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Alluminio e l’invenzione di Bayer. Articolo di Giorgio Nebbia, Professore emerito di Merceologia, Università di Bari

    Il glorioso e terribile ventesimo secolo è stato un “secolo lungo”; non si può capirne l’ambiguo fascino, e non si può capire neanche questo ventunesimo secolo, se non si fa un salto indietro all’inizio del 1800; nel 1800 affondano, infatti, le radici di tutte le innovazioni di cui oggi godiamo

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Il glorioso e terribile ventesimo secolo è stato un “secolo lungo”; non si può capirne l’ambiguo fascino, e non si può capire neanche questo ventunesimo secolo, se non si fa un salto indietro all’inizio del 1800; nel 1800 affondano, infatti, le radici di tutte le innovazioni di cui oggi godiamo i benefici. Ogni volta che ci chiediamo da dove vengono le materie, le merci, i processi di oggi, dobbiamo andare a cercare quando tutto è cominciato. Credo che questa sia la ragione del moltiplicarsi, fortunatamente, di mostre e musei e incontri sulla storia della scienza e della tecnica. Fra le varie mostre di questi mesi merita di essere ricordata quella sull’Esposizione Universale di Parigi del 1855, durante la quale il gioielliere Charles Christofle presentò le sue preziose novità costituite da posate e pentole …. di alluminio ! E si trattava veramente di cose rare e costosissime, come ha indicato anche l’altra mostra contemporanea americana intitolata: “Alluminio: dalla gioielleria agli aeroplani a reazione”.

Oggi gli oggetti di alluminio sono banali e diffusissimi, ma ai primi dell’Ottocento l’alluminio era ancora una sostanza misteriosa, benché fosse e sia il terzo elemento più diffuso sulla crosta terrestre, dopo l’ossigeno e il silicio. Il suo carattere misterioso è dovuto al fatto che l’alluminio si è trasformato, nella lunga storia geologica della Terra, in ossidi e idrati difficilmente attaccabili da altre sostanze chimiche: le terre rosse del Salento o del Gargano sono ossidi di alluminio miscelati con ossidi di ferro; le argille che, scaldate ad alta temperatura, si trasformano nei mattoni di coloro rosso vivo, sono idrati e ossidi di alluminio, ferro e silicio.

La scoperta che tanti diffusi minerali nascondevano un “nuovo” metallo si deve al chimico tedesco Friedrich Wöhler (1800-1882), che nel 1827 riuscì a trasformare l’ossido di alluminio in cloruro di alluminio e ad ottenere, trattando l’ossido con potassio metallico, un metallo bianco, argenteo, leggero e molto bello, resistente alla corrosione. Ci volle un altro bel po’ di tempo per ottenere quantità apprezzabili di alluminio con processi lenti e complicati, tanto che, quando arrivò in commercio, l’argento costava più dell’oro.

Soltanto nel 1854 il francese Saint-Claire Deville (1818-1881) scoprì che era possibile scomporre il cloruro di alluminio con sodio metallico, meno costoso del potassio usato da Wöhler. La scoperta fu salutata come rivoluzionaria e l’alluminio e le sue proprietà ebbero l’onore delle prime pagine dei giornali. L’orefice parigino Christofle capì che la borghesia emergente, curiosa delle novità, sarebbe stata attratta da oggetti di alluminio e li propose al pubblico, appunto durante l’Esposizione del 1855, sotto forma di monili, ornamenti e posaterie di lusso. Curioso personaggio, questo Christofle, ricco gioielliere, ma anche imprenditore attento ai nuovi tempi: fu uno dei primi a garantire, nel 1845, l’assicurazione contro le malattie ai suoi operai, a creare fondi di piccolo risparmio e a dare una forma di istruzione ai lavoratori. Fu nominato fornitore ufficiale di Luigi Filippo (re dei francesi fino al 1848), e poi di Napoleone III che, comprendendo l’importanza dell’alluminio, sponsorizzò le imprese per la sua produzione industriale. Questi incentivi e la grande pubblicità assicurata alla novità scatenarono la corsa alla produzione dell’alluminio a costi sempre più bassi. Ormai si trattava di cercare una materia prima abbondante e sicura; un ufficiale francese di stanza nella Guinea aveva scoperto un minerale uguale a quello che si trovava anche in Francia a Le Baux, nella Provenza, e che fu chiamato bauxite. La bauxite divenne — ed è ancora oggi — la materia prima standard per la produzione dell’alluminio. La messa a punto di un processo industriale per tale produzione richiese vari altri anni di una concorrenza internazionale fra Francia, Germania, Stati Uniti, Austria: bei tempi quelli in cui le guerre si combattevano per inventare nuove merci.

Il primo successo si ebbe con la scoperta che era possibile purificare la bauxite trattandola con acqua e idrato sodico; l’alluminio forma un idrato solubile mentre resta insolubile un fango contenente ossidi di ferro e di altri metalli. La soluzione contenente idrato di alluminio può essere scomposta in modo da ottenere una polvere di idrato di alluminio molto puro e da questo l’ossido di alluminio. Detto in poche parole sembra tutto facile, ma ci sono voluti anni per perfezionare il processo che prende il nome dall’austriaco K.J. Bayer (1847-1904) e che fu brevettato nel 1888. Adesso si trattava di scomporre l’ossido di alluminio puro ottenendo alluminio. Varie persone avevano intuito che la scomposizione avrebbe potuto essere realizzata per elettrolisi, ma l’elettricità stava muovendo i primi passi su scala industriale; quando l’elettricità divenne disponibile a basso prezzo si ebbe il colpo finale e ancora una volta si trattò di una avventurosa invenzione: due giovani sperimentatori, entrambi di 22 anni, Héroult in Francia e Hall negli Stati Uniti, scoprirono indipendentemente e brevettarono, nel 1886, a poche ore di distanza, uno da una parte e uno dell’altra dell’Oceano, il processo elettrolitico che si segue ancora oggi.

L’invenzione consisteva nello “sciogliere” ad alta temperatura l’ossido di alluminio in una sostanza, la criolite, costituita da fluoruro di alluminio e potassio; il passaggio della corrente elettrica attraverso questa soluzione scompone l’ossido di alluminio in alluminio e in ossigeno che reagisce con l’elettrodo di carbone e da luogo alla formazione di ossido di carbonio. Con questo processo l’alluminio si avviava a diventare il nuovo metallo strategico e compariva sul mercato proprio nel momento in cui nascevano l’industria automobilistica e quella aeronautica; gli aeroplani avrebbero potuto sollevarsi e volare soltanto se la loro struttura fosse stata sufficientemente “leggera” e l’alluminio, che pesa tre volte meno del ferro, divenne subito il metallo favorito. Nel 1903 fu costruito il primo blocco motore per aereo in lega di alluminio e rame.

Durante tutto il Novecento la produzione di alluminio è aumentata continuamente. In questo inizio del XXI secolo nel mondo vengono estratti ogni anno 55 milioni di tonnellate di bauxite, principalmente in Australia, Guinea, Giamaica, e vengono prodotti 25 milioni di tonnellate di alluminio (si tratta del secondo metallo come importanza industriale; la produzione del primo, l’acciaio, supera di poco gli 800 milioni di tonnellate all’anno). Una parte dell’alluminio è ottenuto dal riciclo di lattine, imballaggi, eccetera; il consumo di energia per ottenere l’alluminio riciclato (alluminio secondario) è venti volte inferiore a quello che si ha quando si produce alluminio primario dalla bauxite.

Queste poche notizie non riescono a rendere giustizia all’importanza dell’alluminio, con il quale è possibile preparare migliaia di leghe con altri metalli, ciascuna delle quali ha speciali proprietà. L’alluminio può essere reso resistente alla corrosione mediante un trattamento elettrolitico superficiale; molti infissi di finestre e porte sono di alluminio “anodizzato”, come si suol dire. La maggioranza degli impieghi sono nell’industria automobilistica, motociclistica, aeronautica, dove le proprietà di “leggerezza”, cioè di basso peso specifico, sono particolarmente importanti, nell’industria elettrica, nella produzione di imballaggi anche alimentari, e in innumerevoli altri campi nella vita domestica. Con la loro sigla AL, alluminio appunto, dentro un esagono, le “lattine” di molte bevande dicono ad alta voce di che cosa sono fatte e invitano a raccoglierle separatamente, dopo l’uso, per poter ridiventare presto nuovo alluminio riciclato.

Giorgio Nebbia, La Gazzetta del Mezzogiorno, 11 ottobre 2oo3

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