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I ragazzi dimenticati nelle periferie d’Italia

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Dallo Zen di Palermo a Quarto Oggiaro, discariche di questioni sociali irrisolte. Viaggio alla fine dello Stato, dove le istituzioni sono assenti. A cominciare dalla scuola alle porte di Roma, dove regna il degrado e si può morire in una sparatoria
I ragazzi dimenticati nelle periferie d’Italia
Il piccolo Totò, se fosse il sindaco, renderebbe il suo quartiere irriconoscibile. «Vorrei che non ci fossero più omicidi, che i ragazzi non spacciassero e realizzerei subito una piazzetta con il divieto di buttarci la spazzatura». Totò, 12 anni, è nato e vive allo Zen 2 di Palermo. Quartiere difficile, come lo sono, del resto, le altre periferie italiane. Difficili, spesso brutali, soprattutto per chi è minore. Esclusione, marginalità, povertà, non solo economica ma pure educativa. Assenza costante delle istituzioni.

«Qui la politica è venuta sempre e solo a chiedere i voti nelle campagne elettorali, promettendo grandi rivoluzioni, per poi scomparire», ci racconta indignata una mamma dello Zen, che ogni pomeriggio manda suo figlio nell’unico centro di aggregazione presente in questo agglomerato urbano di palazzi chiamati padiglioni, realizzato durante l’era di don Vito Ciancimino e Salvo Lima, all’epoca del famigerato “Sacco di Palermo”.
Centro di aggregazione che esiste grazie all’impegno dell’associazione Zen Insieme e Save the Children, che da qualche anno svolge un ruolo fondamentale nelle periferie del nostro Paese. Dove la latitanza pressoché totale delle istituzioni ha lasciato che questi luoghi diventassero discariche di questioni sociali irrisolte.
Dallo Zen 2 a Quarto Oggiaro, periferia milanese. Da San Luca e Platì, in Calabria, roccaforti della mafia più potente al mondo, a Ponte di Nona, sobborgo della Capitale deturpato da spaccio e degrado. L’Espresso è andato nei luoghi dimenticati dallo Stato, dove monta la rabbia sociale, a parlare con chi l’emarginazione la vive quotidianamente sulla propria pelle. E che ha trovato nelle associazioni del territorio, supportate da Save the Children, l’unico appiglio di normalità in un contesto dove anche solo un campetto da calcio è una grande conquista.

Totò e i libri

A casa di Totò, tolti i testi scolastici, non ci sono libri. Se fosse esistita una biblioteca pubblica ne avrebbe già letti parecchi. Così in mancanza di una pubblica, è nata quella al primo piano del punto luce di Save the Children dello Zen 2. Una giovane bibliotecaria da settimane sta archiviando i titoli e alcuni ragazzini coetanei di Totò la aiutano nell’impresa. «A fine mese arriveranno altri mille libri», ci spiega seduta senza staccare gli occhi dal grande registro in cui elenca i nuovi testi appena sistemati. È in questa grande stanza dalle pareti bianche e rosse che Totò sconfigge la timidezza e inizia a leggerci il suo programma elettorale, scritto durante il laboratorio “Se io fossi sindaco”. «Farei in modo che le persone si vogliano bene. Basta con la violenza che ha rovinato tante famiglie. Un grande parco giochi, l’ospedale, un campetto. Basta con lo spaccio».

Nelle richieste del piccolo Totò c’è il grido d’aiuto di un intero quartiere. Tra chi prova a dare speranza a questi giovani c’è il preside dell’istituto comprensivo Leonardo Sciascia. Giuseppe Granozzi dirige una scuola di frontiera. La dispersione scolastica è alta, alcuni bambini, mentre parliamo nel cortile, si aggirano fuori dai cancelli con una palla in mano. Sulla destra, collegato alla scuola, c’è un grande edificio di cemento, è la palestra. Finestre rotte, all’interno macerie ovunque, ferro arrugginito. Vandalizzata da 14 anni.
Intere generazioni di studenti non l’hanno mai potuta utilizzare. Un vero spreco, qui si potrebbero fare anche molte attività extrascolastiche. Per fortuna, ci dice Granozzi, a breve, finalmente, dovrebbero ristrutturarla. «Se è vero come sostengono che lo Zen è il serbatoio di manovalanza di Cosa nostra, allora forse sarebbe il caso di investire molte più risorse in queste scuole. È nelle periferie che si vince la sfida educativa, realizzando non solo scuole che funzionano, ma anche belle, accoglienti», riflette il preside.
La bellezza contro il degrado. Ricetta basica, economica, ma a Roma, nei palazzi dove si fanno leggi e si stabiliscono finanziamenti, hanno un’altra idea della “buona scuola” necessaria.

All’istituto Sciascia fanno il tempo pieno, nonostante manchi la mensa. I ragazzi si arrangiano con un panino. «Non me la sento di lasciare andare a casa i ragazzi, dove passerebbero le loro giornate? Non c’è un teatro, non ci sono piscine, né centri sociali, né un centro di aggregazione pubblico», si congeda con un sorriso amaro Granozzi. Storie reali, che confermano dati e statistiche raccolte dall’organizzazione umanitaria Save the Children: La Sicilia è la regione con la più alta percentuale italiana di alunni senza mensa a scuola (8 su 10), ha il 24 per cento di ragazzi che abbandonano precocemente gli studi (la media nazionale è del 14,7 per cento), meno di 1 bambino su 10 può andare all’asilo nido, il tempo pieno è assente in 9 classi primarie su 10 e più di 4 giovani su 10 non utilizzano internet.

Gli angeli dell’Aspromonte

Per lungo tempo sono stati i paesi dell’anonima sequestri. Poi sono diventati i feudi di una ’ndrangheta leader nel narcotraffico. San Luca e Platì, paesi d’Aspromonte. Raccontati meravigliosamente da Corrado Alvaro, che a San Luca era nato. Arriviamo qui seguendo la blacklist di dati e numeri fornita da Save the Children: il 38 per cento dei minori calabresi è in povertà relativa. In Calabria i servizi garantiti per l’infanzia coprono solo l’1 per cento dei bambini. E 3 classi su 4 delle scuole elementari e medie non hanno il tempo pieno.
Quasi 1 ragazzo su 5, inoltre, abbandona gli studi prima del tempo e il 78 per cento dei bambini e ragazzi non partecipano ad attività culturali e ricreative.
La Locride è una delle zone studiate dall’Ong. E dove spesso la ’ndrangheta è l’unica vera alternativa. A San Luca, per esempio, non è facile la vita di una sedicenne. Per una ragazza è consigliabile il matrimonio non oltre i vent’anni. Matrimoni combinati. Accade ancora, come ci conferma anche Carmela Rita Serafino, la preside della scuola elementare e media di San Luca. «È un dogma, persino le madri più giovani, invece di desiderare una vita diversa per le proprie figlie preferiscono che seguano le loro orme».
Le periferie italiane: simbolo di uno Stato che non c’è
Miriam, invece, ha scelto la strada più bella e difficile. A sedici anni vuole essere libera. Ha già scritto due libri. Il primo si chiama “Angels, la vita segreta di un angelo nascosto”. Stampato da una piccola casa editrice, il genere è fantasy. Ambientato in una Londra piena di fascino e di mistero. Miriam frequenta il punto luce aperto qualche settimana fa da Save the Children a San Luca, in collaborazione l’associazione Civitas solis. Una villetta, all’interno completamente ristrutturata e con ampi spazi dove i ragazzi si dividono tra studio e laboratori. Una novità assoluta per San Luca. Che sembra aver suscitato la curiosità dei genitori, anche quelli più riservati e più diffidenti. Anche qui, prima dell’apertura di questo luogo a parte la piazza del paese e qualche bar sala giochi, i bambini non avevano un posto dove fare attività ricreative dopo la scuola. Perciò o restavano a casa oppure vivevano la strada, con tutti i rischi che ne conseguono. «Mancano vere opportunità, e già il fatto che non esistano strutture né per i giovani né per gli adolescenti è un segnale del disinteresse delle istituzioni», spiega Miriam, che parla solo in italiano.
Può sembrare una banalità, in realtà la maggior parte dei suoi pari dialogano in dialetto, anche a scuola. Per questo da qualche tempo persino i dirigenti scolastici hanno imposto che si parli in italiano. «I giovani devono capire è la lingua a metterli in connessione con il resto del Paese, è un modo per aprirsi al mondo», ci spiega Carmela Rita Serafino. Lo stesso vale per Platì, il paese che l’attuale ministro dell’Interno, Marco Minniti, definì la Molenbeek della ’ndrangheta. Se la lotta alle ’ndrine si fa con le armi della cultura, qui la guerra dello Stato non è mai iniziata. «Ogni anno cambia il preside», racconta scoraggiato Fortunato Surace, reggente dell’istituto, «siamo in una scuola di frontiera, senza una palestra e senza molto altro da offrire. Oltretutto il Comune di Platì per 10 anni non ha avuto amministrazione, tra scioglimenti per mafia e elezioni saltate per mancanze di liste».
Surace non nasconde l’amarezza per il degrado educativo che tocca con mano in paese. Molti padri vivono al 41 bis, lontani dalle famiglie. E poi terminate le medie, chi vuole proseguire gli studi deve svegliarsi massimo alle 6 di mattina, correre a prendere l’unico autobus che porta ai comuni della costa. Lo stesso vale per chi vive a San Luca. Un viaggio che Miriam fa ogni giorno.

Roma è lontana

La grande rivoluzione a Cinque stelle a Ponte di Nona, estrema periferia di Roma, non è ancora arrivata. Solo Papa Francesco si è spinto fin qui, per visitare la parrocchia. Per l’occasione il parco che divide in due la strada è stato ripulito da erbacce alte quanto alberi. Ora è tornato al degrado di prima.
C’è una grande vasca che doveva raccogliere l’acqua piovana trasformata in discarica e un ponticello di legno con due pedane sfondate, dal quale i bambini rischiano di cadere se provano ad attraversarlo. Crescere a Ponte di Nona vuol dire fare i conti con l’indifferenza delle istituzioni. Anche in questo caso tolto il punto luce di Save the Children, gestito dall’associazione Santi Pietro e Paolo, e la scuola resta poco. Il centro è nel cuore della zona dello spaccio. A pochi metri da qui due anni fa c’è stata una sparatoria, due ragazzi sono morti. Erano del quartiere. I loro volti sono raffigurati su un murales. C’è, poi, una seconda area verde. Nell’aiuola che scorre in mezzo alla scalinata invece dei fiori c’è una distesa di sacchetti bianchi e azzurri della spazzatura. Il resto è abbandonato. «Chi vive qui non si sente di Roma», spiega Maria Rosaria Autiero, la preside dell’istituto comprensivo “Ponte di Nona-Lunghezza”, «per raggiungere il centro storico è un viaggio e anche nel lessico che utilizzano per indicare la città si percepisce questa distanza». Tanti ragazzi vivono con un solo genitore, molti padri sono in carcere. «È fondamentale lavorare con questi minori, perché vivono la situazione familiare con disagio, sono fragili e hanno una bassa autostima», racconta un’insegnate che da 20 anni lavora in questa scuola.

L’altro volto di Milano

Luca ha 13 anni e vive a Quarto Oggiaro, periferia milanese. Molti coetanei abbandonano la scuola, e molte famiglie non arrivano a fine mese. Vive in una piccola casa popolare, con le sorelle, la nonna e la mamma, che da sola si occupa di tutti, pur non avendo un lavoro fisso. Fa enormi sacrifici saltando da un piccolo lavoro saltuario a un altro per poter garantire ai suoi figli almeno i libri scolatici, cibo e vestiti. La sua più grande preoccupazione è poter dare un futuro ai propri ragazzi, lontano dalla strada. La vita di strada anche in questa periferia del Nord non è poi tanto differente dal resto d’Italia. Anche qui c’è una grande piazza di spaccio. Anche qui la criminalità cerca carne fresca da mandare al macello.
Luca fugge da tutto questo. Da un anno frequenta il Punto Luce di Save the Children, gestito dall’Acli di Milano. Qui è al sicuro, lo seguono nei compiti, viene sostenuto, e col tempo matematica, chimica e italiano, non sono più incubi ma materie da studiare per crescere. Il pomeriggio si dedica all’orto urbano che gli educatori hanno piantato nel suo quartiere. Ma la vera passione di Luca è la musica. Ha così iniziato un corso di pianoforte. Uno spartito lo salverà. Basta poco, in fondo.

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