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Il New York Times e l’aereo precipitato: lezione di giornalismo

È circa mezzanotte, ora italiana, quando il New York Times batte la notizia, pubblicando un pezzo e twittandolo a breve giro di posta: “Uno dei due piloti era bloccato fuori dalla cabina prima che l’aereo precipitasse in Francia” è il titolo dell’articolo che, come evidente, non ha bisogno di sofisticate trappole di “click baiting” per svelare il suo contenuto.

L’articolo  in questione è stato ripreso globalmente da tutte le testate , twittato migliaia di volte, una notizia che ha bucato trasversalmente tutti i media, vecchi e nuovi.

Il primo pensiero che mi è balenato alla mente è: “come diavolo fanno a stare sempre sul pezzo e ad arrivare primi questi del NYT?”. Eppure lo abbiamo visto in televisione, ribadito centinaia di volte sui media di ogni tipo, a Seyne-les-Alpes vi sono centinaia di giornalisti piovuti da tutte le parti del mondo.

E , se lo andate a leggere quel pezzo sul New York Times, ha tutto meno che il “look” del sensazionalismo gratuito. La testata americana rivela indiscrezioni di un ufficiale militare francese che sarebbe venuto a conoscenza di un primo ascolto della scatola nera (quella che registra l’audio di cabina), non solo, ma altre indiscrezioni provenienti sempre dal comparto militare, rivelate nell’articolo del NYT, iniziano a svelare alcuni dei misteri della tragedia.

Il tutto con grande sobrietà, senza alcun “titolone”, senza tecniche particolari di coinvolgimento o cattura dei lettori. Perché? Evidente quella è una NOTIZIA !!!

Certo possono essere formulate le più avanzate teorie (già largamente discusse) sui chiari rapporti tra stampa americana e ambienti militari, rapporti fatti di “do ut des” e quindi basati su forti legami ed interessi reciproci.

Tutte le teorie e le spiegazioni possono essere sviluppate o proposte, resta tuttavia alla fine qualcosa che nel giornalismo fa, ed ha sempre fatto, la differenza: il NYT aveva la notizia, il NYT ha fatto il pezzo, il NYT ha fatto giornalismo.

Credo che questo elemento, ancor più di ogni altra considerazione, debba farci riflettere sulla famosa questione “dove sta andando il giornalismo”, che se giornalismo vuole essere, non potrà mai fare a meno delle notizie.

Poi potremo discutere delle piattaforme, dei social media e, come miseramente avviene da noi, se la pagina Facebook di un giornale sia o non sia “il giornale”

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