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Eserciti nelle megalopoli, il preoccupante futuro immaginato dal Pentagono

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Il Pentagono crede che le megalopoli del futuro saranno un problema. E sta preparando gli eserciti a operare nelle città sovrappopolate.
Scriveva Jorge Luis Borges che “il futuro ha senso soltanto come speranza presente“. Speranza e futuro. Concetti legati tra loro e fatti della stessa materia dei sogni. Ma proprio come i sogni, non conoscono coerenza né rispondono sempre alle aspettative. Che futuro ci attende? Bella domanda. Da una parte siamo sommersi di incubi dalla letteratura distopica e dalle teorie del complotto, dall’altra illusi da promesse e visioni di governi e istituzioni. Il tutto si riduce sempre e soltanto a una gara a chi la spara più grossa.

Se qualcuno ci dicesse che il divario tra ricchi e poveri aumenterà vertiginosamente, che le megalopoli saranno infestate da gruppi criminali, mendicanti, hacker, abitanti dei sotterranei ed eserciti, forse penseremmo a alla visione paranoica di qualche complottista, o magari alla trama di qualche serie tv.

E invece no. Questo è lo scenario descritto dalla U.S. Army degli Stati Uniti d’America. Ricorda molto un fumetto del 1977 che è stato trasposto in un giocattolone cinematografico del 1995 con protagonista Sylvester Stallone: “Dredd: la legge sono io”.

Per chi non lo conoscesse, Dredd è ambientato nel futuro, in un’epoca in cui la maggior parte degli abitanti della terra (sopravvissuta all’olocausto nucleare) vive ammassata in città enormi e sovrappopolate chiamate Mega-City. Fuori dalla zona urbana ci sono le così chiamate Crusade Earth, terre di nessuno, contaminate da radiazioni e agenti inquinanti.

Gli abitanti di queste zone, criminali incalliti, spesso mutanti, vivono al di fuori della legge. A fare in modo che la rispettino, anzi a eliminarli, sono chiamati I Giudici, un corpo d’èlite specializzato del governo, tra cui proprio il nostro Dredd.

La storia inventata da John Wagner (testi) e Carlos Ezquierra (disegni) è chiaramente un’allusione a una visione fascista del governo. L’ispirazione veniva dalla situazione di molte città britanniche del dopoguerra, soprattutto Londra e Glasgow, in cui la popolazione aumentò a dismisura tra gli anni ’50 e ’60, costringendo il governo inglese a costruire enormi grattacieli, mostri di cemento ancora oggi presenti. Il piano si rivelò fallimentare e quei luoghi, popolati manco a dirlo dalle fasce più povere, divennero terre senza legge.

I creatori del Giudice Dredd ambientarono la storia nel 2139, ma potrebbero essersi sbagliati di 100 anni. In eccesso.

Questo almeno secondo quanto pensa il Pentagono.

The Intercept ha pubblicato qualche giorno fa il filmato Megacities: Urban Future, the Emerging Complexity. Si tratta di un video di cinque minuti utlizzato nella Joint Special Operations University del Pentagono e fa parte di un corso in Advanced Special Operations Combating Terrorism. Il fatto particolare è che il video non si concentra sulla minaccia del terrorismo come sarebbe normale attendersi, ma su un problema alla base di tutto: la sovrappopolazione nelle megalopoli.

Il video è realizzato in classico stile distopico: voce fuori campo minacciosa, musica malinconica e immagini di bassifondi e guerriglia urbana.

“…Le megalopoli sono sistemi complessi in cui le persone e le strutture sono compressi insieme in modi che sfidano sia la nostra comprensione della pianificazione urbanistica sia la dottrina militare. Questi sono il futuro terreno fertile, incubatori e rampe di lancio per avversari e minacce ibride…..

……Le tensioni religiose ed etniche saranno un elemento determinante del paesaggio sociale. Bisognerà coesistere con impoverimento, slum, baraccopoli in rapida espansione a fianco di grattacieli moderni, progressi tecnologici, sempre crescenti livelli di prosperità. Questo è il mondo del nostro futuro – ma è quello che non siamo preparati in modo efficace ad affrontare; ed è inevitabile”.

Il corso, di cui il video è parte integrante, è organizzato da Jsou che si descrive come “orientata verso la preparazione di forze per le operazioni speciali” ed è gestita da US Special Operations Command, l’organizzazione che raccoglie la maggior parte delle truppe di èlite americane.

Nel video si vedono città superaffollate, giungle urbane, scontri, hacker, criminali, poveri ammassati. La voce ci dice che il divario tra ricchi e poveri aumenterà vertiginosamente, che ci saranno labirinti sotterranei con un proprio codice sociale e di diritto, che fioriranno sofisticate economie illecite, che hacker useranno svariati mezzi per colpire la vita digitale. Ci parla di reti criminali, infrastrutture scadenti, tensioni religiose ed etniche, baraccopoli, fogne e discariche a cielo aperto, masse crescenti di disoccupati.

Tutto questo succederà nelle megalopoli, secondo il Pentagono. Megalopoli sono considerate le aree urbane con una popolazione di almeno 10 milioni di abitanti. Va detto che oggi sono una trentina, ma in rapida espansione. Nella tabella sotto le principali megalopoli e il loro sviluppo previsto nel 2030 (fonte: United Nations, Department of Economic and Social Affairs).

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La popolazione si sta sempre più raggruppando nelle grandi città e il loro numero continua ad aumentare. Nel 1800 solo il 3% della popolazione viveva nelle grandi città, adesso siamo intorno al 50% e si prevede di arrivare al 60% nel 2030. Ecco da cosa nasce questa fatidica data.

A prevedere e interpretare l’inquietante realtà delle megalopoli in chiave fantascientifica non è stato soltanto il Giudice Dredd, ma anche la Los Angeles di Bladerunner, tra cinesi e piogge acide, la New York di 2022 I sopravvissuti, e lo Sprawl di Neuromancer di William Gibson.

A rendere queste distopie plausibili, anche l’aumento della popolazione degli slum, che potrebbe arrivare a 2 miliardi entro il 2030, e il problema dell’acqua, con gli attuali 150 milioni di cittadini senza accesso sicuro che, secondo le stime, nel 2050 arriveranno a 1 miliardo.

In base a uno studio di McKinsey, diversa sorte spetterà alle metropoli di media grandezza (da 1 a 5 milioni di abitanti). Aumenteranno di numero, e conterranno il 13,4% della popolazione contro l’8,7% delle megalopoli, ma deterranno entro il 2025 il 45% del PIL del pianeta, contro il 15% attuale. Insomma, nelle megalopoli si farà più che altro la fame, mentre nelle metropoli vivranno ricchi e agiati.
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Il video del Pentagono non è stato progettato però per far conoscere questa realtà, ma per rispondere a una ben precisa paranoia dell’esercito americano per i conflitti urbani nelle megalopoli.

Come scrive lo US Army in un rapporto del 2014 dal titolo Megacities and The United States Army e ribadisce quest’anno in uno studio separato,“l’esercito degli Stati Uniti non è in grado di operare all’interno della megalopoli. Nonostante abbia una lunga storia di combattimenti urbani, non ha mai avuto a che fare con situazioni così complesse che oltrepassano lo scopo delle loro risorse. Dieci anni di guerre in Iraq e Afghanistan hanno fatto capire che bisogna modellarsi sulla complessa situazione in cui si va ad operare. Questo processo dovrà avvenire ora per le megalopoli”.

Quest’insicurezza ha radici lontane ma è ancora attuale: la débacle di Mogadiscio, che ha costretto il Pentagono a ripensare le sue operazioni militarizzate su terreni urbani (Mout). In uno studio pubblicato nel 1996 da Parameters, giornale dell’Army War College, si legge che “il futuro della tecnica sta nelle strade, nelle fogne, negli edifici multipiani, nell’incontrollata espansione che formano le città frammentate del mondo”.

Uno scenario previsto anche dai videogiochi.

Gli autori dello studio spiegano che “la nostra recente storia militare è punteggiata di nomi di città – Tuzla, Mogadiscio, Los Angeles, Beirut, Panama, Hue, Saigon, Santo Domingo – ma questi scontri sono stati solo un prologo, mentre il dramma vero e proprio deve ancora cominciare”.

La preoccupazione ha le sue ragioni. L’arsenale barocco di Washington non potrebbe infatti essere di grande utilità nei sobborghi, e l’utilizzo di droni in zone così popolate porterebbe a conseguenze sociali enormi.

C’è un perché anche della fosca previsione sulla criminalità nelle megalopoli. Con l’aumento del flusso di persone, di informazioni, e di merci lecite e illecite, secondo gli studi si darebbe luogo a una competizione tra i diversi attori in gioco per appropriarsene e utilizzarli per affari o terrorismo.

La disponibilità inoltre di dispositivi a basso costo per creare nebbia elettronica e informatica (bombe EMP) e l’utilizzo di comunicazioni cifrate, non renderebbero facile il controllo da parte del governo. Quest’ultimo potrebbe non essere un grande dramma per il sacrosanto diritto alla privacy, ma è un problema per tracciare transazioni finanziarie e movimenti criminali.
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Nonostante il video pubblicato da The Intercept abbia suscitato tanto scalpore, che l’esercito si prepari alla guerra nelle megalopoli in realtà non è una novità.

RAND Corporation, il think tank no profit dell’Air Force, si occupa infatti proprio di città. Ha iniziato a farlo negli anni ’90, prefiggendosi di studiare come i movimenti demografici influiranno sui conflitti di domani.

Rand crede infatti che l’urbanizzazione della povertà porterà a l’urbanizzazione della rivolta e che né addestramento né equipaggiamento statunitensi siano adeguati per contrastare queste insurrezioni. La stessa Rand, negli anni Sessanta, svolse un ruolo di primo piano nella formulazione della strategia bellica in Vietnam. Non andò proprio benissimo. Ecco forse perché si sta preparando da 30 anni.

Qualche mese fa, proprio un politologo della Rand, David E. Johnson, ha rivelato a Limes: “un giorno saremo chiamati ad operare nell’ambiente urbano: dobbiamo tenerlo in considerazione quando sviluppiamo dottrine, piani operativi e capacità future”. Secondo Mike Davis, si tratta però di una battaglia persa in partenza.

Intervistato da The Intercept, l’autore di Planet of Slums e di Buda Wagon: breve storia dell’Autobomba, ha detto: “L’idea che ci sia una speciale scienza militare delle megalopoli è fantasia. Non è plausibile. Sembrano immaginare grandi città con periferie e slum infestate da bande antagoniste, milizie, guerriglieri che si possono in qualche modo combattere con operazioni speciali. In realtà, è abbastanza inverosimile. Basta guardare a Black Hawk Down per capire che tipo di problemi che si avrebbero a Karachi, per esempio. Si possono fare operazioni speciali su piccola scala, ma è assurdo immaginare che qualsiasi tipo di strategia sia efficace per il controllo di una megalopoli”.

Rand e Pentagono sperano che si sbagli.

A febbraio, il ministero della Difesa americano ha formalmente richiesto la consulenza di innovatori tecnologici dell’industria privata e università per trovare nuove soluzioni tecnologiche adatte alla guerra urbana. Le richieste vanno dai sensori per l’intelligence ai dispositivi di protezione. Le expertise desiderate includono tecniche GPS per ambienti urbani sotterranei e sistemi di sorveglianza, ricognizione e sensori per l’utilizzo nelle gallerie. Lo scopo è quello di creare un rapporto di collaborazione tra governo, mondo accademico e industria per le guerre del futuro.

Come si può notare da questa richiesta e anche dal video, il Pentagono teme soprattutto l’utilizzo dei labirinti sotterranei da parte di criminali e terroristi. Si spera che in futuro non saranno anche le dimore della classe operaia, come in un’altra distopia famosa, quella di Metropolis.

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Se infatti al governo americano spaventa questo possibile teatro di guerra, a un normale cittadino preoccupa di più quel futuro che dipingono nei loro rapporti. E ritrovarsi in strada mezzi militari e pseudo Dredd armati fino ai denti non è certo il mondo che vorremmo. Si chiama infatti legge marziale.

Curiosamente, la visione cupa del governo statunitense, ma potremmo dire di tutta la letteratura a riguardo – e non intendo quella distopica della fantascienza ma quella dei rapporti scritti di governi, organismi multinazionali e think tank – si scontra totalmente con la famosa Agenda 2030 dell’Onu. Sempre 2030, la data fatidica.
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In questo programma per lo sviluppo sostenibile, l’Onu fissa i traguardi che intende raggiungere: sono esattamente agli antipodi delle previsioni che abbiamo visto. Eccoli:

1) Sradicare la povertà
La sfida è mettere fine entro il 2030 alla povertà estrema, in modo che nessuno viva con meno di 1,25 dollari al giorno.

2) Sicurezza alimentare
L’Onu si propone di garantire a tutti il diritto al cibo, di mettere fine alla malnutrizione, alla denutrizione e di promuovere l’agricoltura sostenibile.

3) Una vita sana
Ridurre la mortalità materna e infantile, accesso universale ai sistemi sanitari. E una voce ambigua: “salute riproduttiva”.

4) Educazione di qualità
Garantire a tutti i bimbi l’istruzione primaria e secondaria completa, gratuita e di qualità, lotta all’analfabetismo.

5) Parità di genere
Porre fine a ogni forma di discriminazione e violenza contro le donne, ma anche alle nozze forzate e alle mutilazioni genitali. Torna la voce sulla salute riproduttiva.

6) Accesso all’acqua
Garantire il diritto universale all’acqua, che dev’essere disponibile, pulita e gestita in modo sostenibile. Accesso universale anche ai servizi igienici, eliminando le latrine all’aperto.

7) Energia sostenibile
Aumentare la quota di popolazione in grado di utilizzare la rete elettrica. Ancora 1,3 miliardi di persone ne è esclusa. Ma aumentare anche la quota di chi usa le energie rinnovabili.

8) Piena occupazione
Incremento minimo del 7 per cento del Pil per i Paesi poveri. Non viene però quantificato il reddito nazionale pro capite.

9) Innovazione sostenibile
Industrializzazione inclusiva, costruzione di infrastrutture, innovazione tecnologica per lo sviluppo sostenibile.

10) Parità tra le nazioni
Ridurre le disparità fra le nazioni ricche e povere, ma anche tra ricchi e poveri all’interno dello stesso Stato.

11) Città più sicure
Case con servizi di base idonei, miglioramento degli insediamenti precari e delle baraccopoli, reti efficienti e sicure di trasporti pubblici, aree verdi.

12) Consumo sostenibile
Ridurre gli sprechi di cibo e la quantità di rifiuti prodotti, impiego equilibrato delle sostanze chimiche in agricoltura.

13) Cambiamenti climatici
Lotta contro il cambiamento climatico. Budget di 100 miliardi all’anno per aiutare i Paesi poveri a combattere gli effetti dell’inquinamento.

14) Conservazione dei mari
Preservare ecosistemi marini, prevenire l’inquinamento dei mari e ridurre al minimo gli effetti dell’acidificazione degli oceani.

15) Protezione del suolo
Riforestazione, recupero dei boschi e delle foreste degradate, lotta alla desertificazione, lotta al traffico illecito di specie rare, proteggere la biodiversità.

16) Una società pacifica
Ridurre ogni forma di crimine, mettere fine alla tratta, allo sfruttamento dei lavoratori, alla tortura e offrire a tutti un uguale e libero accesso alla giustizia per combattere la violenza.

17) Uno sforzo comune
Un’alleanza mondiale per lo sviluppo sostenibile. Donare lo 0,7 per cento del Pil per la crescita dei Paesi poveri.

Questi i punti dell’ambizioso e anche utopico programma delle Nazioni Unite. Chi avrà ragione? Non resta che aspettare il 2030 per saperlo. Intanto, meglio prepararsi. Come diceva Abraham Lincoln, la cosa migliore del futuro è che arriva solo un giorno alla volta.

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