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Corviale tra spacciatori e brava gente, quel mostro a due teste

corvialeÈ lì che salgono le anime, lungo le scale che portano ai nove piani dell’astronave, un chilometro di cemento armato dove convivono il bene e il male, e sopravvivere è fatica.
A guardarlo quel «mostro», amato come un figlio, ci si aspetta che parta verso il cielo. Portandosi via, magari, una delle testimonianze che a Roma le borgate esistono ancora. Lo diceva anche Max Gazzè che a Corviale ha dedicato una canzone, immaginandolo in viaggio fino ai Parioli. Un luogo dove l’amore è testimoniato dalla lealtà, e la cattiveria prende il volto di spacciatori e immobiliaristi improvvisati. L’Ater avrebbe dovuto accudirlo, questo mostro, invece di abbandonarlo a una lenta agonia. Decine di locali sono stati lasciati a marcire, o a diventare preda dei balordi. Ecco la verità di Corviale, tessuta su un filo dove camminano buoni e cattivi, pronti a rinnegarsi su Facebook come borgatari social, ma anche ad aiutare chi sta peggio.
LE TORRI
Cinque lotti. 1200 appartamenti costruiti dall’architetto Mario Fiorentino dal 1975 all’82. Metà quartiere abita qui. Ognuno ha una torre e le vetrate delle prime due sono sfasciate: quando piove le scale diventano una trappola. Di quattro ascensori per ogni nucleo, ne funziona uno. I campanelli sono rotti o bruciati. Dei nove piani è il «quarto» quello su cui tutti puntano il dito. Fu costruito per ospitare negozi. Poi è diventato «il piano degli abusivi», passato indenne a due sanatorie pasticciate. C’è perfino chi ha comprato, pagando qualche migliaio di euro al precedente inquilino. Un cingalese è convinto che la casa sia sua, dice di essere felice. A Corviale vive pure chi i soldi ce l’ha, con appartamenti arredati nel lusso. Qui resiste ancora la chiesa di padre Gabriele. «I problemi sono tanti, ma insieme li risolviamo», commenta un gruppo di arzille vecchiette sedute attorno a un tavolo con torta e gazosa, a mischiare carte e santini. «E poi – dicono – guardi che vista, tutta per noi». È la riserva naturale della Tenuta dei Massimi, centinaia di ettari a bosco e prato.
MAGIA E DISPERAZIONE
A Corviale c’è la magia delle panchine che raccolgono anziani e ragazzi. Così la storia prende forma con i racconti. Salvo, all’imbrunire, lasciare il posto alle vedette che armano lo spaccio, protette dai corridoi clandestini e blindati dell’astronave. Una volta c’erano due bande, oggi comanda er Palletta. Lo conoscono bene i carabinieri. Una sessantina di ragazzi lavorano per lui, smistano almeno cento chili di droga al mese. E lui, intanto, fa affari con i calabresi. Non abita più qui, «ma è ancora il re». A condimento, pregiudicati, trafficanti d’armi, mischiati alla gente per bene, e a uno spregiudicato immobiliarista che da anni «vende» gli appartamenti lasciati liberi: 15mila euro se vuoi entrare, compresi – spiega Angelo Scamponi, portavoce dei residenti – gli allacciamenti abusivi. Davanti al mostro c’è pure una biblioteca che presta più di cento libri al giorno ai 15mila associati. E la chiesa che assieme alla Caritas ha organizzato un centro di raccolta per chi non ha denaro. Intorno piccoli condomini. È l’altra faccia del quartiere. Da qui il nemico più grande di Corviale sembra il pregiudizio che ha convinto, per esempio, i progettisti del centro commerciale «Casetta Mattei», che sorge proprio a Corviale, a chiamarlo con il nome del quartiere confinante, perché c’era chi si vergognava. Dimenticando che qui ci abitò pure l’attore Vincenzo Salemme e il collega Elio Germano. Ma d’altronde sono molte le leggende che ruotano attorno a tutto quel cemento. Si racconta che l’architetto Fiorentino morì suicida dopo aver terminato il «mostro». Falso. Morì d’infarto nel 1982 durante una riunione. Anche il ponentino, il famoso venticello romano, si sarebbe fermato contro la pancia del gigante. Inghiottito dalle fauci di un brutto anatroccolo chiede solo più d’attenzione, come i 42 milioni di euro promessi e stanziati per il suo recupero, congelati nei corridoi della politica.

di Riccardo Tagliapietra

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