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Leggendo insieme sulla sharing sull’Espresso

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“La reputazione online diventa la vera carta d’identità di ciascuno”, “l’esclusività di un servizio in cui il pubblico controlla e programma è irrimediabilmente finita, perché in piccolo riproduce un modello, l’economia di piano, che la storia ha, alla grande, seppellito” tra questi due assiomi s’installa la sharing economy.
Terra dell’utopia o illusione del lusso e del superfluo alla portata di tutti?
Perché occorre trovare una risposta?
Non sono il lusso e l’utopia le due facce della stessa medaglia depurata dalle stanche rappresentazioni delle vecchie e stantie identità ideologiche?
Se, come dice Habermas, “è la percezione che determina la realtà” cosa importa che l’abito firmato che indosso nella limousine extralarge che mi trasporta al party a casa dell’artista di grido sia tutta roba noleggiata o (più politicamente correct) condivisa?
L’importante è che “uomini e donne producono e consumano tra di loro a un costo marginale vicino allo zero, dove non conta il prodotto interno lordo, ma dove aumenta il benessere economico, la qualità della vita, la democratizzazione del sistema economico in generale perché gli sforzi saranno concentrati, e così la nuova occupazione, per rendere accessibili a tutti le piattaforme della sharing economy, l’automazione, le grandi reti del traffico digitale e delle energie alternative”
E allora la questione politica (se proprio è necessario che ci sia una questione politica) è che “bisogna dare più potere agli utenti rispetto alle piattaforme…per esempio facendo in modo che un utente possa facilmente passare da una piattaforma a un’altra portando con sé le sue recensioni e giudizi. In questo modo gli utenti non si sentirebbero più bloccati su Uber o su Airbnb. Ma la proposta…implica un cambio radicale: significa che i dati generati dall’utente non sarebbero più proprietà della piattaforma, ma dell’utente stesso”
Ma forse non basta questo, forse il prossimo passo è abbandonare il modello per cui “una piattaforma online…fa i soldi tenendosi una commissione” per il modello social in cui le piattaforme guadagnano solo (e non è affatto poco) con la pubblicità e col profiling.
E se questo significherà che “il mondo dell’istruzione ormai è uscito dalle aule, il monopolio delle università è finito” allora vuol dire davvero che “la biblioteca di Alessandria digitale è già una realtà” e con essa la capacità del sapere di fare “community…uno strumento di marketing diverso dalla pubblicità…perché…il sostegno della folla conta più degli aspetti economici” perché “le rivoluzioni non accadono quando la società adotta nuove tecnologie, avvengono quando la società adotta nuovi comportamenti” (*)

(*) le citazioni sono da La vita condivisa in Espresso 20/8/15

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