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Specie erbacee spontanee mediterranee – il documento ISPRA che vale chili di semi d’oro

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Che piacere si prova a guardare un deserto di prato verde falciato ad uno, due, tre centimetri. Forse una vertigine da horror vacui? Non lo capisco. Posso comprendere lo stimolo di correrci sopra all’impazzata, come risposta alla necessità di sfogo prodotta da una città con sempre meno spazi dedicati al cammino, al passeggio, alla vita sociale. Ma non vedo nessun piacere derivante dalla contemplazione estetica di una lucida operazione di sterilizzazione biologica. Il continuare a voler mantenere a tutti i costi un prato all’inglese nel clima mediterraneo credo sia possibilmente associabile ad una pulsione assillante, una deviazione dell’intelletto che sa di fredda disinfestazione, di pulizia fitosociologica e zootecnica simile a quella etnica, derivata dall’ossessione di mantenere l’ordine prefissato da parte di alcuni popoli guidati da individui non capaci di intendere, in risposta ai cambiamenti repentini del secolo XX.

Per fortuna esistono persone facoltose di conoscenza che con acume hanno saputo cogliere la palla al balzo e produrre un documento utilissimo emaestoso nella sua completezza, in aiuto di chi opera per il mantenimento del “verde” (è una parola che ci fa schifo, ma la usiamo per la sua immediata comprensione) nelle nostre città.
Questo documento apre all’incirca così:

“il Manuale Specie erbacee spontanee mediterranee per la riqualificazione di ambienti antropici rappresenta un tempestivo ed esauriente supporto tecnico a quanto definito nell’area di lavoro dedicata alle Aree Urbane della Strategia Nazionale per la Biodiversità.”

Questa piccola bibbia del naturalista urbano sembra essere stata realizzata per correre a riparare i danni potenziali della legge 10 del 2013 “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”, un testo redatto da politici senza competenze specifiche che, nonostante il buon fine a cui è preposto, potrebbe fare più danni di quelli che riuscirebbe a risolvere se non interpretato da professionisti che sanno come applicare tale legge. Ne parlammo in un articolo scettico un anno fa’.

Quindi, “specie erbacee spontanee mediterranee per la riqualificazione di ambienti antropici” è, a mio avviso, un ottimo passo verso una più consapevole progettazione del paesaggio, volta a garantire un aumento della biodiversità in ambiente urbano ed il contemporaneo miglioramento estetico, ecologico e funzionale del paesaggio che incontriamo tutti i giorni uscendo di casa.
Il testo è stato prodotto da ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ed alla sua scrittura hanno collaborato:

Stefano Benvenuti (Università di Pisa, Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie), cap. 7 e 9
Francesca Bretzel (CNR Istituto per lo Studio degli Ecosistemi sede di Pisa), cap. 4, 5, 6, 8 e 9
Rosa Di Gregorio (Università di Catania, Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e alimentari), cap. 10
Beti Piotto (ISPRA, Dipartimento Difesa della Natura), cap. 7
Daniela Romano (Università di Catania, Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e alimentari), cap. 1, 2, 3, 4, 5, 8 e 10

Una parte dell’introduzione che ci è molto piaciuta è stata questa:

“L’uso delle specie erbacee mediterranee nelle aree urbane e/o degradate rappresenta un’opportunità alla quale possiamo aderire sia a livello di singolo cittadino, a partire dal cortile delle nostre abitazioni, sia a livello di professionista o di istituzione, contribuendo alla conoscenza e conservazione della flora nazionale.”

Questa idea, giusta e condivisibile, mi ha fatto sorridere perché ha resuscitato le immagini degli esperimenti, vani ed a se stanti per la verità, dei vari gruppi assimilabili al movimento Green Guerrilla. Composti da giovani paesaggisti, naturalisti o semplici amanti del “verde”, che si auto-eleggono paladini della natura, vanno spesso raccattando piantine nei supermercati e le piantano in piccole aree degradate cittadine a scopo dimostrativo. Quale scopo? Quello dell’omologazione al geranio rosso? Oppure rosa?
Altre volte organizzazioni parallele sono fautrici della realizzazione di orti urbani come ricordo del passato della nostra cultura. Quale passato mi chiedo? Quello autarchico della riforma agraria fallimentare fascista?
Ed allora mi tornano in mente ancora una volta le parole del libro Uomini e piante di Lucilla Zanazzi che potete leggere in questo articolo. Frasi, quelle di Lucilla, che raccontano di come sarebbe bello se nelle scuole, invece degli orti didattici ci fossero i pratoni didattici, composti di tante specie di fiori selvatici spontanei, quelli che fanno arrivare le farfalle e le api e che quando appassiscono, dopo aver prodotto i semi, fanno arrivare i coleotteri e gli uccelli a banchettare.

Ed ecco che il documento ISPRA, nella parte dedicata alla “didattica ambientale e valenza socio-culturale” viene in aiuto di questo pensiero di Lucilla:
“Il prato di fiori spontanei, oltre che nell’educazione scolastica, ha una valenza molto interessante in altri ambiti. Per il loro valore, le specie utilizzate, che richiamano il territorio, il paesaggio rurale, le usanze popolari, creano aggregazione sociale e interesse culturale nei cittadini fruitori. Per questo motivo possono essere impiegate con successo in contesti dove sia importante l’elemento umano: aree verdi di parchi didattici, giardini di ospedali, associazioni di volontariato, orti sociali e così via. Le specie che attirano di più visitatori nettarifagi sono interessanti anche per creare delle piccole oasi di biodiversità negli spazi dedicati a orti sociali.
Molti insetti attratti dai fiori, infatti, sono benefici per il controllo biologico di fitofagi; un esempio su tutti sono i sirfidi, ditteri le cui forme giovanili sono predatrici di afidi, parassiti di numerose ortive. Le forme adulte dei sirfidi stessi sono assidui frequentatori dei fiori di calendula, viola e papavero.”

Se il manuale ISPRA si fosse fermato a declamare l’importanza della diffusione di specie di fiori selvatici ed all’elencazione della loro scheda botanica, sarebbe stato incompleto. Ed invece la parte più importante del testo è proprio quella dedicata all’uso di queste specie autoctone italiane, ed al fatto che, vista la variabilità del clima italiano a seconda delle regioni, ogni città potrebbe avere un paesaggio unico suggerito dalle specie che più si adattano all’indole locale.
E’ ovvio anche che l’applicazione del principio di utilizzo dei pratoni composti da fiori selvaggi e spontanei attraverso la progettazione del paesaggio, non va applicata ad aree troppo vaste. Se pensiamo a Roma, i meravigliosi pratoni spontanei delle periferie, specialmente quelli mantenuti dalla pastorizia, non hanno bisogno di semine di miscugli a meno che non si tratti di suoli pregiudicati da inquinanti chimici o da lunghi periodi di inattività vegetale che rende inospitale il substrato.
La cosa più bella dei pratoni è che in teoria non hanno bisogno di manutenzione, una volta che il loro ciclo di ri-naturalizzazione sia andato a regime. Non hanno bisogno di innaffiatura, con ovvi risparmi sia economici che ecologici e, se non si trovano in aree in cui vi è rischio per la vita umana, non hanno bisogno di falciatura ed anzi spesso si giovano degli incendi estivi che ne auto-regolano la vita.
Anche dove necessario, lo sfalcio può essere ridotto al minimo, da una a quattro volte all’anno, giusto per controllare la crescita di piante invasive e malerbe.
Gli usi delle specie di fiori selvatici sono molteplici e molto mirati. Ne elenchiamo i più interessanti.

Ripristino ambientale e restauro ecologico
“I prati fioriti, però, possono costituire anche un’alternativa alla vegetazione ornamentale omologata di giardini e parchi pubblici e privati (…)
Secondo Gilbert e Anderson (1998), è questo (quello della rinaturalizzazione di siti antropizzati) un processo difficile e anche soggetto a fallimenti in ambiente naturale, ma il suo valore cambia quando ci si trova in ambiente antropizzato. Ricostituire habitat in zone antropizzate non solo non interferisce con i processi naturali, ma implica un importante risultato in quanto rappresenta l’inversione di una tendenza di sfruttamento dell’ambiente che è in atto da lunghissimo tempo. (…)
La creazione di habitat, oltre a migliorare la biodiversità animale e vegetale, e quindi a dare una maggior stabilità ai sistemi biologici, può assicurare dei vantaggi di interesse scientifico (salvaguardia di specie rare e/o in via di estinzione), economico (creazione di paesaggi con minimo budget iniziale e spese di mantenimento quasi nulle) e sociale (creazione di spazi verdi in aree spesso depresse).
Nella pratica, la realtà di interventi di questo tipo oscilla fra due possibilità agli antipodi: l’arredo o l’abbandono. Nel primo caso lo studio biologico-naturalistico assume un ruolo spesso marginale e il progettista mira ad occultare ferite nel territorio o a mitigare l’effetto antiestetico di infrastrutture.
D’altra parte l’abbandono non ha altro effetto se non quello di ignorare il problema: in tali condizioni la natura già disturbata non riesce a ripristinare il controllo su una determinata area a causa dei fattori critici; le associazioni vegetali spontanee e ruderali che si instaurano non riescono ad evolvere verso stadi più complessi (Lassini e Ballardini, 1990) e sono comunque di basso livello estetico e di scarsa fruibilità.Forme intermedie tra i due estremi, arredo e abbandono, guidano quelli che sono gli attuali studi su queste tematiche e vertono sulla scelta di insediare associazioni naturali, presenti nel territorio circostante, che possano evolvere verso sistemi più complessi senza la necessità di interventi diversi da un moderato mantenimento; (…)
Il restauro ecologico si rivolge anche al recupero di ambienti agricoli abbandonati, ovvero i prati polifiti semi-naturali, che derivano dalla attività agricola tradizionale di allevamento estensivo di erbivori. In tutta Europa questi prati misti, luoghi di grandissima diversità biologica, sono andati scomparendo a causa dell’abbandono dell’attività di pastorizia in favore dell’allevamento intensivo e sono inoltre minacciati dagli apporti di azoto meteorico; col tempo tale elemento, pur se presente in piccole quantità nelle piogge, tende ad accumularsi, provocando così la diminuzione del numero di specie che costituiscono il prato.”

Wildflower strips
“Una delle strategie agronomiche più efficaci per contrastare il declino della biodiversità e ripristinare le ormai rare interazioni mutualistiche flora-entomofauna è quella basata sulla semina di specie entomogame in apposite strisce ai margini della coltura, che vengono definite “wildflower strips”. Le piante entomogame possono costituire, infatti, una disponibilità alimentare per molti insetti impollinatori in virtù dell’abbondante produzione di polline e/o nettare che le caratterizza (Fenster et al., 2004). Le wildflower strips sono realizzate soprattutto ai margini di colture estensive di cereali autunno-vernini”

Tetti e pareti verdi
“Il crescente desiderio di migliorare il livello di confort psicologico ed ecologico dell’ecosistema urbano ha recentemente stimolato la ricerca verso lo studio di soluzioni architettoniche e agronomiche in grado di collocare il verde persino in aree un tempo impensabili. In questo ambito sono crescenti le esperienze di sistemi di collocazione della vegetazione sia su materiali edilizi orizzontali (“tetti verdi”) che verticali (“muri viventi”).(…)
Tra tutte le specie potenzialmente utilizzabili, quelle a fiore assumono un ruolo di primaria importanza sotto un profilo estetico-paesaggistico. Molti wildflowers diffusi in luoghi erbosi sono stati testati con sostanziale successo nel Nord Europa. In queste aree, l’assenza di periodi di prolungata siccità, unitamente ad una domanda evapotraspirativa non elevata, ha consentito, infatti, a molte specie di completare il ciclo biologico anche in tipologie di verde pensile di tipo estensivo senza il ricorso a consistenti apporti idrici. Purtroppo, in ambiente Mediterraneo le condizioni di prolungato stress idrico estivo limitano fortemente le specie utilizzabili. Ciò non deve però scoraggiare, dal momento che in città molte specie riescono a vegetare naturalmente su materiale edilizio privo di qualsiasi accorgimento protettivo.(…)
Poter percepire differenze nel verde delle varie città, in funzione delle rispettive differenze pedo-climatiche, costituisce un valore aggiunto alle peculiarità storiche, culturali e artistiche. In altre parole, le associazioni floristiche che si sono evolute in un determinato sistema paesistico risultano un patrimonio da valorizzare (Hitchmough, 1994) in ambito cittadino, al fine di consentire la vera percezione dello spazio (collocazione geografica delle peculiarità pedo-climatiche) e del tempo (dinamica delle fioriture nei vari periodi dell’anno), analogamente a quanto accadeva in passato, quando l’uomo era a stretto contatto con il paesaggio rurale.

Non so voi cosa ne pensiate, ma credo che ricorrerò spesso al manuale e che lo sostituirò definitivamente ai testi dello pseudo filosofo Gilles Clément. Ah, il Manuale Specie erbacee spontanee mediterranee per la riqualificazione di ambienti antropici potete scaricarlo qui.

Chiudo con questa ricca lista di specie inclusa nel testo…..

Elenco di specie impiegate in progetti per la realizzazione di prati fioriti in ambito scolastico.
Agrostemma brachyloba (Fenzl) Hammer, Caryophyllaceae Medio oriente
Agrostemma githago L., Caryophyllaceae Europa
Ammi majus L., Umbelliferae Europa
Chrysanthemum carinatum Schousboe, Asteraceae Europa
Clarkia unguiculata Lindl., Onagraceae America
Cyanus segetum Hill, Asteraceae Europa
Dimorphotheca sinuata DC., Asteraceae Sud Africa
Eschscholzia californica Cham., Papaveraceae Nord America
Gilia tricolor Benth., Poleminiaceae Nord America
Glebionis segetum (L.) Fourr., Asteraceae Europa
Linaria maroccana Hook. f., Scruphulariaceae Marocco
Linum grandiflorum Desf. ‘Rubrum’, Linaceae Africa
Matricaria chamomilla L., Asteraceae Europa
Mentzelia lindleyi Torr. & Gray, Loasaceae Nord America
Nigella damascena L., Ranunculaceae Europa
Papaver rhoeas L. subsp. rhoeas, Papaveraceae Europa
Papaver rhoeas L. subsp. rhoeas ‘Shirley’, Papaveraceae Europa
Phacelia campanularia Gray, Hydrophyllaceae Nord America
Rudbeckia amplexicaulis Vahl, Asteraceae America
Silene armeria L., Caryophyllaceae Europa
Trifolium incarnatum L., Leguminoseae Europa
Xeranthemum annuum L., Asteraceae Turchia

Francesco Tonini

www.paesaggiocritico.com

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