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Cinecittà, occupata l’ex Mediateca Rossellini: “Va riaperta, no ai tagli alle biblioteche”

L’azione della Rete territoriale di zona: “Lunedì 9 assemblea pubblica, poi mozione in consiglio municipio e un incontro con l’assessore Marinelli”

“L’ex Mediateca di piazza di Cinecittà che ospitava, tra le altre cose, corsi di formazione di informatica per anziani e cittadini in difficoltà economica è stata una delle prime vittime della spending review. Chiusa e abbandonata per via dei tagli al sistema delle biblioteche”. Così scrive la rete territoriale Cinecittà Bene Comune che oggi, facendo irruzione nei locali abbandonati (“causa cambio destinazione d’uso in corso”, si legge sul sito del Comune), ha deciso di riaprirla simbolicamente chiedendone l’immediato ripristino.

“E’ un servizio fondamentale per il nostro territorio, abbiamo deciso di occupare questi spazi per contrastare i tagli alla cultura, alla formazione e ai servizi sociali ed aprire una discussione pubblica e partecipata che sappia proporre nuove soluzioni rispetto alla solitudine che vivono le periferie della nostra città” scrivono in un comunicato. “La riapertura dell’ex Mediateca Rossellini rappresenta un obbiettivo fondamentale per rilanciare la cultura, la formazione, i servizi pubblici e il lavoro nel nostro territorio. Anche alla luce della discussione iniziata in consiglio comunale, che porterà all’approvazione del nuovo bilancio della città di Roma, abbiamo così lanciato da subito un momento di confronto e dibattito”. Per quattro giorni proiezioni e incontri proveranno a tenere aperta per qualche ora la mediateca, poi lunedì 9 febbraio alle 17 è stata convocata una assemblea cittadina a cui sono invitati le altre biblioteche del circuito cittadino, l’istituzione delle Biblioteche di Roma, utenti, lavoratori, studenti, associazioni, forze sindacali e politiche per discuterne il futuro e per provare a immaginare strategie di rilancio delle biblioteche “alla luce della riduzione delle risorse disponibili e del tentativo di internalizzazione del servizio da parte di Roma Capitale che rappresenterà un ulteriore taglio alla cultura e alla formazione”.

Gli attivisti stanno anche preparando una mozione che sbarcherà in Consiglio municipale e martedì vorrebbero incontrare, assieme alla presidente del VII municipio Susi Fantino, l’assessore capitolino alla Cultura Giovanna Marinelli.

“Attualmente il servizio didattico permanente della Mediateca è stato trasferito presso la sede della Biblioteca Raffaello, in via Tuscolana 1111, nonostante quest’ultima soffra già di numerore problematiche legate alla carenza degli spazi anche a causa dell’inagibilità di un piano superiore che dopo molti anni anche se attrezzato non è ancora stato messo a norma – spiega ancora la Rete Cinecitt Bene Comune – Il nostro territorio ora conta 320mila abitanti e con l’accorpamento dei municipi nono e decimo, dovrebbero venir accorpate anche le due biblioteche Raffaello e Nelson Mandela. E’ necessario lanciare una campagna contro questi tagli: c’è bisogno di cultura, servizi e spazi in cui poter studiare”.

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Le biblioteche multimediali

La prima virtual library venne creata da Tim Berners-Lee, inventore del linguaggio HTML e padre putativo del Web, nel 1991, al CERN di Ginevra: si trattava di un repertorio di siti internet, archiviati per argomenti, redatto da un gruppo di esperti. Nel tempo il concetto di virtual library si è evoluto, anche grazie alle nuove opportunità offerte dal Web 2.0, trasformandosi in uno spazio dinamico della conoscenza, in cui è possibile trovare una varietà di risorse digitali – e non – organizzate e rese facilmente fruibili agli utenti. Si veda ad esempio la libreria virtuale dell’American Alzheimer Association.

Le virtual library si possono avvalere del supporto di una faculty o, comunque, di un team di esperti che selezionano le risorse e predispongono dei percorsi guidati e soprattutto certificati, per facilitare lo sviluppo di conoscenze e competenze in un dato ambito di apprendimento. Una buona libreria virtuale, però, deve allo stesso tempo essere in grado di offrire ai navigatori l’opportunità di esplorare liberamente i contenuti e creare percorsi personalizzati di apprendimento.

Nell’ambito della formazione in azienda la virtual library può essere utilizzata per facilitare la condivisione di informazioni, l’autoformazione e l’informal learning. La biblioteca virtuale può svolgere un ruolo strategico per facilitare la condivisione delle informazioni e delle conoscenze in grandi organizzazioni, che operano su scala multinazionale e/o globale, che fanno ampio utilizzo di team di lavoro dispersi geograficamente: un articolo di Lori Soard su Small Business ben spiega quali sono i principali vantaggi di una virtual library per un’azienda. Al contempo, anche le piccole imprese possono sfruttare le opportunità della biblioteca virtuale, anche sviluppando progetti inter-aziendali.

Nella versione più moderna, la virtual library diventa uno strumento social, implementando approcci di tipo 2.0: ad esempio, la Business School dell’Università di Stanford ha realizzato una biblioteca virtuale per condividere i progetti realizzati dagli studenti del corso di comunicazione strategica.

In Italia sono in corso diverse sperimentazioni. In particolare, segnaliamo un progetto di virtual library, in fase di start up, realizzato da un grande gruppo finanziario. Il progetto, di cui Amicucci Formazione è partner, prevede la realizzazione di una biblioteca virtuale ad uso del management e del personale. Il progetto si propone di facilitare la condivisione di conoscenze e lo sviluppo delle competenze professionali, attraverso l’innovazione degli ambienti, dei linguaggi e delle pratiche di apprendimento, in un’ottica 2.0.

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Ripartiamo dalle biblioteche

La motivazione della delibera del 30 dicembre 2014 sulle varie forme di partecipate del Comune di Roma è il risparmio. La delibera infatti è propedeutica all’approvazione del Bilancio. Ma perché allora vi è stata inserita l’Istituzione delle Biblioteche che è in attivo e, soprattutto, come mai a distanza di 27 giorni gli assessori del Bilancio e della Cultura non sono ancora capaci di quantificare questi risparmi fantasma?
Essi si sono limitati a dichiarare nel loro Comunicato stampa del 14 gennaio 2015 che:“il ritorno del sistema all’interno della struttura di Roma Capitale (…) ci permetterà (…) di semplificare le procedure (…)
L’unica conclusione possibile è che “si boccia l’autonomia ed il lavoro di questo servizio senza un perché”.
Noi invece ringraziamo un Consiglio di Amministrazione professionale e gratuito che, come noi, vuole “discutere di aumentare la presenza nei territori dove quasi sempre siamo l’unico presidio culturale progettando interventi di animazione, e di organizzare la collaborazione con le reti di biblioteche dei castelli e del litorale all’interno del percorso della città metropolitana (già Fiumicino ha chiesto di entrare nella rete della nostra Istituzione)”
Ed è su queste parole che il consigliere d’amministrazione dell’Istituzione Gioacchino Quirico ha pronunciato nell’affollata assemblea di stamattina alla Biblioteca Rispoli (con la presenza tra gli altri della Commissione Cultura del Comune) che vogliamo concludere, noi di Corviale Domani che conosciamo appieno il fondamentale apporto delle biblioteche nella nostra e nelle tante periferie, ribadendo che per tale motivo la questione non riguarda solo l’assessorato alla Cultura ma anche quelli delle Periferie, delle Politiche Sociali, della Scuola e Sport, dell’Urbanistica. E’ su questo piano che ai risparmi si coniuga l’aumento dei presidi culturali nei territori e su questo occorre aprire una discussione su cambiamenti radicali non più eludibili.

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Dalla carta all’ebook, per i libri delle biblioteche non serve l’autorizzazione

ebookSecondo la Corte di Giustizia UE le strutture pubbliche possono trasferire in digitale i volumi in loro possesso anche senza l’esplicito consenso di chi detiene il copyright

Le biblioteche accessibili al pubblico non hanno bisogno dell’autorizzazione del titolare dei diritti d’autore per digitalizzare un libro. Possono farlo di loro iniziativa anche consentendo agli utenti di consultare la copia digitale da apposite postazioni di lettura elettronica, collocate nei loro locali interni.

Lo ha stabilito una sentenza della Corte di giustizia europea, chiamata, in base ai termini del rinvio pregiudiziale , a pronunciarsi su una controversia tra l’Università tecnica di Darmstadt e la casa editrice tedesca Eugen Ulmer KG.

Secondo il parere dei giudici dell’organo giurisdizionale supremo dell’Unione, inoltre, uno Stato membro può autorizzare gli utilizzatori a stampare su carta o a memorizzare su una chiavetta USB i libri digitalizzati dalla biblioteca a patto, però, di riconoscere ai titolari dei diritti un equo compenso.

 

Non è stato, quindi, accolto il punto di vista della casa editrice tedesca che aveva cercato di impedire sia la digitalizzazione di un suo manuale di storia, sia la messa a disposizione degli utenti nei posti di lettura elettronica, installati nella biblioteca dell’ateneo di Darmstadt, dopo il rifiuto opposto dalla stessa università alla proposta della Eugen Ulmer KG di acquistarlo e renderlo fruibile sotto forma di ebook.

 

Su questo punto, la Corte ha chiarito che se è vero che la direttiva europea sul copyright (2001/29) riconosce agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione e la comunicazione delle loro opere, prevede, contemporaneamente, eccezioni o limitazioni.

 

Eccezioni e limitazioni che, in particolare, sono applicabili, da parte degli Stati, nel caso in cui le biblioteche, a fini di ricerca o di studio privato, mettano i libri delle loro collezioni a disposizione degli utenti mediante terminali dedicati. Non cambia niente il fatto che il titolare dei diritti d’autore proponga a condizioni ragionevoli contratti di licenza per l’uso della sua opera. La biblioteca continua ad avere la possibilità di digitalizzare e rendere accessibile la sua copia all’utenza “altrimenti – sottolinea il giudice – non potrebbe assolvere alla sua missione fondamentale né promuovere l’interesse pubblico legato alla promozione della ricerca e dell’attività privata di studio”.

 

Posizione condivisa da Pierantonio Metelli, funzionario della Biblioteca Nazionale di Firenze, secondo il quale passare dal cartaceo al formato digitale non comporta altri diritti associati. “Se ho una copia digitale di un libro – precisa – la rendo disponibile, perché la biblioteca deve perseguire la sua missione ma senza ledere il diritto d’autore. Noi, comunque, non digitalizziamo le opere in commercio”.

 

Anche nella Biblioteca nazionale di Roma un volume, se digitalizzato, non viene sottratto alla consultazione del pubblico. “La biblioteca – sostiene Maria Luisa Jacini, responsabile del Servizio Riproduzioni – non sta procedendo ad un’attività diffusa di digitalizzazione che si realizza, di norma, per motivi di conservazione. Quando si presenta l’occasione di un libro in deterioramento, tutelato da copyright, questo viene digitalizzato per non venir meno al servizio di tutela. In caso di richiesta dell’utente, dobbiamo metterlo a disposizione e, eventualmente, permettere di fare fotocopie, senza, tuttavia, rilasciare il file digitale”.

 

Riguardo a questo aspetto, per la Corte di Giustizia Ue, la stampa di un’opera su carta o la sua memorizzazione su chiave USB, non può essere permessa dai terminali dedicati senza pagamento di un equo compenso ai titolari di copyright, perché le eccezioni e le limitazioni, previste della normativa, valgono unicamente in favore dell’attività della biblioteca, autorizzabile dalla legislazione nazionale, ma non di quella del singolo utente che riproduce il libro facendo una nuova copia.

 

Chiarito il campo di applicazione della direttiva Ue sul diritto d’autore, il caso “Technische Universität Darmstadt contro Eugen Ulmer KG” torna ora davanti alla Corte federale di giustizia tedesca. Spetterà al giudice nazionale risolvere la causa, conformemente alle decisioni della magistratura europea.

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Le banche dati che ci obbligano a essere intelligenti

intelligenzaCome accadde secoli fa con la stampa, gli archivi elettronici permetteranno un progresso del sapere. Il nostro apparato cognitivo può liberarsi dall’obbligo di ricordare e dedicarsi all’invenzione
Da quando siamo uomini, abitiamo in uno spazio polarizzato attorno a luoghi di concentrazione, case, villaggi e tesori diversi; in particolare, il luogo stesso in cui vivo e al quale riferisco il mio indirizzo. Viviamo in questo spazio perché costruire lo forma, abitare lo consolida e pensare consiste nel riprodurlo.

Lo spazio immagazzina, l’individuo pensa: stesso processo. Non saremmo potuti sopravvivere senza queste concentrazioni che condizionavano la vita, l’individuo, il collettivo, le pratiche e la teoria; non ci smettevamo, instancabilmente, di inventarne di nuove sotto tutti i rapporti. Ed ecco che i computer portano a compimento questo segmento dell’ominizzazione. Perché se queste macchine possono essere definite universali, meritano tale titolo sotto la rubrica, appunto, della concentrazione. Che bisogno abbiamo di riunire libri, segni, beni, studenti, case o mestieri dal momento che il computer lo fa? Il problema generale dell’immagazzinamento che cercavamo di risolvere e sul quale lavoravamo follemente fin dalla nostra origine ha trovato soluzione, non solo reale ma virtuale: ogni questione di questo tipo trova molteplici risposte possibili, secondo le sue condizioni e costrizioni. Le reti rendono desueta la concentrazione attuale, voglio dire un ammasso qualsiasi qui e ora.

La rapidità delle comunicazioni concentra virtualmente ovunque, ad libitum, tutto o parte del connesso disponibile. Al contrario delle antiche tecnologie, le nuove macchine sostituiscono con trasmissioni rapide la funzione del conservare. Non immagazziniamo più cose, bensì relazioni.

Le reti sostituiscono la concentrazione con la distribuzione. Da quando disponiamo, su una postazione portatile o sul telefonino, di tutti i possibili accessi ai beni o alle persone, abbiamo meno bisogno di costellazioni espresse. Perché anfiteatri, classi, riunioni e colloqui in un dato luogo, e perché una sede sociale, dal momento che lezioni e colloqui possono tenersi a distanza? Gli esempi culminano in quello dell’indirizzo. In tutto il corso della storia è stato riferito a un luogo, di abitazione o di lavoro, mentre oggi l’indirizzo di posta elettronica o il numero di telefono cellulare non indicano più un determinato luogo: un codice o una cifra, pura e semplice, basta. Quando tutti i punti del mondo godono di una sorta di equivalenza, la coppia qui e ora entra in crisi. Heidegger, filosofo oggi assai letto nel mondo, nel chiamare esserci l’esistenza umana, designa un modo di abitare o di pensare in via di estinzione. Il concetto teologico di ubiquità – la capacità divina di essere ovunque – descrive meglio le nostre possibilità rispetto al funebre qui giace.

Un altro modo di interpretare il gesto di immagazzinare: depositare informazione su pergamena, carta stampata o supporto elettronico significa costruire una memoria. I nostri antenati assomigliavano agli attori di oggi che sono in grado di recitare a memoria migliaia di versi o di sostenere altrettante repliche. Simili eroismi superano ormai la nostra capacità. Man mano che costruiamo memorie performanti, perdiamo la nostra, quella che i filosofi chiamavano una facoltà. Possiamo davvero dire: perdere? Niente affatto, perché il corpo deposita, a poco a poco, quell’antica facoltà nei supporti mutevoli; cervicale e soggettiva, essa si oggettivizza e si collettivizza. Una stele di pietra, un rotolo di papiro, una pagina di carta: ecco memorie materiali, in grado di dare sollievo alla nostra memoria corporea. Era vero per le biblioteche, lo è ancora di più per la rete, memoria globale ed enciclopedia collettiva dell’umanità.

Secoli fa cantastorie, aedi, gli apostoli di Gesù, gli interlocutori di un dialogo di Platone, anche uno studente della Sorbona medievale, potevano ripetere a distanza di anni, senza omettere una sillaba, i discorsi di un maestro o di un oratore uditi da giovani. Al riparo dagli errori di copisti troppo interventisti, la tradizione orale tracciava una via più sicura rispetto alla trasmissione scritta. I nostri predecessori coltivavano dunque la loro memoria e disponevano di sottili strategie mnemotecniche. Man mano che prendevamo note o
leggevamo stampati, non tanto abbiamo perso quella facoltà quanto l’abbiamo depositata nei libri e nelle pagine. Così come la ruota fu ispirata dal corpo, dalle caviglie e dalle rotule in rotazione nella marcia, allo stesso modo l’immagazzinamento dell’informazione prese le mosse da funzioni cognitive antiche. Al contrario degli animali, bloccati in un organismo senza “secrezione” di questo tipo, noi non cessiamo di riversare le nostre prestazioni corporee in strumenti prodotti a partire da esse. Perdiamo la memoria perché ne costruiamo di multiple.

Ci uniamo qui ai piagnoni antichi e moderni, i cui discorsi e testi deplorano la perdita dell’oralità, della memoria, della concettualizzazione e di tante altre cose preziose per i nostri avi. In realtà la perdita della memoria, nell’epoca che seguì quella in cui si declamavano a mente i poemi di Omero, liberò le funzioni cognitive dal carico impietoso di milioni di versi; apparve allora, nella sua semplicità astratta, la geometria, figlia della Scrittura. Allo stesso modo nel Rinascimento una perdita ancora più importante sollevò i saggi dallo schiacciante obbligo della documentazione, che allora si chiamava dossografia, e li riportò bruscamente alla nuda osservazione che fece nascere le scienze sperimentali, figlie della stampa. A bilancio, i vantaggi prevalgono in maniera preponderante sui pregiudizi, poiché in tali circostanze nacquero due altri mondi, che permisero di comprendere questo. Sapere consiste allora non più nel ricordare, ma nell’oggettivare la memoria, nel depositarla negli oggetti, nel farla scivolare dal corpo agli artefatti, lasciando la testa libera per mille scoperte. Ho impiegato molto a capire che cosa volesse dire Rabelais, quando i professori mi obbligavano a dissertare sulla celebre frase: Preferite una testa ben fatta a una testa piena.

Prima di poter allineare i libri nella loro libreria, Montaigne e i suoi antenati dotti dovevano imparare a memoria l’Iliade e Plutarco, l’Eneidee Tacito, se volevano averli a disposizione per meditare. L’autore degli Essais li cita ormai ricordandosi solo del loro posto sugli scaffali per consultarli: quanta economia! All’improvviso la pedagogia, che quel Rinascimento auspica, vuoterà la testa un tempo piena, e ne modellerà la forma senza preoccuparsi del contenuto, ormai inutile in quanto disponibile nei libri. Liberata della memoria, una “testa ben fatta” si volgerà ai fatti del mondo e della società per osservarli. Rabelais, in quella frase, in realtà, loda l’invenzione della stampa e ne trae lezioni educative. Decisamente, bisogna riscrivere
Pantagruel o gli Essais.

Come vecchi cadenti, i bambini di oggi non ricordano neppure la trasmissione vista ieri sera in televisione. Quale scienza immensa promuoverà quest’altra perdita di memoria? Questo sapere recente si può già apprenderlo o almeno visitarlo sulla rete, come il nuovo oblio l’ha già modellato. Sì, l’enciclopedia, la cui rete mondiale gronda informazioni singolari, ha appena cambiato paradigma, sotto l’effetto della nuova liberazione. Il nostro apparato cognitivo si libera anche di tutti i possibili ricordi per lasciare spazio all’invenzione. Eccoci dunque consegnati, nudi, a un destino temibile: liberi da ogni citazione, liberati dallo schiacciante obbligo delle note a piè di pagina, eccoci ridotti a diventare intelligenti!

Come nel Rinascimento, giungono una nuova scienza e una nuova cultura, i cui grandi racconti producono un’altra cognizione che li riproduce a loro volta arricchiti. Questo cambiamento d’intelletto ha avuto luogo più volte nella storia, ad esempio quando arrivarono i modelli astratti della geometria o gli esperimenti in fisica, quando appunto cambiavano le tecnologie. Così la storia della filosofia e la storia stessa, tributarie della storia della conoscenza, seguono quella dei supporti.
di MICHEL SERRES
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Le biblioteche al tempo di Google (e dei tagli alla cultura)

biblioteche“Le biblioteche italiane non possono limitarsi a difendere i servizi esistenti, sempre più minacciati da tagli ripetuti dei loro bilanci: occorre ripensare il ruolo della biblioteca, cercare forme di organizzazione e di finanziamento differenti. Questa sarà la sfida dei prossimi anni”.
Con questo accorato appello si conclude l’ultimo denso saggio di Antonella Agnoli, Caro Sindaco, parliamo di biblioteche (Editrice Bibliografica, pp. 140, € 12,00), concepito come una lunga lettera ai Sindaci delle città italiane.
In questo prezioso volumetto l’autrice, da anni impegnata nel settore con studi, pubblicazioni specialistiche (a partire dall’importante Le piazze del sapere. Biblioteche e libertà, uscito qualche anno fa per Laterza), articoli sui giornali, ma anche come operatrice sul campo (ha avuto tra le altre cose il merito di concepire la biblioteca San Giovanni di Pesaro, uno degli interventi più innovativi realizzati negli ultimi anni nel nostro Paese), ribadisce e rilancia l’importanza di queste fondamentali istituzioni, anche nell’epoca di Internet e di Google. Che ancora, ad esempio, sono in grado di svolgere la loro cruciale funzione di conservazione del sapere nel lungo periodo meglio di qualunque dispositivo digitale, la cui memoria è strutturalmente “volatile”. “La rete – scrive a questo proposito Agnoli – permette di accedere facilmente a una grande quantità di informazioni, ma non ne garantisce l’integrità e la permanenza: che succede quando certi contenuti scompaiono, perché registrati su formati in disuso, su macchine non più disponibili, o su siti web chiusi?”. E anche perché, dato che “all’aumento delle possibilità di accesso non corrisponde una parallela crescita delle capacità di comprensione e uso dei contenuti”, ci sarà sempre bisogno di “luoghi fisici di formazione e di consultazione che permettano di orientarsi nella società dell’informazione”, come sono appunto le biblioteche.
Oltre a questo difficile compito, queste strutture dovrebbero per l’autrice costituire anche una sorta di presidio civile, di laboratorio per il civismo, la tolleranza, l’integrazione e il multiculturalismo. Un elemento cardine di un “welfare avanzato”, in grado di dare risposte a bisogni nuovi e sempre più differenziati dei cittadini.
Il problema fondamentale però, al solito, è quello delle risorse e degli investimenti. Le biblioteche “di pubblica lettura” (diverse dalla biblioteche che conservano i libri di valore storico) ricadono, dal punto di vista economico e gestionale, tutte sulle spalle degli Enti locali e in particolare dei Comuni. Con i terribili tagli di questi anni, un sistema già fragile – e peraltro assolutamente sottodimensionato rispetto a quelli degli altri Paesi a noi confrontabili – rischia di collassare definitivamente. Per fronteggiare questa deriva, l’autrice, nella seconda parte del libro, suggerisce una serie di utilissimi accorgimenti per la buona progettazione delle biblioteche, ma anche per il loro migliore funzionamento, e infine per il reperimento di risorse. Resta il fatto però che, in questo come in altri casi, senza un forte rilancio degli investimenti pubblici, che non potrà che coinvolgere il livello statale, per i Comuni sarà difficile, anche con le migliori intenzioni, assicurare un futuro a queste gloriose e indispensabili strutture.
di Vincenzo Santoro
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