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La vita creativa di periferia

Alla periferia romana e ai suoi abitanti è dedicato il recente lavoro di Sara Camilli, giovane ma affermata fotografa romana, che espone ora alle Officine Fotografiche dove ha studiato

Sara Camilli è una giovane ma già affermata fotografa romana. Alle Officine Fotografiche di Roma ha conseguito due master, il primo in Fotogiornalismo e il secondo in Fotografia amatoriale, ma è laureata in Antropologia Visiva. Nel 2014 ha esposto al FotoLeggendo e al SIFest, nel 2015 ha ricevuto una menzione d’onore all’Umbira World Fest di Foligno, e nel 2016 ha esposto al Museo Testaccio di Roma come prima classificata al concorso “Oltre le mura di Roma”.

IL LAVORO SULLE PERIFERIE ROMANE – Sara ha cercato di non perdere nulla della sua formazione, e nel suo lavoro ha sempre cercato di mettere in relazione fotografia e antropologia, considerando questi due ambiti inscindibili. Lo racconta lei stessa a proposito della mostra che si è appena aperta proprio alle Officine Fotografiche di Roma, dedicata al suo recente lavoro sulle periferie della Capitale: “Ammargine: Storie di confine sulla periferia di Roma”.

STORIE DI VITA CREATIVA – Scrive la fotografa: “Ho attraversato la periferia per scoprire da chi fosse realmente abitata: ho incontrato famiglie, coppie, uomini e donne che lottano ogni giorno per resistere e costruirsi come alternativa. Ho osservato queste persone con incanto, febbre e amore, fino a confondermi con le loro stesse vite. Ho impressionato volti, ascoltato molte storie e alla fine del viaggio ho capito che gran parte della potenza creativa di una società si trova in tutto ciò che la società stessa rifiuta. Così, ho aperto uno squarcio e lasciato entrare tutta la luce che ne è venuta fuori”.

Informazioni
Ammrgine- Storie di confine sulla periferia di Roma
Fotografie di Sara Camilli
Roma, Foyer del Goethe-Institut Rom, via Savioia 15
dal 25 ottobre 2016 al 28 gennaio 2017
lunedì 14 – 19; martedì – venerdì 9 – 19; sabato 9 – 13
www.officinefotografiche.org

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Il ristoro collettivo delle borgate

“Borgate. Uscita nella calma insolita di periferia” è un grande reportage fotografico di Pasquale Liguori. Sguardi attenti oltre la percezione patinata, retorica o istituzionale di alcune periferie romane. Sguardi sulla città dal basso, la domenica alle prime luci, quando un momento di ristoro collettivo attraversa finalmente una città complessa e ferita come Roma. “Nel momento dello scatto – spiega Pasquale -, antagonismi, conflitti, dolori e razzismi risultano sfocati, persino neutralizzati. Predomina la dignità dei singoli e possibilmente quella collettiva…”

A settembre, si è tenuta in Trastevere, nel cuore di Roma, la mostra “Borgate. Uscita nella calma insolita di periferia”, mio reportage fotografico, corredato di testi, stimolato dall’esigenza di addentrarmi nella periferia romana. Si è trattato di un’indagine senza mediazioni e filtri, orientata alla lettura e alla miglior comprensione dei luoghi.

L’interesse generale suscitato dalla mostra, autoprodotta e dunque di relativa breve durata, mi induce a riproporla prossimamente in città (anche in collaborazione con Comune, chi interessato alla mostra può scrivere a carmosino@comune-info.net). In vista di questa auspicata possibilità, desidero condividere il contesto in cui è maturato il reportage.

Le ragioni del progetto

Vivo da molti anni nella capitale dove sono arrivato per esigenze professionali. Le stesse che a lungo mi hanno distratto dal raggiungimento di un’esperienza civica e urbana più consapevole, confinando la mia percezione di città a una superficie conoscitiva del tutto simile a quella raggiungibile dal volenteroso turista “mordi e fuggi”. Spesso, dunque, una percezione patinata, istituzionale, maestosa. Al più, scippata a titoli di giornale. O assestatasi con il metabolismo di luoghi, monumenti, palazzi e spettacolari contesti nella cifra di recensioni, guide e pacchiani eventi aziendali o di rappresentanza.

Ho sempre amato inoltrarmi nella periferia. A Napoli, dove sono cresciuto, ho imparato ad assorbirne il valore, l’identità e l’insegnamento di vita in situazioni anche estreme.

Ammiro la periferia per la sua capacità di “frontiera”, sviluppo e capacità di adattamento, cambiamento e proposta. La amo quando è capace di prendersi cura di sé. Soprattutto, di fronte all’incuria e al disinteresse generale.

La realtà cittadina aggravata dal malaffare, dal crimine e dalla progressiva crisi amministrativa ha consolidato il diffuso disagio per i gravi scollamenti civili e sociali resi insopportabili dal blob edilizio e urbanistico cui la città è stata evidentemente sottoposta nel corso degli anni.

Soggetto (emozione) e metodo (sentimento)

Dovevo stabilire un punto di partenza per avvicinarmi alle borgate: ho considerato quelle cosiddette “ufficiali”, istituite dal regime fascista. Ho scelto poi un criterio di ripresa in cui si condensassero gli elementi decisivi per la progettualità di indagine: identificare l’impatto dimensionale e strutturale del contesto borgata, registrando nello stesso momento l’umanità cui è sottesa. Per questo, avevo bisogno di un momento, in un giorno specifico, dove la densità umana fosse la più elevata possibile. Con edifici pieni di vite e con piazze e strade praticamente deserte.

Desideravo, inoltre, evitare la trappola della curiosità fine a se stessa, un po’ pettegola e grottesca, che porta dritto a rese retoriche (e fugaci ricordi) della periferia e dei suoi problemi.

La domenica alle prime luci è un momento di ristoro collettivo. Ed è poi il momento di massima presenza abitativa di quasi tutti i domiciliati (anche chi appena rientrato dalla notturna visceralità del sabato). Una fase intermedia tra sonno, recupero almeno parziale da stanchezze e tensioni, risveglio e ferite leccate e, se possibile, la predisposizione più indulgente a riesaminare i luoghi e il contesto in cui si vive. Avendo cura per se stessi, in fin dei conti.

Nel momento dello scatto, antagonismi, conflitti, dolori e razzismi risultano sfocati, persino neutralizzati. Predomina la dignità dei singoli e possibilmente quella collettiva, in un modello abitativo che permane certamente complesso.

Sempre in quel momento, geometrie, spazi della convivenza visibili nella loro essenziale nudità, sembrano chiedere la condivisione della potente carica energetica e affettiva di quei momenti. Per beneficiarne prima che ritorni a dissiparsi al servizio dei mille sfilacciamenti quotidiani, della competizione neoliberista del vivere o sopravvivere.

In definitiva, ho avvertito un’identità ancora salda, confluente in una somma energetica di esperienze da non disperdere, che può proteggere persino dalle tentazioni fagocitarie della gentrification che ha snaturato altre, vicine periferie.

“Borgate. Uscita nella calma insolita di periferia” vuole essere un tributo a chi vive i luoghi ritratti e, al tempo stesso, un invito a non dimenticare e alla proposta. Alla cura e al valore comune.

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A Verona le periferie si mettono in mostra

Se non fosse per la “serenissima” Venezia, nel Veneto la gloria spetterebbe tutta a Verona. Città d’arte, di storia, di tradizioni e contraddizioni. E’ la città dell’amore (finito male), della musica e dell’Arena. E’ la città del sindaco Tosi (leghista), di un Chievo che si gode l’alta classifica, di un Hellas gloriosa scivolata in B e che è troppo spesso ricordata per certi cori razzisti. Verona è anche una città solidale, capace di grandi progettualità sociali. E così, oggi, sposta la periferia al centro. Letteralmente. La città inverte canoni, stereotipi, luoghi comuni. Facendo leva sulla sensibilità di fotografi amatoriali lancia una provocazione capace di accendere un riflettore sui territori senza luce. L’occhio che racconta, stavolta, è quello della gente comune. Persone che vivono e conoscono la periferia, artisti invisibili che hanno quei luoghi negli sguardi e nel cuore. Ogni giorno. Fotografi che con i loro scatti riportano l’attenzione sulle periferie abitate ma dimenticate. DeniSGiusti1 Dal progetto culturale (con risvolto sociale) alla mostra, be’, il passo è breve. E così la periferia diventa “Periferika”. Cinque fotografi non professionisti hanno messo in gioco loro stessi e la città offrendo una personale visione della vita al di là del cuore della città (dal 3 al 29 ottobre). Grazie ai loro occhi e ai loro scatti, stavolta la periferia si posta al centro. La mostra fotografica sarà infatti allestita nella vetrina della Biblioteca Civica in via Cappello. Le foto? Saranno visibili di giorno e di notte, 24 ore su 24. Perché rivolte all’esterno, quindi fruibili “dal di fuori”. MarcoSempreboni Insomma, per una volta almeno la periferia diventa il centro. E viceversa. Ecco quindi un’esposizione da cui nasce un catalogo da cui nascono riflessioni. Come quella di Giorgio Massignan, ad esempio. Lui, architetto e urbanista, ha curato il volume che accompagna la mostra realizzata dall’associazione “Verona Off” (di cui fa parte) in collaborazione con il Comune e con la Fondazione Toniolo. «Le periferie rappresentano il luogo-non-luogo, residuo di una non pianificazione del territorio che ha sempre privilegiato gli interessi speculativi all’equilibrio urbanistico della città», dice Massignan. Eccole le periferie ritratte da Denis Giusti, Flavio Castellani, Marco Sempreboni, Mauro Previdi e Stefano Franchini. Periferie notturne o in bianco e nero, dove l’uomo è quasi fisicamente assente ma dove i suoi “effetti” sono ben visibili. Periferie sinonimo di ghetto, periferie dormitorio, periferie degradate e abbandonate. Periferie che diventano “Periferika” e che con quest’azione assumono il significato del riscatto rientrando di diritto nel cuore e negli sguardi della comunità e, perché no?, anche della politica.] Se non fosse per la “serenissima” Venezia, nel Veneto la gloria spetterebbe tutta a Verona. Città d’arte, di storia, di tradizioni e contraddizioni. E’ la città dell’amore (finito male), della musica e dell’Arena. E’ la città del sindaco Tosi (leghista), di un Chievo che si gode l’alta classifica, di un Hellas gloriosa scivolata in B e che è troppo spesso ricordata per certi cori razzisti. Verona è anche una città solidale, capace di grandi progettualità sociali. E così, oggi, sposta la periferia al centro. Letteralmente.
La città inverte canoni, stereotipi, luoghi comuni. Facendo leva sulla sensibilità di fotografi amatoriali lancia una provocazione capace di accendere un riflettore sui territori senza luce. L’occhio che racconta, stavolta, è quello della gente comune. Persone che vivono e conoscono la periferia, artisti invisibili che hanno quei luoghi negli sguardi e nel cuore. Ogni giorno. Fotografi che con i loro scatti riportano l’attenzione sulle periferie abitate ma dimenticate.

Dal progetto culturale (con risvolto sociale) alla mostra, be’, il passo è breve. E così la periferia diventa “Periferika”. Cinque fotografi non professionisti hanno messo in gioco loro stessi e la città offrendo una personale visione della vita al di là del cuore della città (dal 3 al 29 ottobre).

Grazie ai loro occhi e ai loro scatti, stavolta la periferia si posta al centro. La mostra fotografica sarà infatti allestita nella vetrina della Biblioteca Civica in via Cappello. Le foto? Saranno visibili di giorno e di notte, 24 ore su 24. Perché rivolte all’esterno, quindi fruibili “dal di fuori”.

Insomma, per una volta almeno la periferia diventa il centro. E viceversa. Ecco quindi un’esposizione da cui nasce un catalogo da cui nascono riflessioni. Come quella di Giorgio Massignan, ad esempio. Lui, architetto e urbanista, ha curato il volume che accompagna la mostra realizzata dall’associazione “Verona Off” (di cui fa parte) in collaborazione con il Comune e con la Fondazione Toniolo.

«Le periferie rappresentano il luogo-non-luogo, residuo di una non pianificazione del territorio che ha sempre privilegiato gli interessi speculativi all’equilibrio urbanistico della città», dice Massignan.

Eccole le periferie ritratte da Denis Giusti, Flavio Castellani, Marco Sempreboni, Mauro Previdi e Stefano Franchini. Periferie notturne o in bianco e nero, dove l’uomo è quasi fisicamente assente ma dove i suoi “effetti” sono ben visibili. Periferie sinonimo di ghetto, periferie dormitorio, periferie degradate e abbandonate. Periferie che diventano “Periferika” e che con quest’azione assumono il significato del riscatto rientrando di diritto nel cuore e negli sguardi della comunità e, perché no?, anche della politica.

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Borgate. Uscita nella calma insolita di periferia

Mostra fotografica personale di Pas Liguori

a cura di Valeria Cirone

Inaugurazione con dibattito:
16 settembre 2016 alle ore 18.30

Palazzo Velli Expo
Piazza di Sant’Egidio, 10

Intervengono oltre l’autore:
Prof. Carlo Cellamare
Docente di Tecnica e pianificazione urbanistica. Facoltà di Ingegneria, Università la Sapienza
Dott.ssa Valeria Arnaldi
Scrittrice e giornalista

Date e orari mostra:
dal 17 al 25 settembre 2016
dalle ore 11.00 alle 20.00

Ingresso libero

Sessanta fotografie esposte su due livelli per un viaggio nell’attualità della periferia di Roma.
Le immagini, relative a un’indagine condotta in 12 borgate storiche*, sono accompagnate dalla proiezione di ulteriori documenti e materiali di approfondimento.

L’autore, stimolato dall’esigenza di contatto diretto con i luoghi delle realtà periferiche cittadine, ha condotto “uscite” fotografiche sistematiche in condizioni temporali e ambientali omogenee: alle prime luci di ogni domenica mattina.

L’inizio del giorno festivo è momento di collettivo ristoro. Con la particolarità di edifici al massimo del loro contenuto possibile di vite presenti e piazze, strade praticamente deserte.
Una scelta che vede condensati gli elementi utili alle finalità di progetto.
Da un lato, l’esplorazione di volumi, spazi e strutture con fattori confondenti ridotti; dall’altro, la registrazione simultanea dell’umanità non visibile in apparenza, ma lì presente e protagonista dei luoghi.

In quelle fasi, intermedie tra sonno, sollievo da fatiche e tensioni, nel quadro di un concomitante e più lieve risveglio urbano, i gesti più spontanei sono quelli di un ripristino della cura di sé. Anche se per pochi istanti, un leccarsi le ferite indotte dalla routine dei giorni precedenti. Espansioni affettive che vengono lette come fertili e auspicabili per la miglior predisposizione e attenzione alla cura dei luoghi e dei contesti in cui in definitiva si vive in comune.

L’indagine, pur restando fedele all’asciuttezza, ai valori, alla storia e alle trasformazioni delle borgate, rifugge da impostazioni di ripresa voyeuristica, un po’ pettegola e retorica sullo stato di problematiche che non sono comunque negate.
Prendendo volutamente le distanze da spettacolari alterazioni post-produttive, si è privilegiata la percezione del luogo, del rapporto tra territorio-uomo, misurandone linee, angoli e contrasti nei loro limiti e nelle loro possibilità di sviluppo sociale.
Le fotografie di “BORGATE – Uscita nella calma insolita di periferia” non sono da contemplare. Desiderano far riflettere e contribuire all’iniziativa di identità e responsabilità in aree complesse dove tradurre in pratica i vantaggi derivanti dall’integrazione di istanze e culture differenti, contrastando impersonali derive urbanistiche e incitando a una vita degna e migliore.

* Acilia, Gordiani, Pietralata, Primavalle, Prenestino, Quarticciolo, San Basilio, Tiburtino III, Tor Marancia, Trullo, Tufello, Val Melaina

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ABITARE A ROMA in periferia

Fotografie di Rodrigo Pais nella seconda metà del ‘900
MUSEO di ROMA in TRASTEVERE, piazza di Sant’Egidio, 1/b – Roma
INAUGURAZIONE MARTEDÌ 20 SETTEMBRE, ore 17,30
Apertura al pubblico: 21 settembre -13 novembre 2016
La mostra, promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e della Regione Lazio, è stata ideata e prodotta dall’Università di Bologna.
Le immagini realizzate dal fotografo Rodrigo Pais restituiscono con stile diretto e pragmatico, caratteristico del fotocronista, l’identità profonda della città di Roma e della sua periferia, con la stessa intensità d’immagini fotografiche di grandi autori come: William Klein per il progetto sulle strade della città natale “New York 1954-1955”, Bruce Davidson in “East 100th Street” serie del 1966-1968 che racconta la realtà di un caseggiato dell’East Harlem conosciuto per il suo degrado abitativo, Garry Winogrand e la sua fotografia di strada tra New York e Los Angeles, le riprese delle vie deserte di Eugène Atget e l’umanità di Robert Doisneau per la città e i sobborghi di Parigi, e naturalmente Vivian Mayer per la brulicante Chicago.
Della capitale italiana Pais non testimonia soltanto un periodo storico dal punto di vista dello sviluppo urbano o storico-politico ma ne entra nelle trame più sottili. La sua fotografia, sociale e documentaria, in diverse occasioni di denuncia, è rappresentazione di una realtà cruda e diretta che restituisce all’osservatore l’identità di una città che si trova nei volti della gente, nei luoghi e nei paesaggi in cui abitano. L’approccio documentarista e l’uso agevole della piccola Leica o della Rolleiflex, comportano un grado elevato di coinvolgimento dei soggetti che permette al fotografo di catturare ciò che si dipana in strada tra eventi epocali ed altri apparentemente insignificanti. La prolifica raccolta documentale prodotta con dovizia e professionalità, composta da quasi 380.000 fototipi di valore storico imprescindibile ma anche di grande valore artistico, è la testimonianza storica, culturale e sociale di una grande metropoli ma altresì della quotidianità che senza l’obiettivo fotografico e la sensibilità di Pais sarebbe perduta.
La mostra è organizzata in tre sezioni. La prima, affidata all’architetto Stefano D’Amico, ricostruisce lo sviluppo edilizio pubblico e privato con i suoi difetti, ma anche gli innegabili pregi a partire dagli anni ’50 con il Piano INA-CASA, o Piano Fanfani, dal nome di Amintore Fanfani, allora Ministro del lavoro e della previdenza sociale, fino agli anni ’90 del secolo scorso. La seconda, affidata al professor Francesco Sirleto, illustra le lotte per il diritto alla casa di una popolazione emarginata in una situazione abitativa costituita da baracche precarie costruite con materiali di fortuna, partendo dalle prime manifestazioni spontanee ai movimenti più consapevoli e organizzati da enti come il Sunia. La terza, non può che essere riferita al sociologo Franco Ferrarotti che fin dagli anni ’70 si è occupato delle periferie di Roma e, in particolare, delle condizioni di vita dei baraccati andando ad abitare per un certo periodo in una baracca al Borghetto Latino.
Note biografiche
Rodrigo Pais è nato a Roma il 28 settembre del 1930 da genitori migrati in città alla ricerca di un lavoro. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza al centralissimo Rione Monti, dove frequenta le scuole elementari ma le modeste condizioni familiari lo conducono fin da giovanissimo a occuparsi di svariati lavori: sciuscià, cappellaio e garzone di bottega. Proprio tra le mura della bottega di barbiere, il giovane Pais ha la fortuna di incontrare un cliente che lavora presso il laboratorio del noto ritrattista Elio Luxardo che, a conoscenza della passione del ragazzo per la fotografia, lo invita in camera oscura. È il 1946 e inizia la grande avventura nel campo della fotografia, Pais incomincia a lavorare come stampatore nel laboratorio Binazzi e Lombardini ma solo nel 1950 ricopre il ruolo di fotoreporter per la rivista “Vie Nuove”. Il 1954 è l’anno in cui inizia la sua collaborazione con “l’Unità”, organo ufficiale del PCI, ma sono anche gli anni in cui lavora per “Paese”, “Paese Sera”, il “Corriere della Sera”, il “Corriere dell’informazione” e “La Stampa”. La sua attività fotogiornalistica è terminata nel 1998, dopo cinquant’anni di scatti fotografici che in ampi periodi hanno raggiunto il ritmo di 5 o 6 servizi giornalieri. Rodrigo Pais muore a Roma il 9 marzo del 2007 e lascia un ampio archivio fotografico e documentale che ricopre interamente la seconda metà del XX secolo.
Bibliografia essenziale
Benevolo L., Roma oggi, Laterza, Bari 1977;
Berlinguer G. – Della Seta P., Borgate di Roma, Editori Riuniti, Roma 1976 (II ed.); Caracciolo A., Roma capitale, Editori Riuniti, Roma 1974;
Cederna A., I vandali in casa, Laterza, Bari 1957;
Ferrarotti F., Roma Caput Mundi. Dalla metropoli alla baraccopoli l’anima perduta della città, Gangemi editore, Roma 2014;
Ferrarotti F., Roma da capitale a periferia, Laterza, Bari 1970;
Ferrarotti F., Spazio e convivenza. Come nasce la marginalità urbana, Armando editore, Roma 2009;
Ferrarotti F., Vite di Baraccati, Liquori, Napoli 1974;
Insolera I., Roma moderna, Einaudi, Torino 1976 (VII ed.);
Lelli M., Dialettica del baraccato, De Donato, Bari 1971;
Pasolini P. P., Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano 2006;
Rossi P.O., Roma. Guida all’architettura moderna 1909-2000, Laterza, Roma-Bari 2000 (III ed.);
Sardelli R., Scuola 725: Non tacere, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1972;
Sardelli R., Vita di Borgata, Edizioni Kurumuny, Lecce 2013;
Sirleto F., Le lotte per il diritto alla casa a Roma, Ass. Culturale Aldo Tozzetti, Roma 1998; Segarra Lagunes M.M. – Vittorini R. (a cura di), Guida ai quartieri romani INA Casa. Dieci brevi itinerari attraverso i quartieri INA Casa realizzati a Roma dal 1949 al 1960, Gangemi editore, Roma 2002;
Tozzetti A., La casa e non solo, Editori Riuniti, Roma 1989.

Comunicato stampa mostra




Parigi è questa qui

Fotografie dalle periferie, lontane dagli stereotipi della Torre Eiffel e del lungosenna: grattacieli, cantieri, campetti da calcio e parcheggi deserti.
Nel progetto fotografico Color Cube il francese Edouard Sepulchre mostra una faccia insolita e poco nota di Parigi, ben distante dalle immagini della Torre Eiffel, dei caffè coi tavolini all’aperto, del lungosenna e dei maestosi Champs-Élysées. Quando lo iniziò, nel 2015, Sepulchre era appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti e voleva «occuparsi di larghi spazi aperti tagliati da linee orizzontali e grafiche. Volevo lasciarmi sorprendere. La periferia di Parigi mi sembrò un buon punto di partenza». Le cosiddette banlieue sono un posto di grande trasformazione, dove «edifici e quartieri decrepiti vengono continuamente distrutti per ricreare un nuovo paesaggio urbano» oppure convivono con nuovi palazzi e grattacieli in costruzione.
Sepulchre si concentra soprattutto sui colori, sulle forme e le linee, raccontando una città fatta di edifici modernisti, enormi condomini, strade polverose, cantieri abbandonati, case popolari e campetti da calcio. La Parigi di Sepulchre – anonima, alienata ed esotica – ricorda le periferie delle città dell’Est Europa, il Nord Africa, gli Stati Uniti e il Giappone: tutte queste immagini contrastanti raccolte in serie compongono «una nuova realtà, una città immaginaria».

Sepulchre ha iniziato a lavorare in pubblicità ed è passato alla fotografia nel 2010, concentrandosi soprattutto sui suoi progetti personali e alternandoli a lavori su commissioni per aziende, agenzie fotografiche e riviste. Gli altri suoi lavori si possono guardare sul suo sito, su Tumblr e Facebook.

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Fotografia, al Macro Testaccio un viaggio tra le periferie di Roma

Si intitola Oltre le mura di Roma la mostra fotografica, che dal 21 gennaio al 10 marzo sarà visitabile al Macro Testaccio – La Factory di Roma. Più di 150 scatti sulle periferie di Roma dei vincitori del concorso fotografico lanciato dai Global Shapers a fine 2015, accanto ai reportage d’autore sulle periferie realizzate in esclusiva dai fotografi Stefano De Luigi, Davide Monteleone, Angelo Turetta, Tommaso Protti e lo stesso Francesco Zizola.

Storie che raccontano la periferia della capitale con sguardi differenti e in diverse direzione. Una storia per immagini di un non-città, di spazi talvolta lontani, sconosciuti non solo ai turisti, ma anche agli stessi romani, dove tuttavia l’isolamento dalla vita che caratterizza il cuore, la parte più centrale di Roma, ha fatto in modo che si creassero invece delle vere comunità. Oltre le Mura di Roma nasce quindi per ridare voce alle periferie romane e raccontare la realtà, spesso trascurata o incompresa, della vita, delle storie e delle persone che le abitano. E’ un viaggio emozionante tra il disagio e le peculiarità di questi luoghi, tra le borgate e i mostri dell’edilizia, dove possono essere colti comunque bagliori di bellezza.

Il progetto, selezionato al meeting annuale del World Economic Forum a Davos come esemplare utilizzo dell’arte come motore di cambiamento sociale, è stato realizzato con il patrocinio del Comune di Roma e ha ricevuto il sostegno di Coca-Cola, Acea, IED Roma e Enel.

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“Oltre le Mura”, gli scatti di Zizola raccontano la periferia romana

L’arte della fotografia e un unico protagonista: le periferie romane e le loro store di vita. Si presenta così la mostra fotografica Oltre le Mura di Roma che si propone di raccontare la parte meno conosciuta ma altrettanto stimolante della città eterna. Da dicembre 2015 in uno dei musei del circuito comunale, probabilmente al Macro Pelanda, si potranno ammirrare gli scatti sulle periferie romane realizzati da Francesco Zizola (direttore artistico del progetto), plurivincitore del World Press Photo Award, affiancati da quelli di quattro fotogiornalisti professionisti: Angelo Turetta, Stefano De Luigi, Davide Monteleone e Tommaso Protti. L’obiettivo tramite la fotografia e lo “story-telling” è far emergere non solo storie di disagio ma anche di successo.

Le altre foto esposte verranno selezionate tramite un concorso online aperto a tutti i fotografi, professionisti o amatori. I partecipanti avranno tempo dal 1 al 15 settembre per consegnare i propri reportage: massimo 10 foto a colori o in bianco e nero, realizzate sia con la macchina fotografica che con lo smartphone, accompagnate da un breve elaborato scritto che racconta le

Sarà lo stesso Zizola a selezionare le migliori 14 foto-storie che verranno esposte assieme agli scatti d’autore. Ai vincitori verranno assegnate anche delle borse di studio per partecipare gratuitamente a due workshop di fotogiornalismo tenuti da Zizola e a due corsi di fotografia presso lo IED (Istituto Europeo di Design).
Il progetto, presentato presso il Teatro Biblioteca Quarticciolo, è patrocinato da Roma Capitale, ed è stato ideato dall’associazione Global Shapers – Rome Hub. L’iniziativa è realizzata anche grazie al sostegno di alcuni partner tra cui Acea, IED Roma e Enel.
“Abbiamo in progetto anche di rappresentare le immagini più belle nelle nuove stazioni della metropolitana C”, ha annunciato il sindaco Ignazio Marino durante la presentazione dell’iniziativa. “Tutto quello che vive e appassiona fuori le Mura Aureliane deve essere pienamente parte della nostra città. Una Roma che diventa tutta Roma, non solo per la qualità dei servizi ma anche per il senso di comunità che solo un’esperienza culturale può creare”, ha concluso il Sindaco.

Bando-Oltre-le-Mura-di-Roma

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Perché fare foto in bianco e nero?

“Prof. ma perché i fotografi scattano ancora in bianco e nero, adesso che c’è il colore?”

Ecco una di quelle domande, apparentemente banali, con cui uno studente ti inchioda nel bel mezzo di una lezione sulla storia della fotografia…

Quella delle foto in bianco e nero è una di quelle cose che si dà per scontato: anzi, la foto d’autore (con le dovute eccezioni) è per antonomasia in bianco e nero! Ma gli studenti, abituati a fare quotidianamente decine di scatti a colori con il loro cellulare (al massimo applicano qualche filtro effetto “vintage”) non sono abituati al bianco e nero e lo percepiscono come un’anomalia.

“Ho cominciato con la tv in bianco e nero, con il cinema, di cui sono appassionato, in bianco e nero. Tutti i miei maestri sono fotografi in bianco e nero. Sono cresciuto con il bianco e nero e poi per i reportage, per quello che faccio io, è più efficace. Il colore distrae sempre chi guarda una foto, si concentra più sul colore che sul contenuto“.

Ecco cosa ha dichiarato il grande fotografo Gianni Berengo Gardin quando gli hanno chiesto, di recente, perché continuasse ad usare il bianco e nero. E questa foto della serie “Mostri a Venezia” ci spiega bene il senso delle sue parole…

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Dunque togliere il colore non costituisce necessariamente una perdita di informazioni. Può, infatti, rafforzare molto di più il senso e la comunicatività dell’immagine.

Una foto a colori rischia di essere troppo realistica, lascia poco spazio all’immaginazione, in alcuni casi è proprio una copia del reale.

Le foto a colori più belle, in effetti, sono quelle che hanno proprio il colore come soggetto.

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Il bianco e nero risulta, invece, più evocativo proprio perché sottrae un dato visivo. È la differenza che passa tra l’acqua del mare e la sua rappresentazione fatta da un impressionista: toglie precisione ma guadagna di atmosfera!

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Nella foto in bianco e nero le forme emergono maggiormente grazie ai passaggi chiaroscurali attraverso toni di grigio. La tridimensionalità è più evidente, i volumi si fanno più puri.

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Le ombre, grigie o nere anch’esse, assumono la stessa importanza degli oggetti che le producono e diventano parte fondamentale della composizione molto più che nella foto a colori.

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La texture dei materiali diventa molto più ricca e tattile. La luce accarezza la materia svelandone la trama superficiale.

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Il ritmo presente nelle architetture o negli elementi naturali appare particolarmente marcato grazie alle diverse intensità di luce e ombra.

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Nebbia e foschia diventano incredibilmente suggestive. Sembrano soffici ed impalpabili…

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La profondità spaziale appare più leggibile grazie ai gradienti di grigio dovuti all’atmosfera che si frappone tra gli oggetti e l’osservatore.

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Le silhouette si stagliano in modo netto e assumono una forte espressività.

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Anche le immagini drammatiche sembrano più astratte e surreali.

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Il dolore e la paura, perdendo la carnalità (e a volte la pornografia) del colore, risultano più assoluti e intensi.

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E composizioni essenziali e minimaliste risultano comunque piene e complete.

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Naturalmente non si deve credere che per migliorare una foto a colori basti convertirla in bianco e nero. Una buona foto in bianco e nero va pensata (in bianco e nero) ancor prima dello scatto. Perché la scelta del soggetto, della luce e della composizione deve essere fatta in funzione di una rappresentazione composta da tutti i toni del grigio.

Questo non vuol dire che occorra scattare direttamente in bianco e nero. Oggi, infatti, si può scattare a colori e convertire in b/n in un secondo momento. Occorre, però, lavorare con programmi di post-produzione fotografica (Photoshop ad esempio) seguendo alcuni accorgimenti per bilanciare le tonalità e migliorare il contrasto.

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Può sembrare una procedura che “falsa” la realtà ma si tratta di correzioni che vengono fatte anche con la tradizionale pellicola (sia con filtri sull’obiettivo che in fase di stampa in camera oscura).

Si usano, infatti, dei filtri da apporre sull’obiettivo capaci, ad esempio, di scurire molto l’azzurro del cielo per aumentare il contrasto con le nuvole. In questi casi si applica un filtro arancione che, assorbendo tutte le lunghezze d’onda della luce meno quelle relative all’arancione (poco presenti però nel colore del cielo) fa sì che l’azzurro appaia quasi nero! Per inciso: la funzione bianco e nero con filtro arancione è presente anche in Photoshop.

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Ultimamente si sta diffondendo la moda di fare il procedimento opposto: passare dal bianco e nero al colore. Ma se una foto a colori contiene tutte le informazioni relative alla luminosità utili a trasformarla in bianco e nero, il contrario non è così automatico.

Una foto in bianco e nero non possiede più le informazioni cromatiche; si possono intuire i colori (anche per la cosiddetta “costanza percettiva“) ma non è detto che siano quelli realmente appartenuti al soggetto.

Black and white photo of Natalie Wood at the Beach Colorized

E poi c’è una via di mezzo, capace di mettere insieme l’asciuttezza del bianco e nero e l’impatto del colore. È quella foto in cui di colorato resta solo un elemento focale, che attira tutta l’attenzione su di sé.

foto-bn-partecolorata

È un effetto interessante di cui non si deve abusare. Se utilizzato in modo mirato può creare una scena molto suggestiva. Un po’ come la bambina con il cappottino rosso nel film Schindler’s list.

SCHINDLER'S LIST (1993) OLIWIA DABROWSKA STEVEN SPIELBERG (DIR) 025 MOVIESTORE COLLECTION LTD

Provare a creare degli scatti in bianco e nero può essere un interessante esercizio didattico. Ho fatto questo esperimento a scuola lavorando sugli scorci urbani, un soggetto abbastanza adatto a cogliere forme, volumi, passaggi di luce ed ombra, ritmi, texture etc.

Ecco alcune foto fatte da studenti e studentesse di quinto anno (liceo scientifico) dopo avere osservato i lavori dei grandi maestri.

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Ci sono verticali un po’ cadenti, immagini sottoesposte o sovraesposte, inquadrature imperfette… ma quello che conta è aver provato ad osservare intenzionalmente la realtà circostante con l’idea di selezionarne una porzione significativa capace di comunicare qualcosa in più dell’intera scena.

Lo scopo è sempre quello: imparare a vedere. Bisogna imparare a vedere prima di fotografare, ma fotografare può diventare un modo per imparare a vedere!

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Roma e Berlino, periferie a confronto. La mostra

Il Corviale e gli edifici di Le Corbusier negli scatti di Officine Fotografiche. A ospitarli, fino all’11 marzo, il Teatro Ambra alla Garbatella

Corviale e l’Unité d’habitation. Mario Fiorentino e Le Corbusier. Sono queste le realtà racchiuse nella mostra Corviale Strasse organizzata dall’associazione Officine Fotografiche e ospitata dal Teatro Ambra di Garbatella fino all’11 marzo. Scatti che ripercorrono l’evoluzione dello spazio urbano, dai quartieri di Berlino di Hansaviertel alla Portuense, dove si staglia il Serpentone.

 PERIFERIE A CONFRONTO – Un’esposizione collettiva in cui i 12 fotografi, coordinati da Maurice Carucci, si sono fatti guidare dai residenti del Serpentone e della “Unité d’habitation Typ Berlin” nella loro quotidianità. Interminabili corridoi che diventano spazi di gioco, interi piani un tempo pensati per ospitare servizi e poi abbandonati all’incuria del tempo. E poi, tra aree ricreative che sono distese di cemento, ascensori e citofoni malfunzionanti, ci sono loro, i volti di chi quegli spazi li abita. Così il percorso fotografico disposto su due file di scatti, Roma in alto, Berlino in basso, permette di riflettere sulle trasformazioni di questi quartieri: come erano stati pensati e cosa sono diventati oggi.
LE CORBUSIER E MARIO FIORENTINO – L’intuizione dell’architetto svizzero Le Corbusier, l’Unité d’habitation, è la creazione di edifici autosufficienti, dotati di appartamenti ma anche di servizi per i residenti. Una novità assoluta che segna l’avvio dell’urbanistica modernista, uno spazio realmente a “misura di cittadino”. A Berlino, l’idea si concretizza nella Mostra Internazionale dell’edilizia del 1957, in occasione della quale viene ricostruito il quartiere Hansaviertel, raso al suolo durante la Seconda Guerra Mondiale. Anche l'”Unité d’habitation Typ Berlin” sorge in questo periodo.

IL SERPENTONE, UN KM DI PROMESSE MANCATE – In Italia, lo stesso modello di spazio collettivo viene sperimentato da Mario Fiorentino al quartiere Corviale.

Nasce, così, il Serpentone. Costruito nel 1972 e consegnato ai residenti dieci anni dopo, è un’utopia che si trasforma in un chilometro di cemento. Ospita più di 6 mila persone e 120 nuclei familiari, sin dall’inizio privati di servizi a lungo promessi. Al loro posto, una quotidianità fatta anche di abbandono e scarsa manutenzione.
LA RIQUALIFICAZIONE – Oggi, però, qualcosa potrebbe cambiare grazie al progetto “Chilometro Verde”. Un intero piano del Serpentone destinato a ballatoi, giardini d’inverno, servizi e luoghi d’incontro. A ideare l’opera, vincitrice nel 2008 della gara indetta da Ater (Azienda territoriale di edilizia residenziale), l’architetto e docente Guendalina Salimei, fondatrice di T studio. Il suo è un innovativo piano di riqualificazione che colma gli spazi vuoti dell’edificio. Quelli che avrebbero dovuto ospitare farmacie, supermercati e luoghi di aggregazione e che, invece, da decenni sono occupati abusivamente.
LA VITA AL CORVIALE – Tra disagi di oggi e speranze per il domani, c’è la vita di migliaia di residenti. “Sono delusi per quel che è stato del progetto originario – spiega il curatore della mostra, Maurice Carucci – ma provano amore per i loro luoghi”. A Corviale si respira un forte senso d’appartenenza. “Qui, i ragazzi non vanno a giocare al campo di calcetto. Vogliono tirare le loro pallonate contro il muro del garage, al Serpentone”.

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