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Vita da freelance

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The economist non ha dubbi: il 2015 è l’anno dei freelance, dei consulenti o dei professionisti che lavorano per le imprese in proprio, senza rapporti di dipendenza diretta, senza legami stabili e duraturi con le aziende per le quali svolgono una prestazione. I freelance sarebbero la vera risorsa della economia on-demand, ovvero il sistema per cui le persone sono impiegate e pagate per il solo tempo necessario. E sempre secondo l’Economist il sistema on-demand è destinato ad una affermazione molto rapida, perché risponde alle esigenze della tecnologia e delle abitudini sociali.

I rischi connessi a queste dinamiche ci sono e implicano una azione di governo sulle previdenze e sulla fiscalità. In sintesi, per l’autorevole periodico londinese, dal momento che sta cambiando il mondo del lavoro ed il modo di lavorare, occorre cambiare anche i sistemi di tassazione e di tutela di chi lavora sulla base delle nuove dinamiche. Ma se in Inghilterra ,o negli States, i freelance sono una risorse, in Italia restano un soggetto incompreso, confinato in un limbo fiscale e previdenziale decisamente dispendioso al quale corrispondono zero tutele. Esistono anche da noi i freelance, e sono meglio noti come il popolo delle partite Iva. Fanno le stesse cose dei loro colleghi inglesi o americani, ma sono individui di cui ancora oggi non si comprendono le modalità di lavoro, le aspirazioni, le ambizioni e gli stili di vita.

Per capire meglio come funziona questo universo sociale affascinante e sconosciuto bisogna per forza farsi un giro in un CoWorking, oppure intercettare una delle rare occasioni in cui i liberi professionisti si ritrovano per confrontarsi e scambiarsi informazioni.

Nel Coworking, che oggi va di moda almeno tanto quanto l’incubatore di imprese, altro sconosciuto soggetto che sforna partite IVA nuove di zecca, i freelance lavorano fianco a fianco, ognuno nella loro postazione, e fanno rete, condividono e contaminano competenze, cioè scambiano quello che è il loro vero valore, le competenze appunto. Il Coworking è il regno del freelance che sfugge alla domestication, cioè a quel percorso di abbruttimento personale che lo porta a lavorare con il suo pc portatile sul tavolo della cucina in ciabatte ed in pigiama, perennemente connesso con il mondo e con le aziende per cui lavora. Il freelance, individualista più per necessità che per vocazione, quando riesce a fare rete diventa fortissimo, perché interpreta in maniera ottimale quello che è il vero valore nell’economia di oggi, la rete, la reputazione, la flesibilità totale, la competenza e la conoscenza di sistemi complessi ed interconnessi.

Ci sono poi gli altri, quelli che lavorano da casa e si concentrano sul cliente, o che lavorano nell’azienda affianco ai dipendenti. Per questi la Partita IVA è una necessità, nel senso che o partita IVA o niente lavoro. Nessuno può dire quanti siano le false Partite IVA in circolazione. Ed è ancora più difficile ragionare su come definire il perimetro entro cui la partita IVA è una forma di subordinazione mascherata. Sicuramente sul tema va fatta la necessaria chiarezza: la questione non riguarda solo le Partite Iva, ma il sistema nel suo complesso: se si punta sul contratto a tutele crescenti allora è evidente che occorre razionalizzare il mercato del lavoro in Italia, la cui complessità rasenta il paradosso.

Il 2015 in Italia potrebbe non essere l’anno del freelance, anzi. Il Governo alle prese con un complicato ed impegnativo progetto di riordino del mercato del lavoro, molto flessibile in entrata e decisamente rigido in uscita, ed alle prese con i noti complessi problemi di bilancio e di gestione delle casse della previdenza pubblica, ha previsto un innalzamento della aliquota della gestione separata dell’INPS, ovvero la cassa dei freelance, che non hanno albo e non sono considerati ditte o aziende individuali.

Il provvedimento ha suscitato proteste ed imbarazzi, oltre alle promesse da parte del Governo di porre rimedio in tempi rapidi. E al di là del merito, ovvero dell’aumento dei contributi e del prelievo fiscale, il provvedimento ha aperto un vero e proprio vaso di Pandora dentro cui ci sono tutte le contraddizioni e le arretratezze del sistema di welfare in Italia. Per limitarsi ad un solo esempio basta dire che le partite IVA pagano l’INPS ma non hanno diritto praticamente a nulla, e che l’aumento dell’aliquota da versare andrà a coprire, almeno in parte, il NASPI, l’assicurazione per l’impiego da cui le Partite IVA sono totalmente escluse. In sintesi il welfare è pensato e tagliato per il mondo dei subordinati, ma il mercato del lavoro in Italia va verso una direzione diversa, molto più complessa di quello che si vorrebbe. E per semplificare probabilmente non basta rendere meno conveniente dal punto di vista fiscale una forma giuridica o un contratto di lavoro, ma bisogna realmente ripensare un sistema di welfare che segmenta e fraziona ulteriormente un mercato del lavoro già duale e poco equo dalle origini.

Il tema dei freelance inoltre non dovrebbe interessare solo i freelance, ma tutto il sistema Italia: i freelance sono tendenzialmente giovani, con tasso di istruzione alto, fanno lavori innovativi e hanno grande capacità di aggiornarsi. Sono insomma i cervelli su cui si è investito in istruzione e formazione. Sono i rappresentanti di una società liquida in un mondo fluido, ma che si vuole bloccato dentro schemi probabilmente superati. E probabilmente non basta incoraggiare le aziende ad assumere per assorbire entro schemi più “ordinati” un milione e mezzo di partite IVA, dal momento che le consulenze sono per definizione esternalizzate dalle aziende.

Nel frattempo i freelance, per la prima volta anche in Italia, hanno iniziato il 2015 da un lato senza sapere come fatturare le prestazioni svolte, in attesa di capire quanto dovranno versare all’Inps o al fisco, ma dall’altra cercando di organizzare una protesta ed alcune richieste al governo. Hanno ovviamente scelto come teatro della loro protesta il web ed i social media, terreno che conoscono ed in cui si muovono molto bene, tanto per ricordare al Governo Renzi che cambiare verso nel mercato del lavoro si può solo se si accetta di aggiornare le analisi e di uscire da schemi e matrici che oggi non fotografano più il mondo nelle sue dinamiche di cambiamento reale. Quindi niente scioperi o manifestazioni, ma tweet bombing e flash mob per un tema, quello dei freelance vale di più dell’aumento dell’aliquota dell’inps e parla di un sistema di tutele che va esteso e reso efficiente. Promuovere e sostenere i freelance significa renderli professionisti veri e più forti rispetto alle committenze. Pensare che tutti i freelance si facciano assumere dalle aziende per cui svolgono una prestazione è pura fantasia. Per ragionare sui freelance serve un cambio di prospettiva ed una cultura del lavoro finalmente al passo con i tempi, che sono quelli dell’on-demand, praticamente a tutti i livelli, altrimenti è come pensare di mettere il famoso gettone nell’IPhone. E se anche i freelance e il popolo delle Partite IVA, per definizione individualisti e incapaci di pensarsi come gruppo sociale, incomincia ad organizzarsi e a farsi sentire forse c’è da porsi qualche domanda e da pensare seriamente su quali contropartite dare a chi finora non ha praticamente ricevuto nulla.

http://www.qdrmagazine.it/2015/02/28/6r_castagno.aspx

 

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