Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Affinché populista non sia un insulto ma una categoria politica

image_pdfimage_print

Diario europeo torna all’attenzione dei suoi lettori e delle sue lettrici dopo qualche settimana, prendendo e dando una pausa festiva e restando in assidua attenzione e ascolto del ritmo pulsante e degli eventi positivi o negativi della costruzione europea.

Cominciamo, dunque, da un fatto che ai più è sembrato minore:

Mercoledì, 6 gennaio
“ In una località di collina al confine tra Polonia e Slovacchia, il premier ungherese Viktor Orbàn ha fatto visita in gran segreto all’uomo forte che sta dietro al nuovo esecutivo polacco, ossia Jaroslaw Kaczinsky. Un incontro durato sei ore che ha gettato le basi di un coordinamento fra i due leader nazional-conservatori dell’Europa orientale. I due uomini e i loro partiti hanno molto in comune: euroscettici, patriottici, filo-cattolici e anti-immigrati. Ma soprattutto condividono una concezione del tutto sui generis della democrazia: tanto che a Bruxelles c’è chi teme che l’asse Budapest-Varsavia rappresenti una minaccia ai valori europei e l’avanguardia di un nuovo fronte autoritario che viene dall’Est”.

Così informava “Corriere della Sera”, venerdì 8 gennaio (a firma di Luigi Ippolito, capo redattore degli esteri).

La notizia e il fatto non erano, poi, tanto segreti e tanto meno erano e sono insignificanti. Ci permettono, tra l’altro, di completare il quadro politico-istituzionale di questa Unione europea, che Diario europeo viene delineando da qualche tempo. E anche approfondirlo.

“Società nazionali e società europea: elezioni in Francia e negli altri Paesi membri”, “Per un sano populismo europeo”, “Rivoluzione democratica”: questi tre ultimi diari (10, 13, 21 dicembre) e l’incontro in collina al confine tra Polonia e Slovacchia ci consentono ora di prendere di petto la questione del “populismo euroscettico”, senza timore di essere fraintesi e liberi da approcci sbrigativi e/o ideologici.

Quali sono le componenti, diversificate e intrecciate, del quadro?

Procediamo con calma, selezionando fatti ed elementi, senza cedere a fuorvianti semplificazioni.

Sulla collina di confine tra Polonia e Slovacchia si sono incontrati, delineando (così sembra profilarsi) una intesa politico-strategica, il capo di Governo di uno Stato membro, l’Ungheria (Viktor Orbàn; anche capo di Fidesz, partito conservatore, populista e nazionalista, che a livello europeo è ancora membro del partito “Popolare europeo”, primo partito nel Parlamento europeo, stesso partito del presidente della Commissione, J.C. Juncker e di Angela Merkel, ad esempio) e il capo del partito fondamentale del Governo di un altro Stato membro – che detiene attualmente la presidenza del Consiglio europeo nella persona di Donald Tusk – paese strategico per dimensioni e collocazione, la Polonia (Jaroslaw Kaczynski, ex primo ministro e presidente del partito “Diritto e Giustizia”, partito conservatore, euroscettico, nazionalista e populista, che a livello europeo aderisce al partito “Alleanza dei Conservatori e Riformisti europei” e nel Parlamento europeo è membro del gruppo “Conservatori e Riformisti europei”, che per gran parte vota come vota il gruppo dei Popolari europei).

Ambedue i partiti fanno riferimento al cristianesimo-cattolicesimo dell’Est Europa. Ad esempio, Kaczynski è stato capo della Cancelleria della Presidenza della Repubblica all’epoca di Lech Walesa, da cui ora lo divide pressoché tutto.

Questi due esponenti politici e anche istituzionali europei, per quanto attiene alla concezione della “Democrazia”, ritengono non più adatta la forma della “democrazia liberale occidentale” ed esprimono il fumoso concetto di volersi “liberare dei dogmi”; non quelli religiosi, ma quelli della civiltà giuridica e politica europea.

Per quanto attiene, infine, alla visione europeista (c’è bisogno di aggiungere: grosso modo? Facciamolo per estremo scrupolo) sono sulle stesse posizioni di: Front national di Marine Le Pen, Francia; Ukip di Nigel Farage, Gran Bretagna; Movimento 5 stelle, Italia; Partito del popolo danese, Danimarca; Veri finlandesi, Finlandia, Podemos, Spagna, ecc. ecc. E’ sempre molto complicato fare una lista di questo tipo! Ad esempio: non possiamo più mettere in essa l’attuale Syriza, di Alexis Tsipras.

Abbiamo fatto soltanto un piccolo elenco e messo forzatamente insieme fenomeni e realtà diversificate. Lo abbiamo fatto per chiamare in causa i diversi Soggetti responsabili (nel senso di: abili a dare risposte; in questo caso: le Istituzioni della UE, il Partito popolare europeo, la Conferenza dei vescovi della Chiesa cattolica europea e altri simili Organismi delle Chiese europee, le società civili dei Paesi europei ). E anche per porci delle domande importanti e strategiche: populismo ed euroscetticismo costituiscono uno stesso fenomeno? Governi (e quindi anche le relative maggioranze parlamentari, elette dal voto dei popoli), vedi Polonia e Ungheria e partiti politici (maggioritari o quasi, vedi il FN e la Francia) costituiscono una stessa realtà? Cosa li differenzia, oltre che un evidente profilo istituzionale? Movimenti politici e sociali (organizzati stabilmente o soltanto di opinione) meritano una stessa strategia di reazione?

Di fronte ad una galassia diversificata per genere e per pensiero politico e strategie, Diario europeo ritiene che la scelta essenziale e di fondo sia quella di: distinguere, distinguere, distinguere. E impostare analisi e risposte mirate e specifiche.

Penso, innanzitutto, che sia nel giusto chi chiede di non chiamare più populista chi è deluso dall’Europa. Euroscetticismo non è automaticamente populismo; anche se, spesso, le forme contemporanee di populismo sono tendenzialmente euroscettiche e nazionaliste (con un abuso della parola “patriottismo”). Questa è la prima – forse la fondamentale – distinzione da fare. Chi manifesta questa delusione merita analisi e risposte politiche (cioè: riforme e strategie conseguenti e coerenti). Anche urgenti. Anche fondamentali (“Rivoluzione democratica”, scriveva Diario europeo).

La seconda distinzione riguarda i singoli Paesi membri della Unione. E’ dovere degli operatori della Informazione, dei protagonisti della Cultura e della Politica ricordare il peso della Storia che sta dietro gli approdi (si spera e si deve lavorare affinché non siano statici o finali) politici di singoli Stati membri.

Ricordava in questi giorni Sergio Romano: “i maestri delle scuole polacche non hanno mai smesso di ricordare agli alunni che la loro patria nel corso della storia è stata tradita, umiliata, crocifissa. Il clero cattolico ha recitato la sua parte facendo della Polonia il baluardo della fede di Roma contro quella di Bisanzio” e ricordava a tale proposito anche il recente peso del pontificato di Giovanni Paolo II in questa specifica direzione.

La terza distinzione riguarda gruppi di Paesi e la loro adesione a questa Unione europea (più che al progetto di unità europea). E’ il caso dei paesi di quella che un tempo chiamavamo Europa dell’Est. “Allargandosi verso Est, l’UE aveva ritenuto che l’attrazione di un modello vincente di libertà e tolleranza avrebbe permesso di unificare il continente sulla base di principi condivisi.
Abbiamo probabilmente avuto troppa fretta e sottovalutato una divisione che la fine delle ideologie aveva cancellato solo in parte” (Antonio Armellini, Corriere della sera 2.1.2016).

Le distinzioni sono politicamente e istituzionalmente necessarie ed utili anche ai fini delle diverse e diversificate reazioni da approntare.

Ad esempio: domani – 13 gennaio – il collegio dei Commissari si riunirà per valutare se la riforma della Corte costituzionale varata dal nuovo governo e dal parlamento della Polonia mina le basi comuni della appartenenza all’Unione (separazione o non dei poteri, indipendenza o controllo statale della informazione pubblica, ecc.). Si tratta dell’avvio di una procedura europea definita nel marzo del 2014, per rendere operativo il Trattato della UE (art.7: sospensione dei diritti di voto dei rappresentanti di uno Stato membro se si rileva che lo stesso abbia manipolato il fondamentale articolo 2 del Trattato).

Eccolo: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

Sarebbe un evento politico di primaria grandezza se nei prossimi giorni – come novità strategica che ridarà respiro e dignità a questa nostra Europa unita, stancamente unita – tutte le televisioni e i dibattiti e la Rete informassero i cittadini e le cittadine italiani-e ed europei-e – senza pregiudizi! -che una simile procedura è in corso, suscitando un sano, forte, grande dibattito nella opinione pubblica su cosa è Europa e cosa comporta esserne parte. Come si può costatare siamo ben oltre “lo zero virgola”!

Rileggiamolo, con calma, attentamente, parola per parola questo articolo 2, e chiediamoci: le pratiche relative alle migrazioni, i fatti di Colonia e di tante altre città nella notte di Capodanno, i comizi e i programmi elettorali dei partiti, ecc. ecc. risultano compatibili?

Ecco uno dei modi per cambiare questa Europa che ci delude: prendere sul serio il Trattato che la fonda e la regge. E, finalmente, “populista” non sarà più un insulto ma una categoria politica su cui misurarsi, con serietà e fondatezza.

Fare oggetto del dibattito politico e dello scontro “valoriale” culturale e politico, pezzi del Trattato – Costituzione che già ora regge il nostro stare insieme in questa Unione, servirà agli europei a dare un nuovo senso (significato e direzione) alla scelta europea e alle critiche legittime e doverose a questa Europa che ci delude, ai migranti che arrivano e/o da anni attraversano o vivono nel territorio della Unione, a comprendere dove sono arrivati e come e se restarci.

Post scriptum: “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione” (articolo 50 del Trattato sull’Unione europea).

RelatedPost

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *