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La rabbia. “Adesso scendo e lo uccido!”

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“Chi gli ha dato la patente! Adesso scendo e lo uccido!”, “Mi aveva giurato che questo pc sarebbe stato velocissimo! È lento come un bradipo: adesso glielo spacco in testa!”, “Ma che pensa che esiste solo lui nel condominio? La radio ha un volume assordante, adesso gliela scaravento dalla finestra!”, “Questa casa non è un albergo! È questa l’ora di rientrare? Te ne dovresti rimanere fuori sul pianerottolo a dormire”… In molti avranno pronunciato o sentito pronunciare frasi del genere, in misura minore alcuni avranno agito o visto agire realmente ciò che è minacciato nella frase rabbiosa… Ho quasi difficoltà a chiamare rabbia il sentimento che permea tali frasi… È facile capire che non si tratta solo di rabbia quando dalle parole si passa ai fatti: quanti episodi di cronaca ci raccontano di morti per un parcheggio, per questioni condominiali, ecc. Banalità che portano ad atrocità anche efferate. Eppure senza arrivare a tanto ognuno di noi ha provato almeno una volta una rabbia incontenibile, furibonda in cui ha pensato o immaginato di fare cose terribili. Ma cosa c’è tra il dire e il fare? Il mare o una sottile linea che rischiamo di oltrepassare in ogni momento? Sia nell’uno che nell’altro caso forse non facciamo buon uso di questo sentimento così potente: se lo lasciamo troppo lontano da noi stessi non ascoltiamo cosa potrebbe sottendere, se sconfiniamo rischiamo di diventare distruttivi in maniera definitiva. E se invece ci domandassimo cosa desideriamo realmente distruggere della nostra vita, cosa ci fa realmente arrabbiare, forse potremmo trovare della strade che aprono ad una riflessione, a una elaborazione che invece di distruggere può arricchire la nostra vita. Eppure quando si è così potentemente arrabbiati si è ciechi, si desidera solo evacuare questa rabbia, distruggere chi ci fa sentire così, eliminare rapidamente quello che immaginiamo sia la fonte di quell’emozione. Eppure quante volte una volta agita questa distruttività ci si sente peggio di prima? Vuoti, qualche volta in colpa, per un po’ salvo poi tornare ad infuriarsi di nuovo al primo accidente. Il rischio è quello di entrare in un circolo vizioso da cui si ha la sensazione di una impossibilità a uscirne. Eppure si può, si può scegliere di darsi il tempo per ascoltare la propria rabbia e la propria distruttività, di trasformarla per renderla un potente strumento a servizio di se stessi piuttosto che un sentimento di cui essere schiavi.

http://www.paolamancini.com

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