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Bellezza, perché non sia una postilla

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Non basta rifiutare l’idea di bellezza imposta dal mercato, da coloro che dividono le città in centro e periferia e da quelli che decidono cos’è arte e cosa non lo è. Possiamo prenderci cura delle periferie ogni giorno senza ridurle a luoghi in perenne attesa di interventi dall’alto. “Parchi, giardini, luoghi di studio e di scambio vanno inventati nella logica del bisogno di bellezza che noi abbiamo – scrive Antonietta Potente – E questo lo dobbiamo fare noi; dobbiamo inventare, forse anche con atti di disobbedienza civile, senza chiedere il permesso a nessuno…”.
Vorrei ricordare una sensibilità particolare dell’umano che è l’amore alla bellezza, non a una bellezza decisa da canoni culturali specifici; non quella comprata perché è il mercato ad offrirla e nemmeno solo quella donata dall’arte, come tradizione, ma quella ancora da costruire, quella da fare ancora emergere, che fa parte comunque della cura della realtà reale.

È qualcosa che mi inquieta tutte le volte che cammino nel centro delle nostre bellissime città e tutte le volte che raggiungo o mi trovo negli spazi periferici, sempre delle nostre città.

Penso questo soprattutto per quelle situazioni che a prima vista sembrano essere state private di tutto e anche della bellezza. Penso a certi luoghi in cui abitiamo, quasi sempre al margine. Nati nell’urgenza della sopravvivenza; un’alluvione, un terremoto, ma anche a quelle periferie costruite appositamente da chi pensa che certa parte di umanità va sopportata, ma comunque isolata per essere piano, piano dimenticata.

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E mentre la natura ci circonda di bellezza diffusa, diversa o plurale, gli esseri umani sembrano aver circoscritto il dono. Forse perché se ne sono appropriati e l’hanno messa a servizio del potere e del mercato.

Mi colpisce e mi inquieta molto il fatto che l’arte sia collocata nei nostri centri città, quasi come se fosse ormai conclusa; belle reliquie da conservare.

E mentre le città sono cresciute, si sono estese, la bellezza non si è moltiplicata, le periferie sono delle specie di depositi umani, agglomerati i case senza forma; scelte con il criterio dell’ammucchiamento umano, della compravendita immobiliare.

Luoghi pensati perché la gente ci stia solo per dormire, ma non per abitarli, per amarli, quando, addirittura non divengono discariche per i rifiuti. Come per far sì che l’essere umano che abita questi luoghi abbia solo tempo per adattarsi. Minimalismo assoluto, falsa efficienza ed essenzialità. Lo sguardo subito fa fatica e poi si abitua. Ma questo non va d’accordo con l’umano più umano come sensibilità profonda, come desiderio di nuove evoluzioni esistenziali. Eppure non sarà solo la passione per la giustizia che trasformerà la realtà, ma anche la passione per la bellezza o, certamente, sono la stessa cosa, una sfumatura di uno stesso mistero.

La bellezza, questo particolare diritto così sconosciuto nelle nostre quotidiane rivendicazioni. Allora i nostri luoghi non vanno lasciati a se stessi, non vanno nemmeno ridotti a luoghi in attesa di eventi pubblici.

Siamo noi che dobbiamo conoscere, come direbbe Simone Weil, i bisogni terrestri del corpo e dell’anima umana. Parchi, giardini, luoghi di studio e di scambio vanno inventati nella logica del bisogno di bellezza che noi abbiamo… E questo lo dobbiamo fare noi; dobbiamo inventare, forse anche con atti di disobbedienza civile, senza chiedere il permesso a nessuno.

Non possiamo più permettere che i nostri spazi evochino solo l’elemosina che altri ci hanno fatto, con interventi sporadici, quando la bellezza è un dolcissimo desiderio del corpo e dell’anima umana.

È sintomatico, nelle periferie delle grandi città i nomi delle piazze e delle vie vengono attribuiti a personaggi sintonici con percorsi di giustizia: Che Guevara, Martin Luther King, o con date che ricordano gesti di liberazione e resistenza, come per darci un contentino. Come se, nella memoria di chi vive in quei luoghi, dovessero esistere solo pochi pezzi di storia, strappati in qualche modo alla storia ufficiale dedicata in dei conti ai veri eroi e ai veri esempi.

Perché chi percorre una strada di una qualsiasi periferia, non deve sapere che sono esistiti Leonardo da Vinci, Vincent Van Gogh, una mistica come Teresa d’Avila o un evento che nel mondo della fisica si chiama: scoperta del principio di indeterminazione.

Nelle nostre periferie sembra che tutto sia legato a un’elemosina di sopravvivenza o forse all’azione di qualche sporadico rivoluzionario: forse due alberelli e una panchina, nella piazzetta dedicata a qualche eroe. Ma perché non si può passeggiare e appoggiare il nostro sguardo su abbondanti alberi, fiori, fontane?

Perché chi lotta per l’acqua pubblica non deve aver la gioia di farsi spruzzare, in un bel giardino, da una fontana zampillante? Perché i musei sono solo nei centri delle nostre città? Come se in una periferia non fossimo adatti a conservare la bellezza a prendercene cura e a condividerla.

Questa situazione resta un monito per la nostra passione per la giustizia, per l’amore che vorrebbe ricreare dei rapporti diversi; curarne alcuni, farne nascere altri e, insomma partecipare alla trasformazione della vita, perché la bellezza è scintilla dell’umano più umano.

Chiudo queste pagine con una poesia di Drummond de Andrade:

“Il marziano mi ha incontrato per strada e ha avuto paura della mia impossibilità umana. Come può esistere, ha pensato tra sé, un essere che nell’esistere mette un così grande annullamento dell’esistenza?”.

Tratto da Umano più umano. Appunti sul nostro vivere quotidiano, edizioni Piagge. Per acquistare i libri i edizioni Piagge, tel. 055 373737, edizionipiagge.it.

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