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Joker

Una risata li seppellisce

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 di Todd Phillips. Con Joaquin PhoenixRobert De NiroZazie BeetzFrances ConroyMarc Maron USA 2019

1981, in una Gotham City inasprita, degradata e sommersa dalla spazzatura – forse gestita da un sindaco di nome Rays? (battutona!),  – Arthur Fleck (Phoenix), giovane disagiato, afflitto da un disturbo che, nei momenti di tensione, lo fa esplodere in una irrefrenabile risata, campa facendo il clown di strada. Un giorno, mentre lavora, quattro teppisti (Adam James, Xavyer Urena, Evan Rosado e Damin Emmanuel) gli rubano il cartello pubblicitario che esibiva e, dopo essersi fatti rincorrere nei vicoli, glielo rompono addosso e lo riempiono di calci. Torna nello scalcinato appartamento nel quale vive con la madre malata Penny (Conroy) e, in ascensore, una giovane vicina, Sophie (Beetz), che gli fa un sorriso di comprensione lo fa immediatamente innamorare. La madre continua a mandare lettere con richiesta di aiuti al miliardario Thomas Wayne (Brett Cullen), nella cui casa aveva lavorato anni prima, fiduciosa nella sua generosità e, quando, l’anchor-man Murray Franklin (De Niro) lo presenta nel suo show televisivo come probabile candidato alle prossime elezioni comunali, lei si entusiasma e lui – che vorrebbe essere uno stand up comedian – fantastica di essere, a sua volta, ospite d’onore nello show. L’indomani – dopo che l’assistente sociale (Sharon Washington) gli ha comunicato che, per effetto di tagli al welfare, non potrà più seguirlo né fargli avere i medicinali indispensabili per i suoi disturbi nervosi – si reca come ogni mattina, all’agenzia di artisti da strada Haha, dove il nano Gary (Leigh Gill) gli esprime solidarietà per l’aggressione subita, il collega Randall (Glenn Flescher) gli dà di nascosto una pistola per difendersi ma Josh (Hoyt Vaughn), il padrone dell’agenzia, gli chiede di rimborsare il cartello che  si era rotto. Mentre si esibisce in un ospedale pediatrico, la pistola gli cade di tasca e perde il posto. Ancora vestito e truccato da pagliaccio, in metropolitana ha uno dei suoi accessi di riso quando vede tre yuppies (Carl Lundstedt, Michael Benz e Ben Warheit) ubriachi infastidire una ragazza (Mich Szall); i tre lo aggrediscono e lui, estratta la pistola, li ammazza. Il giorno dopo, Wayne – quale datore di lavoro dei tre – dichiara in tv come il costume da clown dell’assassino sia emblematico della qualità morale di chi ha ucciso dei bravi giovani benestanti per odio sociale. Queste parole scatenano la rivolta dei disagiati di Gotham che, vestiti da clown, manifestano, sempre più violentemente, per le strade. Ora Arthur, gasato dagli omicidi compiuti e dall’essere preso come esempio di rivalsa, perde sempre più il senso della realtà: immagina di conquistare Sophie e trasforma, nella sua fantasia, una esibizione da cabarettista, nella quale era riuscito solo a ridere nervosamente, in un successo di ilarità. Un giorno, leggendo l’ennesima lettera dalla madre a Wayne, scopre che lei motiva la richiesta di aiuto sostenendo che lui è il figlio di una loro relazione; quando ne parla a Penny, questa ha un malore e viene ricoverata. All’ospedale lo raggiungono i detective Burke (Shea Whigham) e Garrity (Bill Camp), per interrogarlo sugli omicidi della metropolitana, lui li liquida rapidamente e va alla villa di Wayne; qui parla con il piccolo Bruce (Dante Pereira-Olson) ma viene brutalmente allontanato dalla guardia del corpo (Alfred Pennyworth). La sera, riesce ad infilarsi in una proiezione di beneficienza di Tempi moderni e a parlare con il magnate ma questi gli spiega con durezza che lui non è suo padre e che la madre, malata di mente, lo aveva adottato prima di finire nel manicomio criminale Arkham. A conclusione della tremenda giornata, Arthur vede Franklin che usa la sua catastrofica esibizione per far ridere gli spettatori. Il giorno dopo va all’Arkham Asylum e scopre la verità: la madre lo aveva adottato, fingendo che fosse il figlio di Wayne e aveva lasciato che il suo convivente di allora lo abusasse, ledendogli la mente. Ora Arthur non ha più limiti e uccide la madre con un cuscino e accoltella Randall, che aveva indirizzato i sospetti della polizia su di lui. Poi, con un nuovo costume da clown, un nuovo trucco e il nome d’arte Joker va allo show di Franklin – che, contro il parere del suo produttore (Maron), lo aveva invitato per divertire il pubblico alle sue spalle – e qui…

Joker è l’esempio perfetto di come il voler classificare i film (ma vale per tutte le manifestazioni artistiche) secondo astratte categorie valoriali sia limitativo e fuorviante. Alcuni critici, dopo la vittoria a Venezia, lo hanno definito cinecomic d’autore ma, allora, cosa dire della trilogia su Batman di Chistopher Nolan (Batman begins, Il cavaliere oscuro, Il cavaliere oscuro – Il ritorno)? Da che parte mettiamo il variegato e sulfureo Suicide Squad? In realtà il cinema è cinema: ci sono buoni film e film meno buoni, ci sono opere dichiaratamente autoriali e operazioni strettamente commerciali ma quasi ogni film è una storia a sé e va visto con lo sguardo scevro da preconcetti incasellamenti. Certo, in questo caso, il Leone d’Oro – meritato ma anche, probabilmente, anche necessitato dall’esigenza di far uscire la Biennale Cinema dalla nicchia minimalista nella quale si stava chiudendo – ha aiutato a dimenticare che Todd era stato il regista dei 3 Una notte da leoni (più o meno del livello, per i nostri miopi puristi, degli aborriti cinepanettoni) e in più la magistrale interpretazione di Phoenix – a Venezia gli hanno preferito il Marinelli di Martin Eden (?) – chiude la bocca a qualsiasi obiettore. Lui è il quinto Joker cinematografico e ha precedenti illustri (Cesar Romero in Batman nel 1966, Jack Nicholson in Batman nel 1989, Heath Ledger ne Il cavaliere oscuro nel 2008 e Jared Leto in Suicide Sqaud del 2016) ma riesce a dare una coinvolgente intensità al personaggio sino a farlo lievitare al di sopra del carattere di origine fumettistica ed assurgere a fool dolente e simbolo di angoscia universale. Per farlo, secondo le indicazioni più stringenti del Metodo Strasberg, è dimagrito paurosamente di decine di chili ed ha “vissuto” il personaggio per tutto il periodo delle riprese (d’altronde mentre interpretava il detective hippie di Vizio di forma non si è lavato i piedi per due mesi perché la loro sporcizia non fosse solo un trucco di scena). Todd Philips, oltre a firmare la regia di solido servizio ne ha scritto l’ottima sceneggiatura insieme all’”intellettuale” Scott Silver (8 mile, The fighter) e – insieme alle citazioni cinefile di Tempi moderni, Voglio danzar con te e Zorro mezzo e mezzo – cura la colonna musicale, con l’esplodere di That’s life di Frank Sinatra, il contrappunto di Smile di Chaplin nell’ironica e dolente interpretazione di Jimmy Durante e le irridenti incursioni di Slap that bass  di Fred Astaire e di Send in the clowns di Sinatra. Il film va benissimo da noi e negli USA.

 

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