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Ebook di Wired sul futuro del giornalismo

Come saranno i giornali del futuro? Philip di Salvo e Valerio Bassan hanno intervistato ricercatori, analisti e giornalisti che invece di chiudersi in se stessi stanno già vivendo il cambiamento.

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Con Uber, contro il mercato delle tribù

In questi anni il mercato è divenuto sempre più incontrollabile. Staccatosi da una dimensione tutta reale, fatta di luoghi, documenti cartacei e strumentazioni, s’è spostato su Internet ed esiste sotto forma d’app. Una legislazione arcaica e restrittiva come quella italiana, che tende a creare categorie entro le quali far agire il cittadino per tassarlo e regolamentarne l’azione, non riesce più a star al passo con quella forma di libero mercato fatta di collaborazioni e di condivisione, e che si svolge in una sorta di zona grigia, al limite con l’illegalità.

Finora avevano beneficiato tutti della zona grigia. I barbieri tagliavano i capelli a domicilio, rigorosamente in nero. Pensionati con abilità pratiche s’improvvisavano tuttofare e arrotondavano la pensione facendo riparazioni domestiche. Tassisti facevano pagare un po’ di più il turista straniero, con la connivenza di tutti i colleghi, o si offrivano di trasportare in giro carichi poco legali o signorine troppo procaci. Il tutto accadeva nell’ombra, col beneplacito delle autorità — impossibilitate a controllare tutti per ovvi motivi pratici — e con grande spirito di collaborazione tra i coinvolti. L’idea alla base di tutto era che bisognava mangiare tutti, e ha funzionato finché gli attori sul mercato sono rimasti sempre gli stessi.

> Uber e il neoluddismo di un Paese in fuga dalla realtà

Poi sono arrivate le app per smartphone, ed è arrivata sul mercato una generazione di disoccupati che sa usare benissimo Internet e ha bisogno di campare esattamente come tutti gli altri. Il problema di questa nuova generazione è che ha sfruttato la zona grigia in modo massiccio, industriale, sistematico, organizzandosi su Internet. Ne ha fatto non più una stradina dissestata per pochi, ma una grande via consolare lastricata per molti. Per tutti, anzi. Nascono così UberPOP, Airbnb, BlaBlaCar e tutti quei servizi che permettono a chiunque di divenire un fornitore di servizi.

La recente protesta dei tassisti contro UberPOP — l’ennesima — sembra ancor una volta dimostrare che i tassisti non vogliono la legalità totale nell’esercizio della loro professione: vogliono semplicemente che la concorrenza sia dichiarata illegale dalle autorità. La categoria dei tassisti pretende che vengano effettuati controlli sulle app, e non in modo generico sulla loro attività di trasporto pubblico. Un controllo generico metterebbe in pericolo la zona grigia nella quale molti di loro hanno sempre operato senza scatenare alcuna protesta. Di tanto in tanto, in passato, c’era qualche sciopero contro i tassisti abusivi, coloro che si fingevano tassisti senz’averne la licenza. Anche in quel caso, i tassisti regolari chiedevano alle forze dell’ordine e alle autorità di scacciare dal mercato la concorrenza sleale; ma non hanno mai chiesto di controllare quelli che, tra di loro, commettessero quelle piccole irregolarità che permettono a tutti di campare e sulle quali si tace di comune accordo. Eppure queste irregolarità, quando scoperte, danneggiano l’immagine dell’intera categoria: perché non ci sono state proteste? Come detto, le piccole irregolarità commesse nella zona grigia non intaccavano pesantemente l’intera categoria. Erano al massimo una rogna per quei pochi colleghi che operavano nelle stesse zone, ma in linea generale il mercato non ne usciva modificato.

> Uber non è illegale, ecco perché

Uber, invece, è giunto a modificare totalmente gli equilibri e ha trasformato la zona grigia non più in un rifugio temporaneo per pochi, ma nell’unica zona in cui operano centinaia di nuovi fornitori di servizi. Non c’è più l’abusivo che finge d’appartenere alla categoria privilegiata, ma c’è qualcuno che si tiene ben distante dalla categoria e che anzi offre i suoi servizi mascherandoli da semplice favore che viene poi ripagato da chi lo riceve. Un do ut des che ha la pretesa di restare fuori dall’àmbito commerciale e che giunge sul mercato come nuova forma di collaborazione tra cittadini/utenti. Una collaborazione organizzatissima, cui le categorie tradizionali non possono opporsi.

Per i tassisti, Uber è lo straniero che è venuto a rubare il lavoro, senza sottomettersi ai piccoli cartelli locali e a quelle leggi non scritte del «come si è sempre fatto». È un po’ come il medico giunto nel villaggio in cui il monopolio delle cure era in mano allo sciamano da secoli. Per quanto lo sciamano possa additare il nuovo giunto come servitore del demonio, è solo questione di tempo prima che gli utenti si rendano conto della maggior efficienza del medico e abbandonino il vecchio monopolista.

Il fenomeno della zona grigia non ha colpito solo i tassisti, sia chiaro. Ultimamente sono sempre più frequenti gli «home restaurant», servizi di ristorazione a domicilio. Dei perfetti sconosciuti s’incontrano a casa di un cuoco improvvisato, previo accordo, e mangiano esattamente come si farebbe al ristorante. Nulla impedisce, infatti, alle persone di ricevere gente in casa e d’offrirle un pranzo o una cena, e nulla impedisce ai convitati di pagare il cuoco per il servizio offerto. Dopotutto, è ciò che si fa spesso tra amici. In molte zone d’Europa, gli home restaurant si stanno organizzando in grossi network che controllano persino la qualità dei pasti offerti e garantiscono sui prezzi. Insomma, il fenomeno s’è esteso, facendo leva sull’impossibilità di controllare ogni ricevimento privato e sul diritto di ricevere in casa chiunque si desìderi, amico o straniero. In Italia c’è stata già qualche lieve protesta contro gli home restaurant, e probabilmente tra qualche anno assisteremo a uno sciopero nazionale dei ristoratori, che chiederanno al governo maggiori controlli sulle app che permettono l’incontro fra domanda e offerta di servizi di ristorazione a domicilio. Sosterranno che si tratta di una pratica abusiva che va sradicata, ma non pretenderanno mai che i controlli siano effettuati sui locali di tutti i ristoranti, per capire chi svolge la professione in locali abusivi o chi paga l’affitto in nero: questo sarebbe troppo. L’unica preoccupazione è scacciare la concorrenza con la legge.

> Uber è solo l’inizio

Uber non è semplicemente un’azienda in crescita: è un fenomeno. È il mercato del nostro secolo, di un mondo interconnesso che tenta di sfuggire ai lacci dello Stato e d’organizzarsi in tanti porti franchi nei quali l’aspetto volontaristico e la fiducia prevalgono sulle garanzie che lo Stato si arroga d’offrire. Opporsi a Uber sarebbe come opporsi all’invenzione della stampa con la sola motivazione che essa avrebbe tolto il lavoro ai copiatori di libri. Purtroppo o per fortuna, il progresso mieterà sempre delle vittime, ma a nessuno è vietato adeguarsi: semplicemente, fa più comodo protestare coi governi e chiedere di fermare il mondo per fare un favore a pochi.

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Writing social book 2.0

Ogni realtà organizzativa si trova oggi a comunicare e visibilizzare il proprio lavoro non solo con le modalità tradizionali, ma anche attraverso gli strumenti offerti dalle nuove tecnologie. L’ipotesi è che un uso professionale e competente del web 2.0 possa portare ad un’evoluzione delle modalità di lavoro, permettendo di raccontarsi diversamente (meglio?) a più soggetti, ottimizzando contemporaneamente costi ed energie.

writing social book




Social media strategy in 3 pass

Alla base delle Social Media Relations stanno sensibilità, curiosità, flessibilità, capacità di interpretare i cambiamenti ancor prima che essi avvengano. I Social Media racchiudono in sé, con tutte le loro sfaccettature, pregi e difetti della società contemporanea. E allora la grande sfida è riuscire a interpretarli, gestirli giocando un ruolo di primo piano (noi, Social Media Manager, aziende, utenti) per essere capaci di sfruttarne le infinite potenzialità senza rimanere incastrati nei tranelli in cui è facile incappare se non se ne conoscono bene i meccanismi.

I Social Media come espressione della Modernità Liquida

Estremizziamo. Se i Social Media rappresentano la “liquidità” della società contemporanea (Cfr. Zygmunt Bahuman), non ci sono più confini spazio-temporali: e allora anche l’attività del Social Media Manager non deve porsi limiti, perennemente sospesa in una tensione innovatrice, dialogante e “esperienziale”.

Eppure esiste un modello che riassume bene le principali azioni e linee guida che ogni azienda, società, organizzazione che si vuole promuovere deve seguire sui Social Media. Michele Rinaldi nel suo “Social Media Relations” parla di “Modello ASP” (Ascoltare, Stimolare, Presidiare), che trovo riassuma perfettamente le linee guida chiave di ogni Social Media Strategy che si rispetti.

1. Ascoltare, prima di parlare

Ci dicevano così i nostri genitori, ricordate? Grande lezione, quella, una specie di mantra che ogni Social Media Specialist è bene tenga in mente ogni volta che si mette al computer, smartphone, tablet. Prima di dire la nostra, dobbiamo sapere cosa gli altri dicono di noi. Qualsiasi attività di social media marketing non può prescindere da una costante attività di ascolto web. Conoscere per governare la Brand reputation, sapere cosa pensano di noi i nostri acquirenti (attuali, ma soprattutto potenziali), i nostri competitors, gli influencer.

Dove ascoltare?
Sui social (da Facebook a Twitter, passando per Pinterest e Instagram, finendo con YouTube: anche le immagini e i video dicono moltissimo di come siamo percepiti), nei Forum e Blog, sulle testate online specializzate.

E poi?

Si creano nuovi spunti di comunicazione
Si modula il piano editoriale anche sulla base di ciò che interessa alla rete
Si decide se rispondere, se “entrare nella mischia” e provare a tirare fuori il meglio dalle occasioni offerte dall’attività di altri profili social.
Guardate per esempio cosa è successo quando l’account Twitter di Citroen Italia ha twittato una grafica che rappresenta “la formula del parcheggio perfetto”. Un’azione social corale, geniale proprio perché spontanea, per la quale si meritano un applauso i team social di Citroen, Smart, Martini, San Carlo e Sanbuca Molinari.

2. Stimolare: lo storytelling, l’esperienza, la condivisione.

Dimenticate il marketing tradizionale. La distinzione tra consumatore e produttore. Nel web 3.0 l’utente diventa un po’ produttore, un po’ consumatore di contenuti. O meglio, è l’una e l’altra cosa contemporaneamente. La sua esperienza del Brand e la narrazione che ne consegue sono il fulcro attorno a cui ruota ogni attività di comunicazione.
Così, oltre a monitorare quanto gli utenti prosumer (producer + consumer) dicono delle aziende, queste ultime devono a loro volta creare nuove occasioni di comunicazione grassroots, dal basso. Per non subire ciò che gli utenti dicono di loro, devono portare il pubblico 3.0 a parlare per loro. A costruire storie insieme: lo storytelling diventa allora il linguaggio che crea esperienza tra Brand e cliente, e condivisione e esperienza diventano le parole chiave.

L’azienda diventata Brand si fa narratrice – insieme al prosumer – di tante storie ed esperienze che vengono condivise sui social media, attraverso una strategia precisa. La comunicazione diventa orizzontale e democratica.

Come applicare lo storytelling?
Ecco alcuni spunti:

Raccontare il prodotto: i suoi protagonisti, la sua storia, il backstage (inteso in senso lato, come tutto ciò che di solito “non si vede” e che costituisce valore aggiunto), i suoi segreti.
Raccontare storie che siano credibili, ingegnose, veloci, di forte impatto, facilmente riconoscibili e memorizzabili. Soprattutto, devono essere in linea con ciò che il nostro target crede, senza dare l’impressione di rivolgersi a tutti indistintamente: chi ci legge o “guarda” deve percepire che, attraverso quel racconto, il Brand sta parlando esclusivamente a lui e alla sua “community”, alle loro passioni, al loro modo di interpretare la quotidianità.
Mettere il prosumer nelle condizioni di raccontare la sua esperienza con il Brand nella quotidianità.
Case history: Nutella con la campagna #noilamattina.

Aiutare, grazie al know how proprio dell’azienda, il prosumer “in difficoltà”.
Case history: Barilla e #SOSPasta (ma attenzione agli #epicfail)
“Ingaggiare” (perdonatemi per l’odiata parola, ma proprio l’italiano e le sue sfumature non riescono a rendere ciò che l’inglese fa egregiamente con “engagement”) l’utente e creare contest social ad hoc in cui il Brand chiede al prosumer di condividere conoscenze, esperienze, passioni.
Case history: #KLMIOCERO
3. Presidiare: una strategia social a tutto tondo

Abbiamo parlato di ascolto web e storytelling. Ma nessuna di queste due attività avrebbe senso senza che il brand abbia prima costruito una strategia social a tutto tondo, che comprende il target di riferimento, un piano editoriale diversificato e redatto secondo scadenze temporali predefinite, il tone of voice e il piano di crisis management.

I Social Network, in una parola, vanno costantemente presidiati. Parliamo a un pubblico definito secondo le strategie di marketing e comunicazione dell’azienda, applichiamo la tecnica dello storytelling postando contenuti che mettano al centro l’utente e la sua esperienza con il Brand, ci inseriamo in Community già consolidate (forum, blog, newsgroup, gruppi sui social network, etc) e ne creiamo una nostra.

Dunque?
La nostra Community ora dobbiamo mantenerla, nutrirla, allargarla. E con essa la nostra online reputation.
Due azioni meritano di essere approfondite in tal senso: la risposta ai commenti (negativi) e il coinvolgimento degli influencer.

Social Media Epic Fails: come evitarli?

Se non seguite già questa pagina Facebook, fatelo. Vengono postati ogni giorno i cosiddetti “social media epic fails”, anche conosciuti come “il più grande incubo dei Social Media Manager”. A volte basta pochissimo, una disattenzione di troppo, poca sensibilità sull’argomento, per finire tra i “fallimenti” addirittura “epici” sui social media.

Come evitarli?

Rispondendo ai commenti con sensibilità e intelligenza. Famoso è il caso di Patrizia Pepe, brand di abbigliamento italiano, che ha suscitato 950 commenti negativi in 7 giorni.

Senza mai cancellare i commenti negativi, saranno gli altri utenti a difendere il brand (se il brand è stato capace di costruire dei fan reali)
Evitando di rispondere con i metodi della comunicazione tradizionale, rimandando a uffici informazioni, numeri verdi, siti internet: se siamo stati raggiunti attraverso un tweet, un commento Facebook, i nostri interlocutori si aspettano una risposta diversa, immediata, smart: social.
Tenendo sempre bene in mente che contenuto, strategia, trasparenza, dialogo sono le armi vincenti.
Coinvolgere gli influencer

Mantenere viva la vostra community e tenere alta la brand reputation può essere più facile con l’aiuto, che ci saremo guadagnati con azioni mirate, dei cosiddetti influencer e opinion leader (sì, il mondo delle Social Media Relations è pieno zeppo di neologismi e anglicismi che farebbero rabbrividire qualsiasi purista della lingua italiana. Forse dovremmo un po’ tutti “sciacquare i panni in Arno, ma questo è un altro discorso).
Sono persone (ebbene sì!) che, il più delle volte aprendo un blog (o un canale Youtube, o un account su Instagram) si sono costruite credibilità e influenza riguardo al tema specifico di cui scrivono, commentano, fotografano, recensiscono. “Là fuori” (o dovremmo dire “là dentro?”) è pieno di food blogger, fashion blogger, wine blogger, travel blogger, solo per citare alcune delle aree più popolate in tal senso.

E a noi, azienda che si è fatta Brand, e social, non rimane che coinvolgerli. La loro Community, infatti, è spesso molto ampia, assidua divoratrice di contenuti e instancabilmente alla ricerca dei prodotti-che-poi-sono-esperienze di cui parlano i loro blogger di riferimento.
Il nostro obiettivo diventa coinvolgerli e, ça va sans dire, fare in modo che parlino (bene) del nostro Brand.

Come?
Pur senza voler troppo generalizzare, ricordiamoci che il blogger è persona credibile (specialmente agli occhi della sua Community), egocentrico, appassionato e curioso di conoscere tutte le novità riguardanti il suo ambito d’azione. Ancora meglio se in anteprima.

Una buona azione di digital PR non può prescindere da tre elementi chiave:

I blogger non sono giornalisti: per raggiungerli non vanno adottati metodi di tipo tradizionale. Mai inviare comunicati stampa in maniera indiscriminata. Molto meglio contattarli uno per uno, farli sentire importanti, coltivare la loro passione in relazione al nostro prodotto.
Come i nostri fan, anche per i blogger è importante vivere il Brand come esperienza. Chiediamoci, prima ancora di capire cosa possono fare loro per la nostra campagna, che tipo di esperienza possiamo offrire affinché poi ne possano parlare (bene) sui suoi canali social e sul suo blog.
Anche per i blogger, Content is the king: forniamo loro contenuti interessanti, e facciamolo in anteprima.
Benché agiscano prevalentemente online, i blogger sono persone, non dimentichiamolo. Invitiamoli a eventi dal vivo, conosciamoli, interagiamo con loro anche nella vita offline.
Così abbiamo creato le basi per una strategia social. Ora, però, sarà fondamentale che i vostri contenuti siano visibili e che raggiungano il vostro target: entriamo nel campo del Social Media Marketing.

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Progettazione sostenibile e rigenerazione urbana.

Pubblicato come appendice al X Rapporto Ispra sulla “Qualità dell’ambiente urbano”, il Protocollo Itaca ‘A scala urbana’ è uno strumento olistico per valutare la sostenibilità degli interventi progettuali nelle aree urbane.

Progettazione-sostenibile-e-rigenerazione-urbana_Protocollo-Itaca-Scala-Urbana_Rapporto-ISPRA




Schermature solari, tessuti smart e innovativi

Oggi l’uso del tessile è gradualmente ampliato. I tessuti di oggi sono composti di materiali suscettibili di applicazione in quasi tutte le nostre attività. Indossiamo abiti tutto il tempo e siamo circondati da prodotti tessili in quasi tutti i nostri ambienti. L’integrazione dei valori multifunzionali di un materiale di uso comune è diventata negli ultimi anni un’area di ricerca e di interesse da parte di enti e aziende produttrici. Filati, fibre, tessuti e altre strutture con funzionalità innovative sono stati sviluppati per una vasta gamma di applicazioni diverse, tra cui le schermature solari.
Oggi il “tessuto intelligente” rappresenta la prossima generazione di prodotti tessili previste per utilizzi diversi nella moda, nell’arredamento e nelle applicazioni per tessili tecnici, e nelle schermature solari. In una visione più ampia e tecnicamente strutturata si parla di “tecnologia intelligente”, che comprende i materiali intelligenti e i sistemi composti da sensori e attuatori. In gergo sono definiti: smart technology, smart materials, embededd system, ecc. e sono riconducibili a una molteplicità di prodotti di base come polimeri e metalli a memoria di forma, componenti elettronici e sostanze chimiche quali, per esempio, vernici e pigmenti.
Vetro, acciaio e materie plastiche, dunque, considerati per tutto il Novecento la frontiera dell’innovazione tecnologica in architettura, sono stati superati dalla comparsa di nuovi materiali nano-strutturati e intelligenti.

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Decreto interministeriale attuativo sugli edifici ad energia quasi zero

Versione ufficiosa e non ancora definitiva del decreto attuativo che definisce le modalità di applicazione della metodologia di calcolo delle prestazioni energetiche e dell’utilizzo delle fonti rinnovabili negli edifici, nonché dell’applicazione di prescrizione e requisiti minimi in materia di prestazioni energetiche degli edifici.

Il testo elaborato dal Ministero dello Sviluppo economico di concerto con i ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture, è ora all’esame della Conferenza delle regioni.

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Versione definitiva del POR FSE Lazio 2014-2020

Finalmente disponibile sul portale LazioEuropa della Regione Lazio la versione definitiva del POR FSE Lazio 2014-2020 approvata con Decisione della Commissione a dicembre.

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