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Nuova Babilonia, la città fluida dei nomadi digitali

Dall’utopia di Constant, concepita ad Alba 60 anni fa, alla Senseable City aperta alla condivisione, in cui ognuno è libero di muoversi e decidere dove vivere
La meno conosciuta delle rivoluzioni urbane del XX secolo iniziava esattamente sessant’anni fa, per caso, in un campo nomadi alla periferia di Alba, nelle Langhe. È qui che Constant Nieuwenhuys, l’artista olandese per tutti noto come Constant, passeggiando su un appezzamento di terreno di proprietà dell’amico pittore Pinot Gallizio, ebbe un’intuizione che avrebbe cambiato il nostro modo di guardare alle città, al loro funzionamento e alla loro bellezza. In quelle settimane, su quel terreno ai bordi del fiume Tanaro era ospitato un gruppo di Sinti. Avvicinandosi alla comunità, e osservandone i ritmi, Constant intravide la possibilità di un’architettura nuova, al cui interno immaginare un’esistenza condotta in movimento perpetuo.
In altre parole, quel giorno d’autunno del 1956, ad Alba, era stato piantato il primo seme di New Babylon (la Nuova Babilonia): l’utopia urbana e artistica su cui Constant avrebbe lavorato nei vent’anni successivi. Nei tanti disegni e modellini oggi conservati al Gemeentemuseum dell’Aia, New Babylon si presenta come un insediamento esteso all’infinito: una rete di enormi piattaforme sopraelevate che attraversano l’intera Europa. Una via di mezzo tra una grande autostrada abitata e un intreccio di scale, vele e impalcature. In questo «campo per nomadi su scala planetaria» ogni individuo avrebbe potuto condurre un’esistenza fluida, libero di riconfigurare sia il suo luogo di residenza, sia il suo spazio domestico, sia la sua attitudine al lavoro. New Babylon sarebbe stata abitata da un uomo nuovo – chiamato Homo ludens riprendendo la definizione dello storico olandese Johan Huizinga – la cui vita flessibile avrebbe abbattuto ogni distinzione tra lavoro e arte.
L’architettura dinamica
A sessant’anni di distanza, il lavoro di Constant appare oggi più che mai attuale: capace di anticipare in modo straordinario alcuni paradigmi che definiscono la vita del XXI secolo, quali la mobilità a basso costo o l’ibridazione tra lavoro e tempo libero. Fino all’idea – fondamentale – che la città si possa rappresentare come una trama di flussi. A partire dalla New Babylon, dire «architettura dinamica» non è più un ossimoro.
In quegli stessi anni il sociologo francese Paul-Henry Chombart de Lauwe aveva realizzato, con gran fatica, una mappa di tutti i movimenti di una studentessa a Parigi durante un intero anno. La povera ragazza, tracciata nel suo peregrinare ricorrente tra casa borghese nel XVI Arrondissement, scuola a Sciences Po e lezioni di piano, era poi diventata un facile sberleffo del Sessantotto. Oggi, grazie al Gps e servizi come la Location History di Google, quella mappa è disponibile in potenza per ciascuno di noi.
Insomma, nell’epoca digitale i flussi ci circondano. E proprio a partire da una loro analisi possiamo capire meglio la nostra città, odierna Babilonia. Come Constant aveva intuito, i flussi sono oggi uno dei soggetti di indagine più importanti per il futuro dell’architettura: proprio per questo li ritroviamo al centro di molti progetti su cui abbiamo lavorato negli ultimi anni, sia al Senseable City Lab del Mit, sia presso lo studio Carlo Ratti Associati. Uno dei nostri obiettivi è proprio quello di capire come riprogettare lo spazio a partire dalle scie di dati che la quotidianità lascia dietro di sé, in proporzioni crescenti.
Il mondo di Homo ludens
Ad esempio nell’estate 2006, con il progetto «Real Time Rome», abbiamo usato i dati dalla rete cellulare di Roma per interpretare la mobilità locale. Erano le ore della finale dei campionati mondiali di calcio: quella sera, con meraviglia, abbiamo iniziato a vedere milioni di persone palpitare e muoversi in sincrono. Era la prima volta che informazioni di questo tipo – Big Data alla scala urbana – venivano usate per leggere la città. Il disegno della metropoli in festa sembrava dare forma a un unico cuore pulsante – richiamando quell’idea, cara a Jorge Luis Borges, che le strade della città «sono le viscere dell’anima mia».
Constant sognava che ogni stanza dell’Homo ludens potesse essere rimodulata e riconfigurata – secondo un ventaglio di luci, pareti mobili o scale. Anche questo è per noi un campo di ricerca, che parte sempre dal flusso dei dati per dargli forma costruita. L’idea che l’architettura possa diventare come una terza pelle, sincronizzandosi con le nostre esigenze, ci sta guidando nei progetti di nuovi ambienti di lavoro a Singapore come a Torino.
Quale nome dare a questa nuova metropoli progettata a partire dai flussi? La definizione che più ci piace è Senseable City: una città che sente i dati, e che è allo stesso tempo una città sensibile, vicina all’uomo e al suo bisogno di bellezza. Si tratta di un ambiente aperto, portato alla condivisione, in cui ognuno è libero di muoversi e decidere dove vivere. Una città che deve non poco alla Nuova Babilonia.
Sempre più forte, in rete, assistiamo al crescere di una nuova generazione creativa – di programmatori, makers, scrittori – che si ribattezzano «nomadi digitali». Questi ragazzi, forse senza saperlo, stanno a loro volta dando nuova linfa proprio alle idee di Constant. Lavorando e allo stesso tempo svagandosi: una settimana in un co-working su una spiaggia della Tailandia, un giorno in un caffè a Città del Messico, un mese in una stanza di AirBnB in un villaggio norvegese. Provando, insomma, a realizzare le speranze dell’Homo ludens. Non soltanto nelle grandi metropoli, ma anche nelle discrete periferie del mondo – un po’ come accadde ai margini di Alba, quel giorno d’autunno del 1956.

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