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American Sniper

Eastwood come Omero

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di Clint Eastwood. Con Bradley CooperSienna MillerJake McDormanLuke GrimesNavid Negahban USA 2015

Chris Kyle (Cole Konis) è un bambino del Texas e, una volta che ha difeso il fratellino Jeff (Luke Sunshine) da un bulletto, il padre (Ben Reed) lo instrada verso il suo destino:” Il mondo si divide in lupi, pecore e cani pastori che le difendono”. Chris giovane (Cooper) si cimenta in vari rodei, cavalcando tori, sempre seguito dall’adorante Jeff (Keir O’Donnell) e tradito dalla giovane moglie Sarah (Mariette Patterson), che ben presto, stanca della sua vita spesa in costanti sfide, lo lascia. Lui si arruola nei Seals e, durante la durissima fase di istruzione, conosce in un bar Taya (Miller) e scopre di avere una mira infallibile. Di lì a poco, siamo nel 2003, sposa Taya e parte per l’Iraq. Qui ha il suo duro battesimo di cecchino: uccide un bambino che stava buttandosi con una granata contro un drappello di marines e la madre che, raccolto l’ordigno, si preparava a continuare l’attentato. I commilitoni lo acclamano ma lui è, inevitabilmente, sconvolto. Di lì a poco, per la quantità di nemici uccisi, viene chiamato dai suoi La Leggenda e dagli iracheni Il Diavolo di Ramadi. La sua ossessione è quella di uccidere Omar (Jad Mhidi Senhaji),l’altrettanto letale cecchino nemico. Sembra esserci vicino quando un iracheno, Sheik (Nehagban) si dichiara disponibile a portarlo dal Macellaio (Mido Hamada),un dei capi degli insorti, con il quale Omar si accompagna regolarmente ma il Macellaio arriva un istante prima e, dopo aver ucciso con un trapano il suo bambino, spara una raffica letale al padre. Chris rimane in Iraq 6 anni, alternando 1.000 giorni di ferma con 4 rientri a casa, nei quali è sempre più mentalmente assente dalla famiglia (in quel periodo Taya mette al mondo, tutta sola, due figli), preso dai deliri del conflitto. Nell’ultima missione decide più che mai di cercare Omar che ha ferito gravemente il suo miglior amico Biggles (James McDorman) e, con un colpo impossibile a 2 km di distanza, ci riesce. Torna definitivamente a casa ed è un disadattato: ha ucciso più di 160 nemici, per tutti è La Leggenda ma non riesce a rientrare nella vita normale. Uno psichiatra (Robert Clotworthy) gli suggerisce di aiutare gli altri reduci – quelli più profondamente feriti nel corpo e nell’anima dalla guerra – a reinserirsi. Il sistema funziona ma, proprio quando Chris ha ripreso il ruolo di marito e padre presente ed affettuoso, un giovane reduce (Vincent Selhorst-Jones) affidato alle sue cure lo uccide.

Dopo Gunny, Flags of our fathers e Lettere da Iwo Jima, questo è Il quarto film di guerra di Eastwood e, com’è nella sua sorprendente filmografia è, contemporaneamente, diverso da tutti gli altri e riconoscibilissimo nella firma dell’autore. Eastwood, lo possiamo ormai dire, è un grande poeta epico (e non solo nei film bellici), paragonabile, mi viene da dire, ad Omero: la forza dei suoi racconti è nella dolente e coriacea umanità dei suoi protagonisti che, come gli eroi dell’Iliade, sono forti e violenti in battaglia ma fragili prede di un destino deciso altrove. La trasposizione poteva essere una fitta sequela di eroiche imprese (nell’esempio de Il sergente York di Howard Hawks, con Gary Cooper tiratore infallibile) o un complesso intrico pacifista (come La sottile linea rossa di Terrence Malick) ma Clint è Clint e ha scolpito, più che ottantenne, un opera di monumentale asprezza, restituendoci la ineluttabile bestialità e la poderosa umanità di ogni conflitto, al di là di torti o ragioni, di vincitori e vinti.

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