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Periferie geografiche e sociali

Occuparsi di periferie e di degrado paesaggistico ed ambientale significa occuparsi della qualità della vita. E’ uno dei traguardi dell’obiettivo 11 dell’Agenda 2030
Ci sono anche le periferie nell’Agenda 2030. L’agenda 2030 è infatti un programma d’azione che guarda alle persone e, pertanto, agli ambienti in cui queste persone vivono e sviluppano le relazioni sociali. La città è dunque fondamentale e l’obiettivo 11 “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili” è affascinante, oltre che importante.

Vedo la necessità di attivare in città cantieri di idee e di lavoro, operando con gli abitanti di tutte le fasce di età. Delineare il nuovo futuro delle città (nel 2030 si prevedono 41 megalopoli con oltre 10 milioni di abitanti) significa incidere sempre più sul mondo e contribuire così all’obiettivo fascinoso associato a tutta Agenda 2030, cioè “Trasformare il nostro mondo”.
Una visione d’insieme

Non riesco a vedere distaccati i 17 obiettivi e i 169 traguardi, che ho letto con profonda volontà di sapere cosa i grandi del mondo hanno pensato. Mi consola sapere che se solo si riuscisse a centrare alcuni di questi obiettivi, avremmo un mondo migliore in cui far attecchire gli altri, generando un processo catalizzatore verso il futuro. Come ricordato nell’Agenda 2030, “Gli obiettivi e i traguardi stimoleranno nei prossimi 15 anni interventi in aree di importanza cruciale per l’umanità e il pianeta”.

I grandi della Terra hanno scritto “Noi immaginiamo un mondo libero dalla povertà, dalla fame, dalla malattia e dalla mancanza, dove ogni vita possa prosperare… Un mondo dove gli insediamenti umani siano sicuri, resistenti e sostenibili e dove ci sia un accesso universale ad un’energia economicamente accessibile, affidabile e sostenibile”. Un obiettivo sicuramente difficile da raggiungere, ma lavorando dal basso e assumendo come sub-obiettivi i singoli traguardi individuali possiamo farcela.
Can our cities survive?

José Luis Sert ha affascinato tanti con un libro che ho letto oltre 30 anni fa: Can our cities survive (un volume pubblicato negli Stati Uniti nel 1942 e dedicato ai temi urbanistici emersi al Congresso Internazionale per l’Architettura Moderna del 1937). Un abbiccì dei problemi urbani, con la loro analisi, le loro soluzioni. Oggi assistiamo alla riproposizione di temi fondamentali: le città dovranno sopravvivere perché in loro è il futuro dell’umanità, in quanto in esse si concentrerà la popolazione mondiale.

Ecco perché i 10 traguardi dell’obiettivo 11 individuano precisi compiti a cui non possiamo sottrarci, e puntano, per quanto ci riguarda, a recuperare il ritardo sulla spesa di risorse ”pronte” e “spendibili” e rivenienti dall’Unione Europea. Fa rabbia osservare che la quasi totalità delle risorse da spendere nel triennio 2014-2016 sono ferme, utilizzate solo in minima parte per alimentare i costi di una macchina pubblica che fa spesa e non investimenti.
Partire prima del 2030: il primo traguardo

E quindi occorre partire “prima del 2030” e dare il via ai bandi per la rigenerazione di nuove città e quartieri degradati, per costruire nuovi alloggi “adeguati, sicuri e convenienti” e garantire “servizi di base e riqualificare i quartieri poveri”, come prevede il traguardo 1 dell’obiettivo 11. E per massimizzare i risultati della spesa occorre dare spazio alla progettualità vera, quella che nasce dal basso e con la gente (come dice il sociologo Giandomenico Amendola), e da cui possono poi nascere i singoli progetti affidati a tecnici scelti per qualità e competenza, realizzati poi da imprese individuate per vera capacità e con trasparenza.

Occorre innescare quel processo virtuoso che dalla progettualità conduce al progetto e poi alla realizzazione, con una profonda bonifica della macchina pubblica e politica che consenta di risparmiare quel 50% circa di risorse che si perdono in tangenti e sprechi.
Il secondo traguardo: trasporti a misura di persona

Un traguardo ambizioso è anche il secondo, quello che punta, entro il 2030, a “garantire a tutti l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile, migliorando la sicurezza delle strade, in particolar modo potenziando i trasporti pubblici, con particolare attenzione ai bisogni di coloro che sono più vulnerabili, donne, bambini, persone con invalidità e anziani”. E l’attenzione all’uomo è evidente leggendo gli altri traguardi, perché la città è il luogo principe dello sviluppo delle relazioni sociali ed in cui si esplica la costruzione del futuro, che passa anche da un’organizzazione della città inclusiva e sostenibile, che possa anche “potenziare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo”.
Le periferie sociali: Leave no one behind

Ritorna poi, con i successivi traguardi, un’esplicita attenzione ai poveri e alle persone più vulnerabili, bambini, anziani, diversamente abili, donne, nonché attenzione all’impatto associato alle attività umane. Infatti, se nelle città si concentrerà la maggior parte delle persone, è dalle stesse che deve nascere una differente gestione dei rifiuti, dell’acqua, dell’energia. Anche questo rientra nel motto stesso dell’Agenda 2030, che esorta a non lasciare nessuno indietro: leave no one behind.
Periferia di Lucera: un “non luogo” da rivitalizzare

Ovviamente la città è parte di un più vasto territorio con cui entrare in sintonia sviluppando le relazioni con il contesto rurale in cui la stessa si inserisce, con un diverso rapporto città-campagna, rafforzando i legami con le aree periurbane e rurali, attraverso un rafforzamento della pianificazione. Tutto questo deve poi costituire best practice per consentirne l’esportazione e l’applicazione in altri contesti e nei paesi meno sviluppati, anche fornendo assistenza tecnica e finanziaria, nel costruire edifici sostenibili e resilienti utilizzando materiali locali.
Dalle periferie del degrado ambientale alla progettazione partecipata

L’errore che occorre evitare di commettere è comunque quello di vedere gli obiettivi (ed i traguardi agli stessi associati) staccati e non integrati fra loro attraverso relazioni dirette e/o indirette. È così, guardando già ai primi obiettivi, che si massimizzano i risultati, incidendo con la rigenerazione delle città sulla “Povertà zero”, sulla “Fame zero”, come anche su “Salute e benessere” associati alle nuove città. Occuparsi infatti di periferie e di degrado paesaggistico ed ambientale significa occuparsi della qualità della vita.

In un recente articolo su Ambient&Ambienti ho infatti ricordato che la periferia è emarginazione “quando abbiamo progettato le città senza cuore ed affetto, oppure quando siamo stati politici ed abbiamo pensato alle vie dei salotti dimenticando le vie in cui c’è anche la gente semplice. O quando da giornalisti abbiamo parlato delle periferie solo in senso negativo, tralasciando di raccontare quando la gente richiede aiuto, manifesta difficoltà, chiede case, acqua, fognatura, illuminazione, giochi, contenitori per favorire la presenza di vita attiva.”
Visioni di città e progettazione partecipata

Per questo abbiamo bisogno sempre più delle “visioni” di città (per vedere oltre, dove pochi vedono, e lasciarci guidare da queste) e dobbiamo parlare di progettualità attraverso una progettazione partecipata, ottenendo adesione e ricevendo quel conforto che giustifica la voglia di continuare a costruire le città del futuro, con i servizi che servono per generare ricchezza da distribuire a chi ne ha bisogno.
Il “diritto alla città”

E di città del futuro se ne è parlato nell’ottobre 2016 a Quito, dove 193 stati hanno sottoscritto la Nuova Agenda Urbana come atto fondamentale della conferenza Habitat III, un’agenda che presenta nuove e più ampie strategie per le città al fine di incidere su queste nei prossimi vent’anni. E così, tra città compatte e trasporti pubblici sostenibili, si guarda al futuro e alla prevenzione di nuove favelas, nuove megalopoli di decine di milioni di abitanti, in cui i valori umani e l’attenzione all’altro rischiano di scomparire per sempre.

Nell’Agenda Urbana si propongono 5 punti e numerosi sotto-punti e si parla per la prima volta di “diritto alla città” (right to the city): si parla insomma di città per la gente e non per l’economia e si richiama la necessità di una visione condivisa dei principi e impegni della nuova Agenda urbana. Entusiasmante è quanto scaturisce dall’ Agenda di Quito, letta in stretta connessione con Agenda 2030: le città e gli insediamenti umani devono essere per tutti, garantendo la città per tutti, la parità dei diritti, il diritto alla casa, sistemi sociali e civili funzionali, parità di genere, una mobilità urbana accessibile per tutti, una gestione delle catastrofi e la capacità di recupero.

Insomma da Agenda 2030 si legge una vision importante che merita una traduzione operativa che dipende da noi e dalla nostra capacità di tradurre in realtà le visioni: tutto ciò è necessario e non rinviabile, al fine di prevenire delle rivoluzioni.

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