiamati non sempre identici. Ciò rende evidente la mancanza, comunque, dell’intento persecutorio adombrato dalle parti e dimostra l’inesistenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa grave) di parte attrice che la giurisprudenza ha ritenuto necessario per il concretizzarsi della fattispecie.

Infatti, per un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma e per evitare che il Giudice possa applicare ad libitum la predetta sanzione in caso di soccombenza, la disposizione non può che essere applicata a quelle condotte che siano imputabili soggettivamente alla parte a titolo di dolo o colpa grave, ovvero ad una condotta negligente che abbia determinato un allungamento dei termini del processo (cfr Tribunale di Terni, 17 maggio 2010 e anche Tribunale di Varese, 27 maggio 2010).

Ove si prescindesse dai predetti requisiti, dal solo agire o resistere in giudizio potrebbe derivare la giustificazione della condanna (cfr Tribunale Verona 28 febbraio 2014) in contrasto anche con l’art. 24 della Costituzione.

D’altro canto, la mancanza di abuso e dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave può desumersi sia dal fatto che l’esistenza di molti casi da perseguire era un fatto obiettivo, sia dall’esistenza di una precedente sentenza che ha innescato una serie di ulteriori procedimenti.

Né si può ritenere che l’esistenza di più citazioni sia più vessatoria di un’unica citazione, ove, cumulativamente, la somma richiesta sia la stessa del totale delle singole considerata anche l’estrema difficoltà e/o ingestibilità di un unico giudizio comprendente oltre trecento casistiche.

Da tanto consegue che, ferma restando la possibilità dei singoli Collegi di valutare le modalità di trattazione, anche allo stato non si ritiene utile, nel caso, la riunione dubitandosi fortemente che essa si risolverebbe in una concreta semplificazione dell’attività difensiva.

Le spese legali si liquidano nella misura di €. 1.000,00 (mille/00) per ciascuna parte.

P.Q. M.

La Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, definitivamente pronunziando,

RIGETTA

– la domanda del P.R. e, per l’effetto, assolve le parti convenute in epigrafe dalla domanda attrice;

– l’istanza delle parti convenute per l’applicazione dell’art. 96 3° comma c.p.c..

Le spese legali si liquidano nella misura di €. 1.000,00 (mille/00) per ciascuna parte oltre spese generali IVA e CPA.

Così deciso in Roma, nelle Camere di consiglio del 6 aprile, 10 aprile e 11 aprile 2017.

Il Presidente Estensore

F.to Piera Maggi

Depositata in Segreteria il 18 aprile 2017

Il Dirigente

F.to Dott.ssa Paola Lo Giudice

Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, sentenza n.77/2017
Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, sentenza n.77/2017



La Corte dei Conti smentisce il suo Procuratore e riconosce le finalità sociali delle Associazioni sfrattate

Giustizia è fatta: La Corte dei Conti assolve i dirigenti comunali che non avevano sfrattato le Associazioni assegnatari di beni del Comune per fini sociali.

La sentenza è chiara: “L’ordinanza del Sindaco n. 3483/1997 di provvisoria concessione è stata, infatti, emessa ai sensi delle deliberazioni regolamentari comunali n.5625/1983, n. 26/1995 e n. 202/1996 che prevedevano la assegnazione di beni demaniali o patrimoniali indisponibili per le utilità sociali ivi previste (anche culturali) con pagamento di canone ridotto al 20% del prezzo di mercato.

(…)

Non viene contestato, pertanto, che detti beni potessero essere dati in concessione al prezzo ridotto indicato e ai destinatari individuati per le finalità da essi perseguite, ma il P.R. (Procuratore Regionale) ritiene che l’assegnazione a dette condizioni potesse valere solo fino allo scadere del termine di provvisorietà entro il quale doveva emettersi il provvedimento definitivo, invece non intervenuto, o, comunque, valesse solo fino alla scadenza del termine concessorio ove intervenuto.
Ritiene parte attrice (sempre il Procuratore Regionale) che, dopo detti termini, il bene avrebbe dovuto essere riacquisito e locato, a mezzo gara, a prezzi di mercato, cosa che non è avvenuta ed il danno consisterebbe in tale mancata entrata differenziale.
Deve al riguardo osservarsi che la particolarità dei locali individuati, destinati, comunque, a usi di pubblica utilità sociali e culturali, non li rendeva utilizzabili e sfruttabili alla stregua di locali da affittare e, quindi, tale peculiarità rafforzava la natura di beni non fruibili sul libero mercato e rientranti tra quelli per i quali era prevista, dai regolamenti comunali 5625/1983, 26/1995 e 202/1996, una utilizzazione a prezzo ridotto e agevolato per finalità sociali e culturali.
In disparte ogni altra considerazione, pertanto, la scadenza del termine senza che fosse intervenuta la concessione definitiva o senza che la stessa fosse stata rinnovata, non cambiava la natura del bene e la sua utilizzabilità alle stesse condizioni agevolate attuate con il provvedimento originario con conseguente impossibilità di praticare, per esso, un prezzo di mercato.”
Vorremmo mettere in rilievo che la Corte dei Conti ci dà ragione nel merito proprio della nostra battaglia sull’importanza delle “finalità sociali e culturali” che vincono sulla supposta pretesa del Procuratore Regionale di mettere tali beni a reddito “a prezzi di mercato“.

 




Sfrattopoli: associazioni di volontariato e terzo settore colpiti da provvedimenti amministrativi criminali

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Si pensava di aver toccato il fondo con Mafia Capitale e invece leggiamo su carte e cartelle impazzite che chi persegue il bene comune e combatte ogni giorno il degrado a Roma è più criminale di chi ha lucrato per anni sul disagio. Sono le cifre a dirlo: 100 milioni di euro è il danno erariale ipotizzato dalla Conte dei Conti, nell’ambito della inchiesta erroneamente chiamata “Affittopoli”, per canoni di locazione non riscossi su immobili che il Comune ha concesso, a partire dagli anni ’80, per uso sociale, contro i 21 milioni circa quantificati per Mafia Capitale.

Dunque, secondo la valutazione della procura contabile, le associazioni che si occupano di Sclerosi Laterale Amiotrofica a Roma, sono più mafiose di chi ha lucrato sul trasporto dei disabili, associazioni come Puzzle che insegna l’italiano agli stranieri e offre spazi gratuiti di coworking a giovani professionisti sono più criminali di chi ha lucrato sui migranti, organizzazioni come AGOP Onlus che assistono bambini affetti da tumori e danno ospitalità gratuita alle famiglie, sono più mafiosi di chi ha lucrato sulle politiche abitative, realtà come ARESAM Onlus, che si occupano di salute mentale, sostenendo chi ne soffre e i loro familiari, sono più criminali di chi ha lucrato per anni sui campi Rom, chi come il Coordinamento genitori democratici Onlus, si occupa di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, è più mafioso di chi ha guadagnato illecitamente sui minori non accompagnati.

E il Comune? Cosa intende fare degli innumerevoli sfratti indiscriminati e delle esorbitanti richieste di risarcimento, in alcuni casi si parla di milioni di euro, scagliati contro l’associazionismo romano? Cosa ne farà l’Amministrazione di Roma Capitale del Bene comune, della sussidiarietà, si prenderà la responsabilità nei confronti dei cittadini del vuoto socio-culturale che quelle decine e decine di locali lasceranno, tornando al loro stato di origine, prima della concessione d’uso, di beni pubblici in disuso ed abbandono?

Una cosa è certa, le associazioni colpite non ci stanno ad essere gettate nel calderone di Affittopoli, molte si sono organizzate e stanno conducendo da tempo una lotta contro questa grave ingiustizia. Si sono mosse ad esempio con la consegna il 9 marzo scorso alla Corte dei Conti della richiesta di deferimento del Vice Procuratore della Corte Regionale del Lazio dott. Guido Patti alla Commissione Disciplinare, il quale ha notificato finora 200 inviti a dedurre e 132 atti di citazione ad un gruppo di funzionari refrattari ai suoi “suggerimenti”, ovvero di procedere senza indugio con gli sfratti e le richieste di risarcimento alle associazioni.

Hanno fatto sentire la loro voce con sit-in, flash mob in piazza e davanti al Campidoglio, per chiedere di essere finalmente viste e perchè venisse riconosciuto il valore sociale delle attività che svolgono a beneficio delle fasce di cittadini più deboli (e spesso in collaborazione con l’amministrazione comunale). Il 5 aprile scorso un gruppo di associazioni (Aresam, CESV CILD, Corviale Domani, Coordinamento Periferie, Forum Terzo Settore Lazio, CGD Roma, CGD Nazionale, Fed.I.M, Reter, A Roma Insieme, Illuminatissimo, Ass. Amici Lazio, Fondazione Di Liegro, Ass. Vivere 2001 – Il Cantiere, Circolo Culturale Omosessuale M. Mieli) ha sottoscritto e consegnato una lettera alla Sindaca Raggi, nella quale le si chiedeva di “far finire questo scempio”, di riprendersi il ruolo di garante del benessere dei propri cittadini, di verificare ogni singolo caso e “non lasciare la vita di quelli più deboli ed emarginati in mano ai burocrati”. Il 6 aprile mentre all’interno della Corte dei Conti si teneva la prima delle udienze che vede come imputati i dirigenti di Roma Capitale per danno erariale (900 casi circa) e che ha affrontato solo le prime 20 storie (tra cui quelle di Sant’Egidio, Accademia del Cartone animato, Cgil, Capodarco, Unione inquilini, Agesci, Azione Parkinson), fuori si svolgeva un flash mob di protesta organizzato da Decide Roma, per chiedere con urgenza alla Sindaca un nuovo Regolamento partecipato sulla concessione ed uso dei beni comunali.

L’associazionismo e il volontariato romano sta percorrendo la sua Via Crucis, ma alla fine non pretenderà miracoli nè effetti speciali, solo buon senso, consapevolezza e giustizia sociale.

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Barriere (Fences)

di Denzel Washington. Con Denzel WashingtonViola Davis (Oscar 2017), Stephen HendersonRussell HornsbyMykelti Williamson  USA 2016

Pittsburgh fine anni’50, Troy Maxson (Washington) lavora come netturbino e sta tornando a casa, con l’amico e collega Jim Bono (Henderson) un po’ preoccupato perché ha aperto una vertenza per il fatto che i camion della spazzatura sono guidati sempre da bianchi e ai neri spetta il compito di svuotare i secchi. Nel giardino di casa beve gin e racconta a Jim di come fosse bravo a giocare a baseball e di una lotta corpo a corpo sostenuta con la Morte in persona durante una malattia. La moglie Rose (Davis) un po’ si diverte, un po’ ridimensiona i suoi racconti e, fattasi seria, gli chiede di firmare l’autorizzazione per il loro figlio adolescente Cory (Jovan Adepo) perché possa frequentare gli allenamenti di baseball, ai quali lo ha convocato il selezionatore dell’università; Troy, però, è contrario; non vuole che il figlio abbia le sue stesse delusioni di ottimo giocatore non preso in considerazione perché nero. Poco dopo arriva Lyons (Hornsby), il figlio trentaquattrenne di una precedente relazione di Troy, che gli chiede dieci dollari in prestito; lui, che non è d’accordo con la sua scelta di fare il trombettista jazz, glieli nega ma Rose lo convince a darglieli. Torna a casa Cory e il padre, che lo tratta con durezza, gli impone di aiutarlo nella costruzione di un recinto intorno alla casa, voluto da Rose (che vuole, idealmente, racchiudervi la famiglia che è la sua vita intera) e quando il ragazzo gli parla della sua vocazione al baseball, lo zittisce, ordinandogli di continuare ad andare a lavorare nel locale supermercato nei momenti liberi dallo studio, invece di perdere tempo con gli allenamenti. Di lì a poco il quartiere è attraversato da un forte vociare: è Gabe (Williamson), il fratello minore di Troy che ha perso metà cervello in guerra e si porta sempre appresso una tromba perché, dice, San Pietro gli ha dato il compito di suonarla per aprire il cielo il giorno del Giudizio. L’indomani, Troy torna a casa entusiasta: dopo il colloquio con il dirigente (Christopher Mele) della società non solo non è stato licenziato come temeva ma è stato promosso autista. Rose è raggiante e lo è anche Lyons che è venuto a restituirgli i soldi ma lui non li vuole e gli dice di stare attento perché i locali nei quali suona sono delle bische nel mirino della polizia. Poco dopo, in giardino, beve gin con Lyons e Jim e racconta la sua dura infanzia in campagna con un padre violento e di come, fuggito da ragazzo, in città, si sia messo a fare il rapinatore, buscando una lunga condanna, durante la quale aveva imparato a giocare a baseball, divenendo molto bravo ma inutilmente perché nero (Rose, però, gli ha sempre obiettato che la sua carriera non ha mai decollato non per il colore della pelle ma per l’età: era uscito di prigione quasi quarantenne). Quando arriva Cory lui lo affronta duramente, perché, mentendogli, non è più andato al supermercato maa gli allenamenti e lui ha detto al coach che non lo avrebbe mai autorizzato a giocare; Corey è fortemente deluso ma obbedisce. Jim, poco dopo, chiama Troy in disparte e gli dice che ha capito che lui ha una relazione con una certa Alberta e gli chiede di non rovinare il matrimonio con Rose. Troy entra in casa e confessa a Rose di avere un’amante e di aspettare un figlio da lei. Rose è scioccata e da qual momento non gli rivolge la parola. Dopo mesi nei quali lui va a casa solo per dormire e cambiarsi d’abito, lei lo aspetta all’uscita dal lavoro per chiedergli di parlare: lei ha saputo che lui ha fatto internare Gabe (che ogni tanto veniva fermato per disturbo alla quiete pubblica ma non faceva male a nessuno) e lo accusa di averlo fatto al solo scopo di ottenere metà dei soldi della sua pensione d’invalidità. Lui reagisce rabbiosamente ma si sente in colpa. Una notte arriva una telefonata, Rose risponde e comunica a Troy che è nata la sua bambina ma Alberta è morta. Troy allora va in ospedale e porta la piccola a casa chiedendo a Rose di prendersene cura; lei accetta ma lui non dovrà più considerarla sua moglie. Nel frattempo, arriva a casa Cory e Troy, ubriaco, lo maltratta; ne nasce una specie di rissa e il ragazzo va via di casa. Troy, a questo punto, urla alla Morte di essere pronto. Pochi anni dopo, Raynell (Saniyya Sidney), la figlia di Troy, ora cinquenne, va ad aprire la porta e trova Cory, ora caporale dei marines che è venuto in licenza per il funerale del padre, in casa ci sono anche Jim e Lyons, che in permesso da una condanna per essersi coinvolto nei maneggi dei locali nei quali suonava. Cory dice alla madre che non andrà al funerale – non ha ancora smaltito l’odio per il padre – ma lei lo schiaffeggia e gli dice che Troy ha commesso vari errori ma li ha sempre amati e, a suo modo, protetti. Arriva Gabe, che soffia nella tromba per far aprire le porte del cielo al fratello e le nuvole si aprono, lasciando che un raggio di sole arrivi al giardino.

Il dramma Barriere di August Wilson fa parte dell’American Century Cycle, un ciclo di dieci commedie rappresentative della condizione dei neri in tutto l’arco del XX secolo e, tra tutti, è quello che ha avuto più successo. Washington, dopo averlo riproposto a Broadway, ha deciso di produrlo, dirigerlo ed interpretarlo al cinema con tutti gli attori (a parte, i giovanissimi Jovan Adepo e Saniyya Sidney) che erano in scena con lui. La scelta, per molti aspetti, si è rivelata vincente: il film è candidato e 4 Oscar (miglior film, miglior attore protagonista, miglior attrice non protagonista e miglior sceneggiatura non originale) e lui e la Davis hanno già avuto vari riconoscimenti. Washington ha scelto di affidare la scrittura della sceneggiatura totalmente nelle mani di Wilson, che, ovviamente, ha solo aggiornato nei movimenti il proprio testo. Qui c’è, forse, il limite del film.  Molti splendidi adattamenti cinematografici da drammi teatrali importanti hanno avuto il supporto di esperti sceneggiatori di cinema (tra i tanti esempi, pensiamo ad Oscar Paul, che ha affiancato Tennessee Williams per Un tram che si chiama desiderio di Kazan e Stanley Roberts, che ha adattato Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller per il film diretto da Laszlo Benedek). Qui la letterarietà del testo si fa un po’ sentire e il prodigio finale del cielo che si apre è perfetto per una macchina teatrale, un tantino ingenua al cinema. Io resto convinto che il passaggio dal teatro al cinema debba essere supportato da una scrittura adatta al mezzo ma, detto questo, la bravura degli attori (è stato dimenticato dai premi ma va citato il grande Stephen Henderson) e la forza del testo fanno un insieme di grande potenza.

ECCO TUTTI GLI OSCAR 2017